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*
Uó /fy.
TAYLOR INSTITUTION.
BEQUEATHED
TO THE UNIVERSITY
BY
ROBERT FINCH, M. A.
OF BALLJOL COLLEGE.
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l
r
OPERE
DI
BENVENUTO GELLINI
■ ■■Il I <f— — fc.
roLVUR in.
DUE TRATTATI
DI
BENVENUTO GELLINI
SCULTORE FIOREUTINO
uno
DELL' OREFICERIA
l' A L T VO
DELLA SCULTURA
COLt.^ AGGIUMTÀ DI ALCITHB Qf ft&STTE
DUt MIU)|8IMQ
MILANO
Dalla Società Tipografica de' Clàssici Itaizk^i
contrada del Cappuccio.,
ANNO l8ll.
ì
/
T
AVVISO
dell' BOITOR MILANKSB.
XV questo volume m trovano per là
prima volta raccolte e con diligenza ristam*-
pate tutte le opere del Cdlini^ che, oltre
la f^ta di esso 9 si sono già dia altri pub-
blicate colle stampe.,
I Due Trattati f stati finora impressi
tre volte, cioè da Panizzi e Peri in Fi-
renze nel i568, da Tortini e Franchi in
detta città nel 178 1, ed in Torino verso il
1795, colla falsa data della edizion prece-
dente (i), vengono ora da noi riprodotti
(i) Questa edizione contraffatta si distingae fra le
altre cose, dall'avere io fronte alia Pre/flzione un or-
nato meramente tipografico, in luogo dell'arme gen-
tilìzia dei Cellinif che vedui nella vera edizione dì
Tarimi e Fnmdii.
Vi ATVISO
fedelmente sulla seconda edizione; perchè
meritamente quel testo fu dagli Accademici
della Crusca dichiarato più emendaio e cor-
retto di quello, che fu dato dall'autore
stesso nel i568, e perchè ragioncTolmente
non potevasi da noi sperare di vie più
emendarlo od arricchirlo.
A questo testo medezsimo, in parte per
la stessa sua correzione ed in parte per
motivo della materia, non abbiamo neppu-
re creduto di dover soggìugnere annotazio-
ni, come da noi si è fatto nella F'ita;
giacché , tolto il bisogno delle emendazioni
del testo e delle illustrazioni di storia, non
vi sarebbe stata altra opportunità di comen-
ti, fuorché relativamente ai precetti ed ai
metodi delle Arti, che qui si insegnano; la
qiial impresa sarebbe stata per noi troppo
ardua, e per là maggior parte dei lettori
poco utile e poco dilettevole.
Il solo mighoràmeuto adunque, che noi
a*bbiamo giudicato di procurare ai predetti
Ihie Trattati j si fu qpello di cambiarvi il
sistema dei punti e delle virgole; giacché
in questa parte estrinseca air opera, non
abbiam temuto di por mano, vedendo di
poter facilitare F intelligenza dell' opera stés*
sa col mezzo della odierna ortografia assai
più ragionata e severa di quella , che fu in
uso per lo passato, non toccandovi altronde
parola o siUaba, fuorché in qualche mani-
festo errore di stampa.
Così , non avendo noi tralasciato né la
bella Prefazione di quella seconda edizio*
ne, alla quale anzi abbiamo apposta qual>
DELt^ BDITOK MILAKBSR. m
che nota non ioopportuast "i^ i^ f^am-^
mento del, Gellini auir/Z/te ^l Disegno ^
che io essa edizione fil per. la prima volta
divulgato y ;nè V Indice della stessa, che da
noi fu rifuso, oegli indici nostri copiosissimi^
possiaoio. assicurare il lettore di avere tra-
sportato in questo volume ogni merito in-
trìnseco della sopra lodata edizione mede-
sima: e j)erchè in quella furono ommesse
le Poesie in lode del Cellìni^ che ritrovansi
nella prima , e che da molti curiosi possono
essere desiderate, abbiamo aggiunto alla
nostra ristampa anche questo, qualunque
siasi y compimento; e ciò tanto più volen-
tieri abbiam fatto da che si rara è divenuta
la predetta edizion principe*
Finalmente le altre prose e poesie , che
qui da noi si raccolgono, vennero tratte dai
libri a suo luogo indicati; ed, essendo alcu-
ne di esse state già stampate con errori grar
vissimi^ furono da noi ridotte a quella più
fedele e corretta lezione, che per noi si è
potuto colla scorta del buon senso e coUa
pratica dello stile Celliniano da noi acqui-
stata.
*
Potevamo agevolmente ritrovare e far
pubbliche altre scritture inedite del Gellini^
che si conservano nelle Librerie di Firenze,
e che qi furono gentilmente esibite; ma
siccome queste non sono che memorie pri-
vatissime ^ e di famiglia più che di Arti,
giustamente abbiam temuto^ che il Pubblico
non fosse per accogliere poco favorevolmen-
te tali minuzie di niun frutto , e che a
ragione non fossimo perciò tacciati di pe*
"^11 . Avyiso
danterìa} la qua! taccia noi ci siamo con-
tinuamente studiati di evitare ih questa no«
atro scabrosissimo lavoro^ procurando, per
quanto era in noi^ di moderar sempre con
retto giudizio le nostre indagini ed illustra-
zioni.
IX
PREFAZIONE
DELLA EDIZIONE
FATTA INFIRENZE NEL I^Sl
COllM STJM'PB
m TARTINI E FRANCHI
\/VANTUNXfU£ di grandissima lode sia da
reputar degno chiunque V antiche memorie
e scritture con industre utilissima ùccura--
tezza s^ ingegna di consers^are e mettere
in luce e dalle ingorde fauci del tempo
divoratore a giusta sua possa y sottrarre ;i
nondimeno j per nostro avs^iso y non poco
Umdevole^ giudicar si dee F opera e ^l di-
nsamento di coloro ^ che anche le meno
antiche ed tC nostri secoli più vicine {pur-
che elle il cagliano ) cercano di racco^ien
« per universale utiUtà al Pubblico comuni'^
Care. Imperciocché il confronto di queste
con quelle maravigliosamente gioita non
solo a metter in chiaro la verità delle cose
di tempo in tempo accadute^ ma ancora
a farci . comprendere le cagioni della . di^
tersità delle pariantissime umane costu^
manze, i motivi della diminuzione o del
progresso delle scienze ^ del miglioramento
o deterioramento delle arti, e di tanti altri
sì diversi .accidenti e cangiamenti delle
umane cose, le quali con perpetua vicenda
in processo di tempo insensibilmente veg"
giamo alterarsi, e ora dal primiero esser
loro dipartirsi y ora a quello ritornare, E
di vero il pregio e la giusta esumazione
di quelle non dalla antichità principalmen-
te^ ma dalla importanza e dalla eccéU
lenza ed utilità loro misurare . e argo-
mentare si dee; è ne^ secoli avvenire tem*
pò forse verrà, che dagli eruditi investiga^
tori delle trapassate memorie le opere è
gli avvenimenti de* moderni tempi saranno
ricercati avidamente ^ e di non minore im-
portanza di quelli da primi secoli ruotati.
Un esen^io di ciò ravvisar si puote. nelle
antiche monete , che meda^ie > da noi co--,
munemente per una certa rispettosa vene-
razione y che all'antichità portiamo, sono
appellate; traile quali hawene di quelle
battute nel reg^mento della Repubblica di
Roma . e de' primi Cesari, le quaU per
la bellezza del, conio ^ per f eleganza de' mot-»
ti e per la importanza, delh notizie indi-
Bttl^ EÙiTÓR FlOKENTlìiO. XI
cote dà' rovesci y meritamente ricercate e
molto care tenute , né presenti tempi assai
minor rarità portano seco di alcune di
queUe coniate sotto gT Imperadori de più
hassi tempi; imperocché la ricerca e la
raccolta di auestfi essendo stata alquanto
più trascurata, perchè per asfs^entura alle
più antiche sembravano inferiori nel conio,
né di così eleganti legende {con/orme di-
cono ) adornate erano , sono perciò diue^
nute assai più difficili a trovarsi; dal che
poi quella oscurità è derivata j che in mol-
ti particolari avvenimenti e in varie circo-
stanze della storia de tempi più bassi rav^
visiamo. Per questa medesima cagione si
sono fino d nostri tempi conservati molti
libri di vàrj buoni ed antichi scrittori gre-
ci e latini j e per lo contrariò perdute si
sona molte scritture de tempi a noi men
lontani con non piccolo dispiacere delle
persone etudite; le quali di queste perdite
a ragione si dolgono, estimando merita-
mente, che r importanza e V utilità delle
notizie in queste contenute per la rozzezza
di que* barbari tempi dovesse in qualche
parte compensare V eleganza e la dottri-
na , che nelle opere de più antichi scrit-
tori si ritrova. Nella stessa guiìsa parimente
addiviene , che molte utilissime opere di
alcuni nostri toscani scrittori, fioriti ne' se^
coli a noi più vicini y tenute in minor conte j
perchè non portavano seco il pregio del-
l'' antichità ^ sono divenute più rare e più dif-
ficili u trovarsi di moltissime altre da autori
assai più' antichi date alla luc^^ quantun-
XII FltEFAZJOVM
que r importanza loro e V utilità^ che ila
esse ricascar si puote y in qualche parte
sembri farse poter pareggiare il merito della
martore antichità ^ di cui t altre sono cor-
redate.
Poco pia di due secoli sono trapas*
satiy da che sotto questo cielo fiorì e lo
splendore e la fama di sue virtudi per
una gran parte dell' Europa diffuse Bea-
venuto di Giovanni d^ Andrea Celiini , c&-
tadino fiorentino , ore/ice e òcultore ec^
celiente, uomo certamente d animo eorag^
gioso e feroce , ma altresì di uno straor"
dinario e maravigUoso talento dotato 9 per
cenone del qucUe a molti gran Prituupi
e ad altri illustri persona^ fa caro oU
tremodoj i quali dell'opera sua utHissima"
mente si sfalserò e, generosamente a' loro
stipendj intertenendolo , occasione di aita"
mente segnalarsi co' suoi las^ori e di di"
svenire nel mondo ^ mediante le opere sue,
famoso, gli somministrarono. Fra essi an*
noifcrar si possono i due Romani pontefici
Clemente VIL e ' Paolo UI. , il magnani^-
mo Re di Francia Francesco, primo di
questo nome, i Duchi di Firenze Alessan-
dro e Cosimo I.^ da' quali in dispersi tem^
pi potentemente e generosamente , come
meriias^ano le s>irtù sue^ protetto, assistito
e stipendiato , non solo molti nobilissimi
lavori di oreficeria e varie celebratissime
statue d^ Argento y di bronzo e di marmo
condusse a fine , ma ancora utilissime ope^^
re scritte lasciò , le quali per comun senti"
mento in molta stima tenute , per ogrii dove
DElf EMTi^lL FIORENTINO, XJII
hanno diffusa ed ampliata la fama del
mo raro ingegno e de' suoi singolarissimi
taltnii. La stabilità e dures^olezza de bron^^
zi e de marmi bene hanno consentati i
las^ori delle sue mani e de* suoi scarpelli;
ma gli scritti suoi (parte per non essere
stati da esso condotti a perfezione y parte
per trascuratezza di chi doveva averne cu-'
ra, e parte perchè o non mai o una sola
volta , e ciò moki anni fa , sono stati dati
alla luce) o intéramente si sono smarriti
o divtnuti sono così rari e difficili ad
aversi^ che in vano da molti intendenti
sono stati lungamente ricercati ^ e manife'^
^io pericolo corrono di perdersi del tutto
con danno gravissimo delle buone artij se
ciò addivenisse y o di andare affatto in di*
menticanza.
Principali sono tra essi la Vita sua^
che egli incominciò a scrivere da sé me*
desimo intorno aW anno i558. ; che fu
il cinquantottesimo dell* età sua, prose-'
guendola fin pressò agli ultimi anni del
suo corso mortale (i)^ che egli terminò
nell'anno 1670 (i), e a/c£/ni Trattati sopra
r Oreficerìa^ sopra la Scultura e sopra il
gettare in bronzo.
(i) Fino al Novembre del i562.
{j) Intendi nell'anno 1570. dell'antica era fioren*
lina ab incarnatione ^ poiché il Cellini morì alli i3 o^
secondo altrì^alli i5 Febbrajo del iS^i. ginsta l'era
nostra volgare a natwitate.
Xir ^UEF AZIONE
La Vita sua. y oltremodo curiosa e
bizzarra e di amene ed importantissime
notizie e particqlarità arricchita , e ^n
grosso volume fino a questi tempi scritto
a penna , e raro non meno per la ca-
fhezza degli accidenti in essa con molto
ìrio e vivacità narrati, che per Ut scar-*
sezza de buoni e corretti esemplari y che
se ne ritrovano. Uno di questi si tro",
vava già nella Librerìa di Lorenzo Caval-
canti 5 che y per quanto dice il compilatore^
della prima parte delle Notizie Istorìche
degli uomini illustri dell'Accademia Fiorea-
tina, era V originale stesso di Benvenuto;,
ma il suddetto Cavalcanti poscia il donò
al celebre Dottor Francesco Redi , Medico
di quella insigne letteratura y che a tutto
il mondo è nota y il quale non solo il ten-
ne carissimo y ma da esso ancora cavò
molti esempli di voci toscane, appartenenti
alle arti delV Oreficeria, Scultura e Pittura ^
da aggiungersi alla quarta edizione del
Vocabolario degli Accademici della Cru-
sca, siccome da alcune postille di sua
mano scritte nel margine del suo, Voca-
bolariQ della terza edizione y cioè del i6g2x
si ricava; nelle quali egli dice, che Ben-
venuto scrisse una gran parte del mento-
voto volume di suo proprio pugno y ma che
poscia straccatosi ed essendo in età assai
avanzata, incominciò a dettarlo (i). Un altro
mr
(i) Malgrado Faiitorìtà delle Notizie Isioriche del*
PAccad. Fior., à è da noi già avvertito a pag. XK
DELL* EDITOR FIORENTINO. XV
antico ed emendato manoscritto della me*
desima Vita dicono conservarsi nella dovi*
Irosissima Librerìa del Real Palazzo del Se^
renissùno Granduca {i); ed un altro abbiamo
notizia j che ne fu modernamente ritrovato
fra i libri di Alessandro Cavalcanti, non
ha guari defunto ^ ultimo di questa illustre
famiglia) dal qual testo, per altro non
gran fatto corretto^ sono slati tratti tutti
qué pochi esemplari, che gli amatori di sì
fatte cose si han fatto per proprio comodo
trascrivere (a). Noi abbiamo avuto campo
del primo volume^ che molti passi di questo mano-
scritto dì Ijorenso Maria Cavalcanti e poi del Redi,
citati Qella Crusca j si mosti ano ritocchi, mutilati e
meno originali io confronto della prima edizione; ed
alti onde non è improbahile,che il primitivo autografo
della Vita del Celimi siasi presto consumato e disperso,
giaccliè per testimonianza del CelUni medesimo^ egli
era in parte compoifto ài carie rappiccaie, « vaniva da
esso custodito e trasportato in. una bisaccia* Vedi il
voi. primo a pag. xx., xiv. é zxvqi.
(i) Dalla Biblioteca Medicea Palatina passò questo
codice alla Laurenziana^, e fu quindi registrato e de-
scrìtto dal chiarìss. Bandini nella Bibliotheca LkopoìdU
na Laurentiana a pag. 4^5 nel voi. 5 ove dicesi: coit-
cordat cum edttione fiortruinù ^ auae curante Antonio
Cocchio^ ut mihi videtur^ ex noe descripta codice^
prodiUcum hoc titolo: Vita di Benvenuto e/c. Cotù^
nia etc. L'edizione del Cocchi però non fu eseguita
in Firenze^ ma in I^apoh nel 1728» come constai
dai Discorsi del Cocchi voi. i p. iiivni.
M 11 Baldinuccf pubblicò akunì passi della Vita
> del Celimi , ricavati da un manoscritto di Andrea Ca*
I valcanti^ i quali non concordano coi passi identici
I citati nella Crusca. Àbbtam perciò detto nel volume 3
a pag. 85 f che il predetto codice non poteva esser
quello che poi passò al Redi , ma piuttosto quello cbei
qiai dicesi di àlesiandro Cavalcanti.
di assennare qual buon giudicio facesse di
jjuest' opera il celebre Letterato M. Bene*
detto varchi > essendoci imbattuti in una
lettera responsha di Benvenuto a/, mede-
simo Varchi, che si trova a car. 160. del
Codice 481, in foglio, della famosa Libreria
Strozziana; dalla quale si comprende ^ che
Benvenuto gli avea mandata la soprad-
detta sua Vita per udirne il suo sentitnento
e perchè si compiacesse, dove occorreva^
ammendarla 'j ma svedesi, che il Varchi
riscrisse a Benvenuto^ ,che ella non avea
in veruna guisa di ciò bisogno ^ anzi che
gli parea molto acconcia ad esprimere la
verità delle cose narrate la naturalez^^ e
semplice vivacità dello stile, con cui da
Benvenuto era stata dettata (i).
I Trattati sopra Y Oreficeria e la i^cul-
tura dal medesimo Benvenuto ^roru> com^
posti, per quanto crediamo, molto dopo il
suo ritorno di Francia , e da essso medesi^
(r) Questa lettera del Gelliaì fu da noi posta alla
pag. XXV. del nostro primo volume; ed il manoscritto^
da cui fu tratta 3 insieme con tutti gli altri relativi al
Cellini^ che dagli Strazzi si possedevano, deve essere
passato alla MagUabechiana di Firenze; poiché essendo
finita nel 1784 colla morte di Alessandro Carlo Strozzi,
figlio di Tomaso , la discendenza maschile del Senatore
Carlo Strozzi, che verso la metà del secolo J^VU, aveva
unita una ricchissima quantità di codici, per ordine
del Gran Duca* Pietro Leopoldo furon divisi i mede"
simi fra la Mai^ljabechiana e la Laurenziana, ed iti^
tronde tra i manoscritti Strozziani portati in questa
ultima Biblioteca non se ne trova alcuno, che con**
tenga nulla di CelUniano. Vedi il Bandini .^r^iiòr.
Zeopold. Laur, voL pag. XV e voi 2. pag^ 265.
DEll! EDITOR FIORENTINO, XVlI:
mo furono fatti pubblicare ^ per mezzo delle
stampe, in Firenze nel i568. per Valente
Panizzi e Marco Peri , a persuasione di Mes^
ser Gherardo Spini^ segretario del Cardinal
Fernafado de' Medici, i? cui furono dal Cellini
in quella impressione dedicati. La guai cosa^
parte dal contesto medesimo di queir opera
si può congetturare, e parte ancora dalla se^
guente memoria o ricordo , scritto di mano
propria di Benvenuto, da noi osservato
fra un gran numero di suoi sonetti mano-*
scritti j cortesemente a noi mostrati dal Ca^
nonico Salvino Salvini, de\quali più sotto
si favellerà =: Io ho sempre ringrazialo Iddio^
che già 50no passati ventidue anni, che io
ho consumati nella mia dolce patria (i), e
fra i miei gran travagli il maggiore si è stato
l'aver fatte così poche opere, E per esserna
più volte doluto di cotale accidente, e mo-
strando con molte vive ragioni , come tal
cosa non veniva per mia causa , e' mi fu
risposto da un gran gentiluomo di Corte,
il quale non mi disse altro se non, che io
era un terribile uomo} e replicandomi più
volte questo nome di terribile, io gli risposi,
che i terribili si erano quegli strumenti, che
si empievano d'incenso, sol per onorare Id-
dio E' sono molti mesi passati,
ch'io donai questo mio libro, scritto in pen-
na, allo Illustrissimo ed Eccellentissimo no-
stro, infino nel 1567.5 eisebbene alcune volte
(l) Dopo ritornato dalla Francia nell'Agosto i54S.
Cellini Bem. Fol III. b
SrVIII PREFAZIONE
dissi di darlo alla stampa^ ei mVra passato
cotal capriccio ; il qoaie me V lian fatto ri-
tornare alcuni virtuosi Giovani, i auali lian^
no mostro alcuni loro virtuosi stuaj ^ facen-
done parte a quelli^ che aranno voglia di
queste belle vi rtudi delle nostre arti, e per
cotal cagione io ancora mi son contento di
giovare alP Universale , e siccome ho mostro
con le opere, così ancora ho voluto mostrar
colle parole (i); con tutto che l'opere sono i
veri fatti e si debbono mostrare sempre pri-
ma delle parole.
Giovanni Cinèlli ne' sux)i supplementi
alle Bellezze di Firenze, scritte da Messer
Francesco Bocchi e ristampate in Firenze
per Giovanni Gugliantini nel 1667/ (2) ,
prende sbaglio j allorché a car. 5']3. asse^
risce y che questi Trattati di Benvenuto
Gellini furono stampati nel 1 668. / anzi
ne pure e vero ciò ^ che ^gli. in qualche
modo sopra di ciò correggendosi ^ affermò
nella ' sua Storia manoscritta degli Scrit-
, tori Fiorentini (3), noè, che Ig. prima
volta furono stampati nel i568. e poi ri--
stampati ^ccnto anni dopo , cioè nel 1 668 ,•
(i) Ecco un'altra volta 11 verbo mostrare senza
accusativo e nel significato neutro di far vedere,
nel voi. 2. a pag. 253. e 3 19.
(2) Quest' opera del Cinelìi, impressa dal Guglian-
tini^ porta la data del 1677.
(5) 11 Padre Giulio JVegri dice di aver inutiU
mente cercata quest'opera manoscritta del Cinelli*
Vedi Istoria degli Scrittori Fiorentini p, 238.
f ^
dèli! EDITOR FiOREIfTlNO. XIX
poiché è indubitato^ che quest'opera una
sola ^olta y cioè dal Panizzi /' anno 1 568. ,
vigente Benvenuto medesimo , e stata stam-.
pota. V abbaglio del Cinelli fu però cieca^
mente al suo solito seguitato dal Padre
JVegri nella sua Storia degli Scrittori Fio-
rentini, il quale colày dosfe di Benvenuto
Cellini ragiona , un più madornale sfar-
fallone si lasciò uscir dalla penna , allor^
che scrisse y che egli morì nel 1970. Per
inerita si può far grazia a questo buon
Padre di crederlo error di stampa , . ma
troppi ve ne sono in quel suo libro 9 e di
tal fatta, che a difetto dello stampatore
impossibile è sempre attribuirgli
Or questi Trattati^ per non essere stati
giammai ristampati , erano divenuti così
rari a trovarsi , ed in così alto prezzo sa*
liti, che anche con molto costo, presso che
impossibile riusciva il trovarne un esem-
plare a coloro^ che di queste nobilissime
arti si dilettano e che ben comprendono
l importanza delle buone regole e degli ot^
tifni ammaestramenti lasciati da quel valen^
tuomo , la trascurjxggine de' quali ha perav-*
ventura cagionato j che i lavori d£ moderni
artefici non con Iqnella finezza e perfezione
H conducano j che n^ tempi di Benvenuto si
praticava , ne' quali perciò V universale ap--
plauso e V ammirazione d ognuno esigeva-
no. Per la qual cosa noi per comune van-
ta^io y e di coloro massimamente y che di
queste nobilissime arti fanno professione y
e che la nostra gentil favella tengono in
pregio , da erudite ed intendentissime per*'
XX PREFJZIOJSTE
sone confortati^ abbiamo intrapresa la rì^
stampa de' suddetti Trattati^ ih una forse
non i^ana speranza ajfidati , che questa
nostra fatica ^ per le accennate ragioni y sia
per riportare V applauso e V a^radimenio
uni\>ersale non tanto de dilettanti di queste
professioni quanto degli amatori della Un-
gua toscana ; conciossiachè i segreti e
gV insegnamenti , in essi esposti ^ sieno det^
tati in uno stile così naturale^ semplice e
s^ago e di così bella proprietà ed espres^
, sione adorno y che non è maraviglia^ se il
mentovato Redi , finissimo conoscitore delle
bellezze di nostra lingua j giudicasse degno
d esser citato dagli Accademici della Cru-
sca nel loro gran Vocabolario questo scrit"
tore.
In ciò fare noi abbiamo anche usata
quella' accuratezza e diligenza, che per
noi si è potuta maggiore; conciossiachè
primieramente avendo osservato , che il
soprammentovato Giovanni Cinelli nella
sua citata opera degli Scrittori Fiorentini,
ed anche l'autore delle Notizie Letterarie
ed Istoriche degli Uomini Illustri dell' Ac-
cademia Fiorentina , stampate in Firenze
nel 1 700. , asserivano , che il mqnoscritto
originale dfe/r Oreficeria del Cellini si con--
servava nella insigne Libreria del famosis-
Simo Antonio Magliabechi , Bibliotec. del
Serenissimo Gran- Duca Cosimo IIL, e «o-
mo d infinito serpere y e degno veramente
di quella gran faina y che nel mondo tutto
si acquistò y e che parimente aggàignevano ,
che questo manoscritto era alquanto più
DSIL EDITOR FIORENTINO. XXI
copioso e corretto dell* esemplare stampa^
tòy abbiamo procurato di mettere :4n ope^
ra ogni possibile diligenza per ritrovarlo
e collazionarlo , affinchè coli* ajuto di esso
ci venisse fatto^ di mi^iorare notabilmente
(jucita nostra pia diligente e premurosa ri'
cerca y non essendo stato possibile V ottene-
re di poter avere in mano V accennato
manoscritto di quella Libreria (i). Laonde
(i) Che Antonio Magliabechi^ il quale morì nel
171 4) possedesse verameote il manoscritto dei Trattati
Celliniani ben si vede anche da un saggio delle memo"
He inedite di quell'uomo dottissimo, il quale conser-
vasi manoscritto in Milano , nel Regio Archivio Ge-
nerale , in un volumetto intitolato Magllahechiana^ ov'
vero osservazioni letterarie di Antonio Magliaheghi, Bi"
hHotecario dei Gran Duchi di Toscana j il qual saggio
dicesi compilato dall'autore della Vita del B. Ambrogio
Trai^ersario Generale dei Camaldolesi (cioè dall' Ab.
Lorenzo Mehus, dopo il 1759.) sugli scritti ed in no-
me del Magliabechi medesimo. L'articolo risguardante
il Celli ni è il seguente.
Il libro intolato I Due Trattati^ uno intorno ^Ue
otto principsrli arti dell* Oreficeria , l' altro in materia
dell'arte della Scultura ec, comoosti da Messer Ben-
venuto Gellini ec, in Firenze i5d8.^ nel suo genere è
ottimo^ e perchè è rarissimo, non si trovando più ^
quando ultimamente fu qua con Monsignor f^escovo di
Marsiglia il dottissimo Ah, Jacopo Cafferelli , io gli
donai il mio esemplare^ perchè mi disse di volerlo
far ristampare con alcune sue addizioni e annotazioni.
Io ho alcune poesie manoscritte del detto Ben'-
venuto Cellini. Ho anco alcune medaglie fatte da esso^e
tra le altre quella del Card. Pietro Bembo, Ho erdan*
dio i Trattati deW Oreficeria manoscritti, con diverse
cose^ che non si trot^r^'io nel libro stampato.
Non volendo fece una volta Benvenuto Cellini
grandissima paura a Monsignor della Casa, Aveva
il detto Cellini accomodato un arc^ibuso alla porta ^
XXII PREFAZIONE
non si potendo da noi altro fare , è sta^
io forza il contentarsi di emendare nel
meglior modo, che è stato possibile j que^
gli errori^ che nella edizione dtl Panizzi
erano trascorsi ^ e di accrescere e ridurre
in miglior forma e più comoda Vindice
delle cose più importanti in quest' opera
contenute. '
Fra alcuni processi di cause y libri
di conti ed altre scritture attenenti al
carico, ma senza palla ^ che si scaricava quando la
porta era picchiata, per far paura ad alcuni^ che lo bur-
lavano : venne Monsignor della Casa, che il Cellini non
V aspettava i e Varchibuso si scaricò, Cod. VI. pag. i3.
Per illustrazione di questo documento inedito fa
d*uopo sapere.
I. Che il Cafferelli qui nominato si è il celebre
Giacomo GafFarel, nato a Maiines in Provenza, il
quale anche dal Gassendo è chiamato Jacobus Caffa^^
reUus, e che fu Dottor di Teologia, Priore di S. Eie*
gio e veramente dottissimo , particolarmente nelle cose
Orientali e nelle lingue. Egli stampò , fra le altre,
un'opera piena di erudizione, ma non priva di strava*
ganze, col titolo Curiositates inauditae de figuris Persa»
rum Talismanicìs^ la quale è oggi rarissima; viaggiò in
Italia come Bibliotecario' del Carainale Richelieu, ricer-
cando ovunque manoscritti o libri rari , e morì di 8o.
anni nel 1681., senza però aver mai pubblicato nulla
intorno al Cellini, come avea promesso al Maglia -
bechi per ottenerne il nominato volume. ,
II. Che il codice manoscritto dei Trattati Celliìiia-
ni, qui accennato come in possesso del Magliabechi^
e che non fu trovato nel 1781., era forse lo stesso o
una copia di quello della Naniana, che ora sta nella
Marciana di Venezia; poiché anche questo, al dire del
chiarissimo Cav. Morelli, contiene molte cose di piti
della ediz. del i568, ed in oltre appartenne al Cellini.
III. Finalmente, che la burla toccsfta a Monsig«
della Casa vien narrata anche nelle Notizie Isteriche
deW Accademia Fioreniina,
DELL* EDITOR FIORENTINO. XXIII
nostro Benvenuto , che insieme col suo
testamento e con due suoi codicilli sono
state a noi cortesemente fatte vedere da
Cario Tommaso Strozzi^ gentiluomo^ che
al pregio della chiarezza del sangue unisce
quello viepiù stiìuabile di favorire e prò--
muovere tutte le buone arti^ noi abbiamo
trovato uno sbozzo di una lettera y scritta
di mano di Benvenuto e diretta al Prin--
cipe Don Francesco de' Medici, dalla qua-
le si ricava, che egli scrìsse questi Trat-
tati in congiuntura di una certa sua in-
disposizione, che gV impedì il potere ope-
rare y unitamente cogli altri professori , nelle
feste ordinata per solennizzare le nozze di
questo Principe, che seguirono V anno i565,
coW Arciduchessa Giovanna d' Austria 5 an-
ù da questa stessa lettera sembra ^ che si
possa dedurre y che il Cellini avesse in
animo di dedicargli a questo medesimo
Principe y lo che poi, qualunque se ne
fosse la cagione, non effettuò; ma bensì
al Cardinale Ernando o sia Ferdinando y
suo fratello y gì' intitolò. Ma perchè questa
lettera e breve y ed in essa di questi suoi
Trattati si ragiona y non isgradirà perav-
ventura il lettore di vederla in questo luo-
go registrata.
rXir PREFAZIONE
ALL' ILLUSTRISS. SIG. PRINCIPE
GOYERNANTE DI FiRGNZE E DI SlENA.
Uapfoichè la fortuna^ glorioso e felicis-
simo Signore, per qualche mia indisposizio-
ne mMmpedi il potere operare nella ma--
raviglìosa festa per le nozze di V. E. I. e
di S. A., standomi alquanto mal contento,
subito mi sentii svegliare da un nuovo ca«
J)riccio e, in cambio di operar di terra o
egnOy presi la penna e^ di mano in mano
che la memoria mi porgeva, scrìvevo tutte
le mie estreme fatiche , fatte nella mia gio-
vanezza, quali sono in molte arti, diverse
Puna dall'altra 3 e in ciascheduna io cito
alcune notabili opere, fatte a diversi e
grandissimi Prìncipi , di mia mano. E per
non essere mai per altrì -«scritta cotal cosa,
credo, che a molti per i bei segreti, che
in esse arti si contengono, sarà utile, e
ad altri fuorì di tali professioni piacevolis-
sima, qual penso doverà essere a Y. E. L,
perchè più d^ogni altro gran Principe ella
se ne diletta , e V ama. £11^ adunque si
degni di accettar questa mia buona volon*
tà , quale ho avuto sempre , di piacerle ,
pregando Iddio, che quella felicissima lun-
gamente conservi.
Il fedelissimo servitore di V. E. Dlustriss.
Benvenuto di M. Giovanni Gellini,
ciUidino fiorentino.
DELL EDITOR FIORENTINO. ^ XXV
Non disconvenevole sarebbe il dare
in questo luogo distinta notizia di Ben-
venuto 9 de^ costumi j del naturale j delle
sue singolari qualità, delle molte opere
sue e de tanti strai^agantissimi accidenti y
che in varj tempi e ne varj luoghi y ove
dimorò , gli occorsero ; ma perchè sareb-^
be questa una troppo lunga inchiesta e
da non ne venir a capo così di le^eriy
e perchè in questi medesimi Trattati la
maggior parte delle opere sue egli va de-
scrivendo , ed anche perchè nella soprad-
detta sua Vita, pur novellamente stam-
pata, tutte le accentiate cose sono oltre
ogni credere curiosamente ed esattamen-
te descritte, abbiamo giudicato di dover-
cene rimanere , contentandoci solo di ri-
ferire alcune delle tante testimonianze ,
che presso un gran numero di scrittori si
trovano , dell' eccellenza del suo ingegno ,
e delle sue singolarissime dotiy e premen-
do ad accennare il restante degli scritti
suoi , de^ quali è a noi pervenuta alcuna
notizia,
Giorgio Vasari nella Vita di Bac-
cio Bandinelli /a di Benvenuto nostro ono-
ratissima menzione y ma più distintamente
ne ragiona nella terza parte delle sue
Vite de' Pittori, Scultori ed Architetti^ a
car. 873. (i), colà dove degli Accademici
(i) Si cita qui T edizione de' Giunti del i568., eoa
Qualche infedeltà però^ che da noi fu tolta, riscontraa-
Qo il seguente passo nella detta edizione Giuntina.
XXVI PREF^AZIONR
del Disegno ragiona ; riè pensiamo , che
sia per esser discaro a* lettori ^ che noi
ponghiamo qui le sue stesse parole = Dico,
che Benvenuto Cellini, cittadino fiorentino
(per cominciarmi da i più vecchi e più
onorati) oggi scultore, quando attese alFo-
refice in sua giovanezza, non ebbe pari, né
aveva (i) forse in molti anni, in quella pro-
fe.ssione e in fare bellissime figure di ton-
do e basso rilievo, e tutte altre opere di
quel mestiero. Legò gioie "^ e adornò di ca-
stoni maravigliosi , con figurine tanto ben &t«
te e alcuna volta tanto bizzarre e capric-
ciose, che non si può né più né meglio
immaginare. Le medaglie ancora, che in
sua gioventù fece d' oro e d' argento , fu-
rono condotte con incredibile diligenza , né
si possono tanto lodare , che basti. Fece in
Boma a Papa Clemente VIL un bottone
di piviale, bellissimo, accomodandovi otti-
mamente una punta di diamante, intorniata
da alcuni putti £sitti di piastra d^oro, e un
Dio Padre mirabilmente lavorato^ onde ol-
tre il pagamento ebbe in dono da quel
Papa Tufizio d'una mazza. Essendogli poi
dai medesimo Pontefice dato a fare un ca-
lice d' oro , la coppa del quale dovea esser
retta da figure rappresentanti le Virtù Teo-
logiche, lo condusse assai vicino al fine
(i) Malgrado l'autorità di tutte le ediuoni del Va-
sari, io credo, che qui si debba leggere né averà^
come legge ancbe il Tiraboschi^ citando questo passo
nella Stor. della Letter. Itai
BElj! EDITOR FIOREINO. XXVII
eon artifizio maravìgliosissiai^e^ medesimi
tempi non fu chi facesse mio ^ fra molti
che si provarono, le medaglUi quel Papa,,
di lui, come ben sanno eoo, che le vi-
dero e n^ hanno. E perchè be, per que-
ste cagioni, cura di fare iij della zecca
di Roma, non sono mai 9 vedute più
belle monete di quelle, callora furono
stampate in Roma. E perciopo la morte
di Clemente, tornato Benvto a Firenze,
fece similmente i conj , e la testa del
Duca Alessandro^ per le rate per la zec-
ca di Firenze, cosi belli on tanta diH-
genza ^ che alcune di esse serbano oggi
come bellissime medagUe che, e merita-
mente , perciocché in questinse sé stesso.
Datosi finalmente Benven alla Scultura
e al fare di getto, fece in Fra molte cose di
bronzo ) d^^rgento e d'oroentre stette al
servizio del Re Francesco iel Regno. Tor-'
nato poi alla patria e mestai servìzio del
Duca Cosimo, fu prima aerato in alcu-
ne cose da orefice, e iitimo datogli a
fare alcune cose di Scultconde condusse
di metallo la statua dehseo, che ha
tagliata là testa a Medusa quale è in
Piazza /lei Duca, vicino porta del pa-
lazzo del Duca, sopra u|asa di marmo
con alcune figure di bronbellissime , al-
te circa un braccio e , terzo V una y
la quale tutta opera fu jotta veramen-
te con quanto studio digenza si può
maggiore , a perfezione [)osta in detto
luogo degnamente , a p^ne della Judit
di mano di Donato, costoso e celebra*
y
• I
t \
XXVIII ^ PREFAZIONTÉ
to scultore. E certo fu maraviglia^ che es-
sendosi Benvimto esercitato tanti anni in
far figure piccde^ ei condusse (i) poi con tan-
ta eccellenza ma statua così grande. Il me-
desimo ha fatto un Crocifisso di marmo »
tutto tondo e grande quanto il vivo , che
per sigile è b più rara e bella scultura ^
che si possa Mdere. Onde lo tiene il Signor
Duca 5 come osa a sé carissima, nel palaz-
zo de' Pitti per collocarlo alla cappella
ovvero chiesetta , che fa in detto luogo ;
la qual chiesti non poteva a questi tempi
avere altra cosi più di sé degna e di si gran
Principe; ed insòtnma non si può' quest'o-
pera tanto lodare 9 che basti. Ora sebbene
potrei molto pia allargarmi nel!' opere di Ben-
venuto, il quale é stato in tutte le sue co-
se animoso, fiero ^ vivace^ prontissimo e
terribiUssimo , e persona , che ha saputo
. pur troppo dire il fatto suo con i Principi,
non meno che le mani e P ingegno ado-
perare nelle cose deirarti, non ne dirò
qui altro, atteso che egli stesso ha scrìtto
la Vita e T opere sue, e un Trattato del-
l' Oreficeria , e del fondere e gettar di
metallo^ con altre cose attenenti a tali arti,
e della Scultura, con molto più eloquenza
e ordine, che io qui peravventura non sa-
prei fare (i). E però, quanto a lui, basti questo
(i) Nella ediz. del Vasari fatta in Siena nel 1794.
si legge qui conducesse in luogo di condusse, e par mi
opportunamente.
(a) Ben si vede^ che il Vasari conosceva solo per
fama la F'ita dèi Cellioi e non sapeva quanto egli
fosse stato in essa maltrattato.
dell' EDITOR FIORENNO. ÌXIX
breve sommario delle sue p rare opere
principali.
Intorno a queste cose scritte dal
Vasari, si dee osservare j e il mento^
i^ato Crocifisso di marmo ^ }to da Ben-
venuto , fu poi collocato ìlla cappella
sotterranea della chiesa di ìan Lorenzo
ài questa città; onde non oppiamo con
qual fondamento Paolo Minine/ suo Di-
scorso sopra la nobiltà di frcnze, stam^
paio in Firenze nel iSgZ. fr Domenico
Manzani^ a car. 109. asserica, cìie egli
fosse* portato in /spagna : Bovenuto Cel-
iifli , di cui vede oggi la Spa;na uno stu-
pendissimo Crocifisso di maruD^ e Firenze
un bellissimo Perseo di bronb. Ne in di-
fesa del Mini si può dire , eie Benvenuto
avesse fatto altri Crocifissi dì marmo ,
oltre al mentos^ato; imperoccJè ne in que-
sti Trattati, ne nella sua Viti, dove con-
te per minuto tutte le principali opere
sue, dice d" as^er fatti altri Crocifissi di
marmo fuori di questo , // qwh egli avea
destinato di porre in una cappella della
chiesa di Santa Maria Nos^ella di questa
città y nella qual cappella i PaM di quel
Convento gli avevano conceduta di col^
locarlo; ma perchè gli negarom il con--
senso di potervi similmente costruire la
sua sepoltura, aontato di ciò il Cellini
non volle altrimenti situarcelo ^ e lo de-
stinò per la chiesa della Nunziata. Ma es-
sendo poscia andati a veder quest'opera
il Duca Cosimo colla Duchessa Leonora ,
XXX : PREFAZIONE
sua moglie^ jenvenuto ne volle far loro
generosamentk un dono. Non vollero que-
sti Principi (dettare il Crocifisso in itonoj
' ma ordinarci a Benvenuto , che ne do-
mandasse il fezzo convenevole; onde e^i,
che non poc era bizzarro ed iracondo ,
ne chiese un goroso prezzo di scudi 2000,
come da dufficordi j di sua mano scritti
né* suddetti Itriy si può vedere, i quali ^ per
più distinta informazione del lettore so-
pra questo fdfo j qui ci piace di trascrivere.
Il primo è àesto = Ricordo qtieslo di 3.
Febbrajo i56? come per insino del mese
d^ Agosto proMnio passato si mandò a S. E.
il nostro Crolifisso di marmo bianco fine, in
sulla croce |i marmo nero fine, di gran-
dezza, la Sg^a, di braccia tre, cioè di sta-
tura d^un u)mo vivo di bella grandezza;
il quale Crocifisso è di mano di M. Ben-
venuto Celliii nostro: e conciossiacosaché
pel passata loa sene sia mai più fatti di
marmo, per essere opera quasi che impos-
sibile, il ietto M. Benvenuto lo fece a tut-
te sue spese, le quali furono grandissime;
ed essenco domandato più tempo fa dalla
Illustrissiaa Signora Duchessa dir quello ,
e quanto il detto M. Benvenuto lo stimava
o Tavevi! caro, il detto rispose, che l'ave-
va fatto pel suo sepolcro e con grandis-
simo studio per zelo d^ arte , di manierachè
se r avesse avuto a svendere , lo stimava
megHo che scudi 2000. d'oro in oro. Que-
sto ragionamento fu al Poggio a Caiano, al-
la presenza dello Illustrissimo ed Eccellén-
tissiiijo Sig. nostro, il G. Duca Cosimo de' Me-
DELL EDITOR riORENTINO. XXXI
dici^ al quale venne volontà di vederlo, il
sopraddetto mese d^ Agosto i565. E cosi il
detto M. Benvenuto gnene fece condurre^
a spese di S. E. I.^ per insino a' Pitti ^ dove
oggi sì posa in una sua camera. E perchè
il detto Messer Benvenuto si reputa a favo-
re^ che S. E. gradisca le cose sue^ si con-
tenta, cheU pagamento sia di scudi i5oo.
d' oro in oro ( non ostante che di sopra
si dica scudi 2000) e quel più o meno^
che S. E. I. vorrà 3 e tutto con sua buona
grazia. E in un altro suo Libro di Debi-
tori, e Creditori scritta dalla propria ma^
no di Benvenuto la seguente nota si le^e^
Quando io facevo il modello del Nettu-
no in Piazza della Loggia, dissi a M. Bar-
tolommeo Concini, segretario di S. E. I, che
da mia parte offerisse in dono il sopraddet*»
to Crocifisso alla Illustrissima Signora Du«
chessa^ il quale mi rispose dipoi due gior-
ni, come S. E. non lo voleva in dono, ma
voleva pagarlo tutto quel, eh' e' vale; di-
modoché io fui disobbligato del dono, é
per questo egli è lecito, eh' e' mi sìa paga-
to il dovere. // Duca fece poi riporre
questo Crocifisso in una stanza della sua
guardaroba , con disegno di collocarlo in
una magnifica caputila^ che^ voleva fabbri^
care nel suo palazzo) ma poi, qualuu'^
que se ne fosse la cagione, fu posto né sot^
terranei della , Granducale celebratissima
cappella , contigua alla chiesa di San Lo^
renzo , dove anche al presente si conser^
va. Anzi il Mini medesimo^ quando la so^
pr addetta cosa scrisse , non dovette per^
XXXII PREFj4Z10f9E
avs^entura ricordarsi y che egli medesimo
avea pure questa fnedesima cosa , contra-
ria alla precedente , scritta a cor. 212. del-
la sua Difesa di Firenze, da esso medesi"
mo molti anni prima fatta stampare in
Lione j cioè nel i^j'j, per Filippo Tingh,
ove si legge : Da Benvenuto Cellini , di
cui fu il Perseo di bi*onzo, che è sotto un
arco della Loggia de^ Signori , e il Crocifisso
di tnarmo^ che è nella guardaroba de^ Gran-
duchi di Toscana ; opera singolarissima (i).
' (i) Non errò punto il Mini, dicendo in diversi
tempi, che il Crocifisso del Cellini trovavasi in luoghi
diversi ; poiché il medesimo dalla guardaroba dei Gran-
duchi passò appunto in Ispagna nel iS^n, essendovi
stato spedito dal G. Duca Francesco I. neU' occasione
che questo Principe mandò a FiUppo li. il suo Mini-
stro Antonio Serguidi per trattarvi affari di grandissima
importanza, come narrasi dal Galluzzi nella sua Istoria
del G. Ducato di Toscana nel libro IV., alPanno sud-
detto: Tutto ciò dovea risolversi in quésta spedizione;
la quale però dal G. Duca era slata prevenuta con un
magnifico dono a Sua Maestà, Consisteva esso in un
Crocifisso di marmo , grande al naturale ^ di mano
di Benvenuto CelL'àiy e reputato in Italia per l'opera
la più perfetta di questo insigne scultore. Tanto si
compiacque il Re di questo bel dono, che lo collocò
subito nella chiesa deW Escuriale e ne dimostrò al
G. Duca un singolare gradimento. Con queste dispO"
sizionifu bene accolta la commissione del Serguìdi ec.
Ed in fatti anche nell'opera spagnuola intitolata Las
F'idas de los Pintores etc- por Don Antonio Palo"
mino FelascOj Pìntor de Camara de Su Magestad
Felipe quinto^ Londres 1^4^ > descrivendovisi le opere
di Pompeo Leoni , che trovansi nella chiesa dell'Escu-
riale, e fra le altre un lodatissimo Crocifisso di bron-
zo , si soggiunge : el de marmol de el traschoro es de
mano de Benvenuto Cellini , que se le presentò à el
Rcjel Gran Duquede Toscana. D\xn(\nQ nel i-^Si. noa
poteva trovarsi ne' sotterranei della cappella Giandu-
MEIL* EDITOR FIOJtENTirfO. XXXIU
Ma ritornando al proposito nostro, al
sopraddetto elogio fatto al nostro Benvenuto
da Giorgio Vasari noi potremmo aggiugnere
quelli del Commendatore Annibal Caro
nelle sue Lettere (i), del Lasca in una delle
sue piacevolissime Madrigalesse (a), di Nic-
colò Martelli nelle ^ue Lettere (3), £ Bene-
detto Varchi in parie sue opere e poesie (4)i
cale di Firenze che qualche modello o copia della detta
opera lodatissima; e ben dee far maraviglia, che l'au-
tore di questa prefazione, trovandosi in Firenze, non
si accertasse della cosa, prima di menar tanto rumore
contro il Mini. Per altro anche Monsignor Bottari nelle
sne note al Vasari ha ripetuto Terrore, dicendo, che
il Crocifisso del Gellini. al presente è collocato nella
Chiesa sotterranea di S. Lorenzo, sopra Saltare di
mezzo; e non fu corretto dal P. della Valle.
(i) Il Caro parla del Cellini tre volte, cioè in
due sue lettere a Luca Martini, T una dei 23 Novem-
bre i53q. e l'altra dei 19 Gennajo del i545, e la
terza volta in una lettera al Varchi in data dei 3.
Dicembre i53g. Vedi le Qpere del Caro da noi ri^
stampate, voi. i. pag. 3a. ^9. e 257. .
(2> Vedi pili sotto a pag. a65.
(3) Vedi il volume antecedente a pag. 98.
(4) Benedetto Varchi parla del Gellini nei sonetti,
che si vedranno a pag. 270, 7*]L e 385. del presenta
volume, non meno che in quello diretto ad Antonio
Ubertini, detto il Bachiaceha, da noi citato a pag. 2 19.
del voi. 2«, i) quale finisce:
/ bronzi ai gran CeUùtj deono i marmi
Al Buonarroto, al Bachiacca i ricami.
Le pietre al Tasso ^ al Bronzino il permeilo»
Nelle prose poi parla il Varchi di Benvenuto nel libro
XI. della Storia y e in due sue lettere al Bembo, Tuna
dei IO. Novembre i5S5,r altra dei 3. Luglio i5S6,
come da noi si è accennato nel voi. i. a pag. 307*
e 541.
CeUini Ben. Voi III. . e
XXXIV TRE^AZiÙNK
\
del gran Cordmal Bembo parimente (i) nelle
sue Lettere {al qual porporato una cele^
hre stimatissima medaglia fii fatta da BeD«
venuto ^ che , come cosa singolare e nel
suo genere rarissima, si mostra ancora
da' dilettanti conservatori di queste me^
morie ^ y e di molti altri chiarissimi, e
autorevolissimi scrittori; ma per non gra^
vare in questo luogo di soiferchio il letr
tore, lo rimettiamo a quanto ne dice il
sopraccitato autore delle Notìzie Storìcbi?
degP Illustri Accademici Fiorentini ^ ot^e
da car. iSa. fno a car. 190. si possono
h^re distintamente tutti gli accennati
elogj registrati Unicamente ci piace di
riportarne in questo luogo uno onoratisi
simoj fattoci dal duca Cosimo^ del qua^
le elo^o piùy che di qualsivoglia altro j
si dee far conto, partendosi da un savis-^
Simo Principe e del merito delle virtuo^
se persone giusto stimatore e conoscitore.
Egli in sì fatta guisa ragionò del Cellini
ih un suo Motuproprio spedito in Pietra^
Santa sotto il cu 5. Ma^'o del i56iy in
congiuntila di ilonargU la c^sa di sua
abitazione f posta in Firenze nel quart&f
Santa Croce , nella contrada o via chia-^
maio del Rosajo ^ U qual Motuproprio
(i) Il Card. Bembo scrùie al Celimi stesso una
lettera, come si è detto Del Voi. i. a pag. 44^ ® ^^^^
di lui m'ensione molto onorevole in altre due lettere al
Varchi 9 scritte nel i5S5 Vedi le Opere del Bembo da'
noi ristampate^ a pag« J^oS, /^q5. e 4^7* dèi voi. ^U
DRLJ^ ÉDiTOR FtOKBNTlUO. XXXV
ubbiàmo osservato traile scritture di Ben-
venuto mostrateci dal mentovato Canonico
Salvini = Riconosciamo per il tenore delle
presenti lettere^ e fiicciamo noto a ciascn*
no^ che^ convenendo al Principe abbracciare
beDÌgnamente gli nomini celebri e molto
più prestantì che gli altri ^ noi con singo-
lare affetto amiamo Benvenuto di Giovanni
Cellioi y . nostro cittadino fiorentino , artefice
di getto e scultore dMncomparaoil gloria
chiaro , e il suo ingegno e maravigliosa
arte dMntagliare, o fiibbricare il marmo ,
ammiriamo. Cosi noi^ acciò la sua gloria
e virtù con onori e benefizi accreschia»
mo, per queste e altre ragioni» ohe muo-
vono r animo nostro incitati^ al medesimo
Benvenuto . . • . diamo, concediamo e libe^
ramente doniamo la casa posta ec.
Resta solo da fare succintamente men-
zÌQne di alcuni altri Trattati e opere scritte
dal, nostro Benvenuto^ che cereamente saréb*^
he de^siderahìle ^ che in parte non fossero
perdute 9 come vi è forse motivo di so*-
spettare, o per lo meno che fosse a nostra
cognizione pervenivo, dove tuttora si con^
servine. Ma da che^ non ostante le diligen-
ze fatte , non è stato a noi possibile venir'*
ne a capo y è forza il contentarsi di dar-^
(i) Questa lettera del Duca Costino fu da noi
pubblicata interamente tra ì Ricordi Celliniani, giu-
sta la copia» che se ne conserva nella MagUàbechiana^
la qual copia perla ancbt la data dei 3 Maggio^ e
non dei 5.
XXXVI >REFj4ZlONE
ne al lettore quella più semplice contezza ^
che possiamo.
Il Padre Negri di sopra mentovato ci
fa sapere^ che sono perduti i Trattati di
Benvenuto sopra la Scultura; ma concios^
siachè da niun ^ altro scrittore delle cose
nostre, meglio del Negri informato j non
venga ciò asserito j ne egli ci dia altro
discarico , onde traesse cotal sua notizia ,
evvi forte motiva dì dubitare y che questo
buon Religioso o non abbia veduta giam^
mai V impressione di questi Trattati^ o pur
non abbia in essa osservato , che il Se-
condo Trattato è tutto attenente alla Scul-
tura ^ ragionandovisi distesamente non tofi*
to del gettar le statue di bronzo y quanto
micora dello scolpirle in marmo.
Scambiò il Negri perawentura dd
Trattati sopra 1* Architettura e Prospettiva,
i quali avere Benvenuto composti o per lo
meno avuto in animo di comporre y si ri*
cava parte dello sbozzo della sua lettera al
Principe Francesco sopra registrata ( in mar*
gine dalla quale sono pur di sua mano notati
gli argumenti delle materie spiegate in que^
sti Trattati , e in fine di essi e notato :
Discorso sopra TArcfaitettura)^ e parte da ciò,
che egli medesimo lasciò scritto verso la
fine del Trattato medesimo della Scultura
in questa guisa: Ma perch'io mi riserbo
altra volta a parlare di ciò^ e particolare
mente della Prospettiva, dove io farò paleso
oltre a quello y che io intendo di trattare j
infinite osservazioni di Liouardo da Vinci
intorno a detta Prospettiva, le quali trassi^
dell' EDITOR FIORENTINO. XXXVII
<)a un suo bellissimo Discorso , che poi mi
fu tolto insieme con altri miei scrìtti j per-
ciò non sarò più lungo ec. (i).
Traile mentovate scritture conmnica'^
teci da Carlo Tommaso Strozzi abbiamo
troifato un frammento , pur di mano del
Gellini, sopra il metodo (T imparare Parte
del Disegno, il quale comecché sia inwer*
/etto e con alcune lagune, e forse dalP au*
tare non conyyiuto né esattamente esami^
nato , non pertanto per la noifità del pen^
siero e perchè fa vedere quanto fondata^
mente il Cellini divisar sapesse le cose d
?uesta materia appartenenti , ne è piaciuto
a^iidgnerlo in fine di questi Trattati ,
sembrandoci ancora^ che per tal conve-
rtente se ne assicurasse la conservazione
meglio di quel , che peravventura fosse
potuto accadere , se ad un solo mezzo la^
cero e consumato esemplare dovesse rima^
nere affidato (a).
OUre agli studj appartenenti alla sua
professione il Cellini si dilettò anche di
comporre in poesia toscana., imperocché
oltre a un sonetto , che egli pose in fronte
della sua Vita, 'ed un Capitolo diretto a
Luca Martini in lode della prigione, fatto
in congiuntura, che era stato fiserrato in^
Castel San£ Angelo ad istanza di Pier
Luigi Farnese j ed un sonetto indirizzato
(e) Il principio del delto Trattato suOa Archi •
iettura e sulla Prospettiva vien da noi rùtainpato a
pag. 245.
(2) Vedi a pag. 2^9, di fptesio volume.
;tXXVIll PMFAÉtONR
lai Capitano di quella fortezza y i quali
pariménte nella sua Vita riporta (i), dal
mentovato scrittore delle Notizie appar<>
tenenti ad* Illustri Accademici Fiorentini
si hay che si tros^ano akre sue poesie
manoscritte nella Libreria di un Accade^
mico , che per moke conietture crediamo
esser quella del famosissimo Antonio Ma-»
gHabecm^ benché per le ragioni di sopra
addotte non sia stato in nostro potere il
chiarircene pienamente. Un altro sonetto
di Benvenuto si trova stampato tra ìe ri-*
me di Madonna Laura Baltiferra (2). Mold
altri suoi sonetti e poesie , scritte di pro^-
pria mano di Benvenuto, conserva presso^
di sé il Canonico Salvini , la ma^'or
parte piacevoli e burlesche , come sono
molti sonetti fatti in congiuntura detta
sua prigionia, oleum sopra la Filosofìa
dcL esso detta Boschereccia j alcuni sopra
il pagamento del suo Perseo trattenutogli
da Ministri del Duca Cosimo^ alcuni con^
tro il Càvalier Bandinello e contro un
certa Vanni ^ con cui piativa , alcuni'
cóntro al Lasca e contro Gìovan Maria
Tarsia ; in congiuntura della pontroversia
occorsa nelV essequie del gran Michelagno**
!ò Bonarruoti^ di che più sotto si tagio^*
nera. Ve ne sono parimente alcuni de' serj
e gravi in lode della_ Scultura , di Miche*-
(1) Vedi la FUa voi. i. pag. xxvii^ 4^6. 4^9 ^
e voi. 2. pag. I.
(2) Vedilo a pag. a68. di questo voi.
^;
Dèli* EMTÙK FtOHiNTriffi. XXXXK
lagnolOf i/e/r AtniuaiinaLo e di àf adori'-
na Laura Battiferra sua moglie y del Var?.
chL^ del Duca Cosimo j e sopra il Nettuno
no, the sperava doi>er fare in Piazza ^
quantunque fosse poi conceduto all' km-^
mannato. Hawene ancora de* morali e
spirituali in morte del nostro Salvatore^
iti lode di San Gios^an Batista; e questi
furono forse fatti da Benvenuto in con'*,
molitura^ che Vanno i558. ^i 9enne ta-^,
lento . di darsi alla irita spirituale j onde
desinò di prendere gli ordini sacri, e in
fatti pf^ese la Tonsura^ di che quantun^
tie non faccia egli menzione nella sua.
ila 9 pure noi ne abbiamo tros^ato un Ri"
cordo scritto di sua pròpria mano ne' so^
prammentos^ati suoi libri di conti, di questo
tenore: Ricordo, come al nome di Dìo
Sesto di 2. Giugno i558. io Benvenuto.
Uini ho presa la prima Tonsura^ cioè i
primi Ordini a prete dal Reverendiss. Mon*
signor de^ Serristori^ in casa sua nel Borgo
di Santa Croce ^ con tutte le solennità e
iMrimoniè^ che in tali casi si costuma, e
tutto ho £itto con licenza del ReverencUss.
Monsignor Vicario deir Arcivescovado di
Firenze j rogato Ser Filippo Franzini notaio
pubblico in Vescovado. Nel i56o. avendo
volontà d^aver figliuoli legittimi, ma segre-
ti, mi feci liberare di tale obbligo^ e se-
guii la mia volontà (i).
(i) Vedi questo stesso Ricordo con qualche va-
riante nel volume precedente.
Xii PRBFAZiONE
Non solamente si dilettò Benvenuto di
comporre in Poesia y ma ancora si com"
piacque assai della . lettura de' nostri pia
famosi poeti y come da un luogo della sua
Vita chiaramente si comprende; imperoc-
ché a proposito di un motto franz^se da
esso udito in Parigi egjli dà una spiega-^
zione molto verisimile a quel verso del
Canto Settimo delt Inferno di Dante:
Pape Satan Pape Satan aleppe.
Ija quale spiegazione, perchè a questo luo--
go si confà , e perchè è alquanto curiosa,
ci piace colle sue parole medesime qui
referire;^ Gonaparvi alla gran sala ec. (i) ma
sognate. Infatti non aveva torto Benvenuto
a così pensare ; perocché in quel verso
di Dante ì cementatori volendo dare qual^
che intelligenza a quelle da loro male in-
tese parole , fiirono forzati a ricorrere
alla lingua greca e alla lingua ebrea j
figurandosi di ravvisarci due particelle di
quelle lingue contenenti due diverse espres*
sioni in un medesimo tempo ^ una di ant'^
wirasioney V altra di dolore, come si può
vedere nel comento di Francesco da Buti^
in quello del Boccaccio j ed anche ne* più
' moderni y come sono il Landino e 7 Velr
lutello.
(i) Si ommette il passo della Viia , di cui qui
parlasi f perchè da noi fu già inserito letteralmente
nel voi. a. pag. io5.
\
HEIL EDITOR FIORENTIUfO. XLI
Ma ritornando a' componimenti di
Benvenuto^ tra i mentovati suoi sonetti
abbiamo ossers^ato due prose in istiìe as*-
m faceto e bizzarro dettate , una conte--
nenie un ragionamento sopra la Filosofia
Boscherectia , P altra un sogno o visione
in commendazione del Duca Cosimo y e
queste sono di sua mano medesima, pari"
mente scritte. Oltre a tutte le predette co*^
se scrisse anco il Cellini un picciol Discor-
so sopra V eccellenza della Scultura ^ in oc-
casione della controversia nata tra i pit-
tori e scultori sopra il luogo destro as'-
segnato alla Pittura nelV essequie di Mi-
chelagnol Buonarroti, il aual Discorso si
trova stampato in fine della Orazione fet-
ta da Giovan Maria Tarsìa in lode del
gran Michelagnolo suddetto nelle mento-
vate essequie j ed impressa in Firenze pres-
so il Sermartelli nel i564. Ed in questa
congiuntura fu ^ che avendo il Lasca scrit-
to un sonetto contro V opinione del Ce\-
ìaà, cioè della pr^erenza della Scultura
aUa Pittura, il qual sonetto è stampato
in fine della detta Orazione, e parte di
esso ancora nelle Notizie degli Accade^
miei Fiorentini; il Cellini a quello rispose
con un altro sonetto per le rime (i); ne pa-
rendogli d'essersi pienamente sfogato, ne
volle scrivere un altro ^ pure in burla diret-
•«•i
(i) Vedi a pag. 256. il Discorso predetto e quindi
t sonetti del Laisca e del Cellini.
1
tamente òontro al medesimo Lasca* La
professione ài scuUore^ e V amore ^ che H
Celi ini portava a questa nobilissima arU^
lo incitala ad innalzarla sopra la Pitturai
onde su questo stesso argomento scrisse
anco una Intera a Messer Benedetto Var*
chì^ che in cotal quistìone del suo pa^-
rere lo ricercò; la qual lettera fii vtam*
paia (\) con alcune altre di AI icheiagnolo »
del Tribolo ; del Tasso, di Francesco da
San Gallo , e del Pontormo dopo le du»
Lesioni del Varchi Jatte sopra questa ma*
feria j lette da esso nM Accad&nia Fìo^
ventina Vanno i546. in occasione di spor^
re il sonetto di Michelagnol Bonarruotiy
che comincia:
Non ha r ottimo artista alcun concetto:
le quali Lezioni furono prima impresse in
Firenze da Lorenzo Torrentino nel i549.
e poi ristaìhpate con tutte V altre dopo
la morie del Varchi nel ìSqo. presso i
Giunti (a).
TroK'onsi alcune altre lettere origi^
naU del Cellinì scritte a varie persone
in occasione delle commissioni de sum la^
voriy alcune delle quali y che in memo ci
sono capitate^ speriamo di comunicare al
pùbblico nella Terza parte della nostra
Raccolta di Prose Fiorentine ^ 2iiogo cre^
(i) Vedila a pag. 256.
(2) in questa ristampa per altro furono ommesse
le citate lettere di Miehelagnolo» dei Tribolo ec
/
J^SLìf EDiTÒR riÙBÉIfriNO. XLIlf
dato da noi più confacei^ole per esse ; che
non sono i presenti Trattali (i)«
Ma da che si è fatta menzione di tutti
i componimenti di Benvenuto Cellini y e da
che in questi Trattati mohissìme delle sue
opere ìK Oreficeria e Scultura sono mento-
\fate, per rendere più compiuta , che per noi
si pub j la memoria delle sue fatìché^ abbia-
mo giu€Ìicato bene di annoverare ancora y in
questo luogo, alcuni altri suoi pia minuti
mori intomo a queste artìj da noi osser-
vati nelV inventariò dette cose rimaste neU
la sua bottega e casa, fatto fare da* suoi
eredi dopo la sua morte y il quale inven-
tario y traile sopraddette scritture e libri
di conti y in mano al mentovato Canonico
Salvini si conserva; e tanto più volentieri
ne facciamo menzione y quantochh sospet'^
tiamo , che ora verisimilmente quasi tutte
k sopraddette sue opere o siano andate in
ntalora o smarrite, o almeno in varj
luoghi e presso varie persone disperse,
senza aversi pia notizia del loro ecùdlen-^
te artefice. Sono dunque i seguenti:
Il modello y di legno y della base del Perseo.
Un modello^ di gesso del Perseo y in
gìUmdcs
Una storia di un Adamo, ed Eva, in
bassorilievo di cera y in un quadro
di pietra morta.
Un modellino idi Cleopatra, in cera.
*M<ki
(i) Nelle Ptose Fiorentine non fu poi stampata
akttRft kttera del Cellini.
XLIV PREFAZIONE
Un modello non finito di NeUunno, di cera.
Due o tre modellini del pergamo di
Santa Maria del Fiore di cartone*
f^oha il Dufia Gosìrao, che Beo-
• venuto facesse il pergamo di questa '
chiesa j di basso riUes^o di bronzo j
e perciò egli ne fece i modelli; ma
qualunque sene fusse la cagione,
quest'opera non ebbe effètto.
Un modello di un Crocifisso^ di terra^
Altro modello di un Crocifisso, nonfim^
to, di cera bianca.
Un modello della Fonte di Piazza ^ cioè
del /\ettunno, in cera.
Un modello d una Qiunohe , di cena
gialla, non finito.
Un modello d 4ndrs>meda y di cera , in
bassoriliesH>.
Un modelle tto d Andromeda, di cera^ in
bassoriliesfo.
Un modello di gesso ^ in grande, d un
Crocifisso^ non finito*
Due ritratti di marmo, uno del Duca
Cosimo^ non terminato y F altro dd*
la Duchessa Leonora.
Una testa di una Medusa y di bronzo. '
Un modello di Nostradonna^ in cera.
Un Narciso di cera.
Un Iacinto di terra cotta.
Un modello pel sepolcro del Papa, in
cera, con più figure.
Una Minerva di terra cotta.
Dna figura d una femmina , di cera.
Un modello duna Carità.
VEt^ EDITOn FIORENTINO. XLV
Dt/ie scatolmi di ritrattini del Principe
Don Francesco^ abbozzati.
Una statua di marmo , d ima Carità y
abbozzata.
Due Cristi in croce non finiti 9 uno di
terra y V altro di cera.
Una testa del Duca Cosimo^ di cera.
Un tondo cT una Luna , di terra.
Finalmente non ihgliamo mancare di op»
vertire il lettore y che in questa nostra edi"
zione de^ presenti Trattati di Benvenuto
Geliini abbiamo giudicato di dos^er trala^
sciare alcuni sonetti, che in fine della
antica edizione del Panizzi si lecevano y
non solo perchè non ci è paruto luogo gran
fatto adattato per inserircegli y quanto an^
cara y perchè traile sopra mentovate poe-
sie di Benvenuto noi abbiamo osservato un
numero molto maniere di componimtnti
poetici latini y e toscani in lode di Benve-
nuto e delle principali opere sue , onde
abbiamo creduto di esser per ingrossare
di soverchio questo volume y se tutte ci si
fossero, come conveniva, inserite ( i ). Solo pa^
teseremo i nomi di coloro, che le mento^
(i) Noi le abbiamo invece ristampale a pag. 274.
del presente volume» riduceiidole a quella miglior le*
zione cbe si è potuto | giacché particolarmente le la»
tioe furono alla prima 'pubblicate con moltissimi errori
tipografici, e vi si trova tuttavia qualche verso fallato.
La mediocrità poi di queste poesie ci ha dissuasi dal-
l' accrescerne il numero 5 presentando al Pubblico le
loro sorelle « che giacciono nascoste nelle Librerie di
Firenze e nella Marciana di Venezia nel codice ?ia«
niano, di ciìi si parlerà a pag. 245. 2j5,
XLVI PKEÉjìZJÓNB
ifate poesie a Benvenuto mandatono, qf-
finche sempre pia si manifesti in che , sti-
ma fu sempremai questo illustre nostro c죫
tadino degli uomini giudiziosi ed onorati
tenuto. Essi sono dunque i seguenti: An-
drea Augulo 9 Cesare da Bagno j Giulio
deUa Stufa j Andrea Martelli , Pagano
Pagani , Messer Benedetto Varchi y Ber-
nardo Vecchietti , Messere Lelio Boqsi ^
Alessandro Allori detto il Bronzino^ Ser
Angiol Favilla^ Miniato Basini^ Paolo Mini,
Antonio Allegretti j Michelagnol Vivaldi j .
Pietro Angelio da Barga j Messer Domeni-
co Poggiai j Messer Lodovico Domenichi ,
Aritonfrancesco Grazini detto il Lasca ,.
Matteo Ghirelli , Niccolò Mochi , Vincenzo
scultore da Perugia e Zanobi Lastricati.
Di un altra cosa ci piace per
ultimo as^ertire . il lettore y ed è che
avendo traile mentovate scritture y da
Carlo Tommaso Strozù mostrateci, trovata
V arme di Benvenuto Cellini, da esso me-
desimo, in una carta, parte con matita
e parte con inchiostro disegnata y conte--
nente un leone doro rampante in campo
azzurro, e sopra del medesimo tre gigli
rossi in campo d argento , tramezzati Aa
un rastrello rosso, abbiamo giudicato oppor^
tuno il farla intortare e inserire per orna-
meato del fregio collocato nella prima pa^
gina di questo volume ( i ). ^Nella carta sud^
(i) Quest'arme fu da noi posta sotto il ritratto
cleir autore, che sta nel primo volume, ove a pag. ibo.
parlasi pure di questa arme stessa.
I^IL^ EDITOR FIORENTINO. XLVU
detta abbiamo ossersfota e qui trascritta la
« seguente memoria y. di mano dello stesso Berir
venuto. Là vera arme de^ CellÌBÌ^ conforme
a quella délli gentiluomini di Ravenna ^ cit-
tà antichissima , e triovata in oasa m^'a in §i*
DO da Cristofano Cellini^ mio bisavo^ pa«
dre d^ Andrea mio avolo.
Da tutte le esposte notizie ci facciamo
a credere, che agewlmenjte il lettore pos'^
sa comprendere in quanta stima si dehba^
no tenere i presenti Trattati ^^ non tanto
per V eccellenza delV autore loro, quanto
per le mentorie e per gli utiUssùrd inse^
gnameniiy di cui sono ripieni; laonde ci
giova sperare y che la nostra fatica ^ qua^
lunque ella sia^ in ciò usata amore^oU
mente sia per gradire e lietamente acco^
gliere , e con frutto servirsi di questa ope-
ra, per ritrovare la quale vana ed infrut'-
tuosa non ha guari sarebbe stata qualun*
que più premurosa diligenza e ricercar
ALL' ILLUSTBISS. E BEYERENOISS. SIG,
DON ERNANDO
CARDINALE DE' MEDICI,
5IG. E PADMIfE atro OSSBRTARDISSnlO ,
BENVENUTO CELIINL
.zx. gran ragione s* è destato negli
animi di ciascuno. Illustrissimo Signor
mio, una nobile aspettazione del va-
lore e della virtù sua; essendocjjè in
Celimi Ben. Fol. Uh
M
ri
h CELLINI
quegli anrii^ che comunemente i Gio^
oani sogliono del tutto far serva la ra*
gione^ elUis, con senile prudenza ^ d'ogni
sua operazione P ha fatla interamente
govematrice. Il che chiaramente vien
manifestato per tò testimonio di molti
personaggi d^ autorità e d^ ottimo gzu-
dicio^ che talora sentendola con pron-
tezza disputare ^ Qon ragione giudicar^ ,
e ornatamente e con facilità' esprit
mere i suoi concetti^ hanno affermato
di non aver conosciuto né ingegno più ^
fiorito^ né animo vestito di più signo^
rile e moderata costumatezza. A queste
sue rare para s^ aggiugne ancora uno
stimolo , ette la sprona continovamente
a desiderio dj. gloria per mezzo degli
studj e per mezzo d^ una universale
protezione y che ella prende ^ in favorire
ogni virtuosa f acuita ; e particolarmente
so y che non tiene neW infimo grado
fra le pregiate arti quella della Scul'^
tura e del gettare de' bronzi , come più
volte y ragionando y rn é stato fatto fede
dal virtuosissiino M. Gherardo Spini y
suo segretario^ e Giovane y che oUr^
aU\ essere ornato di belle lettere (siccome
è no/o a V. 5, Ittustriss. ) è ancora
intendentissimQ deW arte del Visegno a
DEDICATORIAé M
lÈieW Architettura.. Il che sentendo , e
parendomi^ che perciò mi si porgesse
occasione di poterle dimostrare in parte
quanto io mi . senta obbligato alla sua
Illustriss. Casa^ mediante i beneficj
infiniti^ che da quella ho ricei^uLo e
ricevo continovamenle y facendole dono
d^ alcune mie fatiche), eh' io già com^
posi intomo alle detf arti ed altre
simili^ le quali già furono vedute,
scritte in penna , dalU Illustrissimo
Sig. Principe di Fiorenza^ suo fratello;
col consiglio del detto M. Gherardo y
del quale fa non piccola stima , mi
deliberai y ponendole in luce^ fame
umilmente dono a V. S. Iltustriss. J^è
qui intendo altrimenti di scusare il
picciolo presente o il poco valore di
esso ; perciocché a me parrà d' avere
ottenuto assai ^ se ella (come è suo
solito) avrà riguardo solamente alVaf
fatto della setvitu mia verso lei; che
nel resto io son sicuro ^ che giudiciosi
riprenditori dell' altrui fatiche son te^
nuti quelli y che in colai guisa perdo^
nano gli errori commessi , cornee se essi
avessero sempre ad errare ^ e si guardano
d' errare , come se non perdonassero
mai gli errori di nessuno. Degnisi
LU CELUNt
adunque V. S. Illustrissima di ricevere
il picciolo presente colla sua solita fee-
nignltà^ ed a me far dono della sua
grazia, tenendomi nel numero de' suoi
umilissimi servidori.
Di Fiorenza ^ addì si6. Febbraio,
MDLXFIII.
LUX
PROEMIO
Mono appresso di Plutarco ripresi
que' Filosofi , ì quali inanimando cia^^
scono a ben operare, non mai dìmo*
strana con opcire o con precetti co- ^
n^ ciò sì pq^sa conseginte ; e questi
sono da lui assomigliati a coloro, cl^
Sroccurano con qualche, picciol ferr:o
i Èar che un lume aixla^senas* laggiù*
gnerci umore , onde il lume si possa
mantenere ardendo^ Questo bellissimo
precetto, essendo più volte da noe stato
CeWni Bm9. Fot. Ili d *
tIV GEIXim
considerato 9 m^ha &tto ardito di pren«
dere a ragionare deff arte dell' Orefi-
ceria (essendoché io non pure del con-
tinovo ho cercato d'inanimire con pa-
role a bene e, diligentemente opera-
re tutti coloro, che di questa inge-
ignosissima arte si dilettano, ma con
diverse opere , condotte da me con gran-
dissima diligenza e studio, ho lor fat-
to manifesto come a aualche perfe-
zione e lode possano delle loro fati-
che pervenire); mentrechè io a ciò fa-
re era continuamente esortato da mol-
ti virtuosi amici, i quaU prudentemen-
te mi andavano con vive ragioni dimo^
strando, <xhe; il tempo, che apporta
sempre tenebre e oscurità sopra le
cose, potrebbe se non del tuttx> que-
st'^ industriosa arte estinguere, almeno
di molte sUe parti privarla , siccome
di presente si vede esser - avvenuto di
quella del lavorar di niello , che po-
chi artefici vi ha in Fiorenza ( per
esser élla dismessa ) che si ricordino
d'averlo veduto lavorare. Ben è vero,
che io conosco d'ayer preso a trsitta-
re cosa di non picciola importanza, e
più'' lecito forse mi era a quelli, ch^
di ciò mi pregavano, il negar loro
cosi ; giusta dimanda , che il compia-
cergli; perciocché difficilissimo è il
voler ragionare di cose, in quelle par-
ti massimamente, dove sonò statt e
di presbite si ritrovano tanti eccellen-
tissimi ' uomini ( siccome è ih Fioren-
za, mia chiarissima patria) le quali
da essi fìirono e sono eccellentemen-
te possedute : ma perchè ( s' io non
m' inganno ) il lungo studio e T espe-
rienza , che io ho jratto in diverse arti
soggette al Disegno, m'ha dato cogni-
zione di molte cose , le quali arrecar
possono onore e utile a coloro , che
tal arte esercitano , mi son delibe-
rato di essere il primo, che a' posteri
lasci scrìtto i precetti di essa arte ;
poiché nìun altro fin qui ( che io
sappia ) ne ha scrìtto. Awengachè
contenendo ella otto mòdi diversi dì
lavorare^ siccome sono il gioiellare, il
lavorar di niello, di filo, di cesello ,
e di cavo d' intaglio , e di stampar di
conj per far medaglie e monete e
sigilli , e dì grosserìe ; in tutti questi
modi mi sono lungamente esercitato ,
siccome si vedrà nel • presente Ubro ,
dove io con proposito andrò citando
tutte l'opere, àie da me a diversi Si-
l
LYl CEIXIKI
gnori d'Europa $ono state &tte, • A
queste ci s' aggiugueraono ancora al«
cuni segreti e precetti intorno al-
¥ arte • del gettar di bronzi , dì scol^
>ìr marmi ^ e del condurre con ^ faci*
iti cdiossi altissimi , e di mollf altre
particolari avvertenze , qhe in diverse
altre professioni sono state da me os-
servate. Essendo adunque che di que-
sti miei scrìtti alcuno utile né succeda
a quelli, che con benigno e non in-
vidK>so occhio gli lederanno 9 perciò
mi sentirò io contento e pago d'ogni
mia lunga fatica; e quando pure ai-»
trimenti avvenisse , dovranno in parte
i modesti e più di me intendenti
lodar questo mio onesto desiderio , cdk
la loro scienza supplendo al nno - man-
camento. Restane ora a c&mostrare a
coloro , ' che^ seguitare la detta arte
vorranno , quali - sieno stati quelli uo-
mini , che per mezzo de* principj d' es-
sa pervennero in altri più nooili eser*-
dzj 9 siccome fìirooo , sotto la protezio-
ne del Magnifico Cosimo de' Medici ^
Donatello 9 scultore, Filippo di Ser
Brunellesco, architettore, e Lorenzo
Giberti, il quale fece le pwte mara-
vigKose di bronzo, che sono al tempio
PROEMIO. LVlI
di San Giovan Batista in Fiorenza :
perciocché questi eccellentissimi artefici
tutti da principio s* esercitarono nel-
r arte dell'Oreficeria. E perchè insieme
con questi noti restino senasa meritata
lode, per F ingiuria de*, tempi, quelli
ancora , che interamente seguitarono
V arte , di che a trattare abbiamo ( av-
vegnaché i soprannominati per le penne
di molti lodati scrittori si rendano chia*
ri ) . faremo menzione d' Antonio del
Pollaiuolo, il quale fu orefice eccellen-
tissimo, e cotanto valse nell' arte del
Disegnò , che non pure gli altri orefici
si servirono delle sue invenzioni ^ ma
molti scultori e pittori di quei tempi ,
mediante quelli, si fecero onore. A
questo s' aggiunse Maso Finiguerra , il
quale , valendosi de' disegni d' Antonio
predetto, attese senza parSigone a inta-
gliare di niello , e Amerigo Ameri ghi ,
che alcuno non .ebbe , che lo superasse
in lavorare di smalto. Michelagnolo da
Pinzidimonte poi valse non poco nel
legar gioie , e meritò non poca lode
per lavorare universalmente assai bene
di niello, di smalto e di cesello. Ma.
molto più di questi si renderono chiari
IVIII CELLINI
Piero , Giovanni e Romolo del Tpvo-
laccino, tutt'e tre fratelli; perciocché i
medesimi neU' arte dell' Oreficeria con
buonissimo disegno legarono gioie in
pendenti e in anella , senza trovar, in
cfuei tempi, pari, e non poco furono
lodati lavorando di cesello e in intaglio
di ba,sso rilievo. Accrebbono ancora
riputazione alF arte Stefano _ Salteregli ,
Zanobi del Lavacchio e Bastiano Cen-
sii ini , il quale particolarmente fece Je
«tampe delle monete in Fiorenza lun-
ghissimo tempo. Piero di Nino fu an-
ch' esso orefice , quantunque egli non
lavorasse mai d' altro, che di mo;, nel
qual esercizio prevalse ad ogni altro;
siccome inteiTenne ad Antonio di Salvi,
che lavorò di grosseria eccellentemente,
e a Salvadore Pilli, che fu grandissimo
pratico nel lavorare di smalti. Ma dove
erano da me lasciati Lorenzo dalla Ool-
paia e Andrea del Verrocchio? 1' uno
de' quali esercitando tal arte si volse a
far gli orivoli ed in quella professione
con tanto fondamento e diligen^ ope-
rò, che perciò ne venne lodato da' più
intendenti d' Italia ; siccome 1' altro ,
che ancor esso essendo stato aU' orefice
PROEMIO. LIX
fino che era uomo ^tto, nella Scultura
fo tenuto Hi sìiìgolarìssimo pregio. Non
manco son ^^gni di lode di questi no-
bilissimi ingegni fiorentini alcuni orefici
oltramontani, che con grandissima di-
ligenza hanno operato in quest' arte ;
fra' quali fu Martino Fiammingo, e
quantunque egli seguitasse la maniera
di quelle contrade, imperò si vide in-
tagliar di niello, e di rame col bulino,
con grandissima pratica e leggiadria.
Lasciossi addietro di gran lunga Martino
Fiammingo ¥ eccellentissimo Alberto
Duro nelle cose dell' intagliare di niel-
lo, si rivolse a intagliar con tanto ar-
tifizio le stampe , che ancora non- è da
alcuno , che io creda , stato superato.
Furono in questi tempi Antonio da
Bologna e Marco da Ravenna , pure
orefici^ i quali gareggiarono nell' mta-
gliare con Alberto , e ne riportarono
gran lode. Di tutti questi adunque ,
fra gF infiniti , che neir arte dell' Ore-
ficeria s' esercitarono , ho voluto far
menzione, acciocché vedere si possa
con che nobile schiera d' artefici an-
dranno tutti coloro 9 che con istudio
continovo cercheranno d* apprenderla :
ma tempo è ornai dì dimostrare col*
r aiuto d' Iddio benedetto quanto prò*
messo abbiamo ; e perciò cominceremo
in prima a trattare dell' arte del legare
le gioie.
TRATTATI
Di V.
BENVENUTO CELLINI
SOPRA *
L'OREFICERIA E LA SCULTURA
TRATTATO PRIMO
CAPITOLO PRIMO
DdVarte del gioiellare ; della natura delle
gioie Jini e delle pietre finte; delle loro
legature e fiy^ie ; della tinta de dia-»
manti; del mòdo di fare lo specchietto;
e di ' moke altre particolari avvertenze
intomo a dette gioie.
\^ui non sarà nostra iotendimento di
ragionare distintamente delle cagioni, che
producono le gemme; ma essendo di que-*
sto da diversi Filosofi sottilbsimamente e
CeUini Ben. Voi
/
a CELLIRI
abbastanza trattato^ siccome furono Arìsto^
tile, Alberto Magno, Plinio, Solino^ FIiman«
to, Isidoro ed infiniti. altri dottissimi uomini^
a noi basti dire, quéste , siccome tutte V altre
cose dalla natura pr^do(te sotto il cerchio
della Luna , esser composte de' quattro eie*
menti , e , secondo la spezie^ dette gemme di
essi elementi partecipare ed avere maggior
virtù , e come essa natura a sommo studia
abbia voluto rappresentare i colori di detti
elementi , dipingendoli in quattro principalt»-
«me gioie, le quali sono il rubino , il zaffiro ,
lo smeraldo e il diamante; perciocché pec
mezzo delPacceso rubino ci si dimostra quello
del fuoco 3 per lo ceruleo ed azzurrino colore,
del zaffiro quello delFaere; per F allegro co-
lore dello smeraldo quello della terra , quasi
di verdi erbe ricoperta j e per lo traspa^
rente diamante quello delF acqua , che ia
esso chiara , lucida e ondeggiante si scorge.
Di queste adunque intendiamo noi principal-»
mente trattare, siccome quelle, che infra tutte
le altre pietre solamente giudichiamo, me*
diante la Iorio finezza , virtù e bellezza^ de-
gne d'esser chiamate gioie: ed avvengachè
con proposito , secondochè ci se ne porgerà
occasione, intendiamo di parlare di alcuna
proprietà e ' virtù di esse gioie e di altre
pietre , che dietro a queste seguiranno ; con-
tuttociò il nostro primiero intendimento si
è di dimostrare con ogni maggior diligenza,
con quale artifizio si possa accrescete or-
namento alla loro bellezza^ e con quale
industria e artificio si stringano e legnina
le dette gioie in peocienti « maniglie. aaeUa^
/
/
OABFiCERU. 3
•arcami, regni papali, corone reali, e at-
Hiili. Ma p*iaia cominciandosi da' rubini ,
serberemo in ultimo a trattare de' diamanti,
per esser questa spezie di gioie, siccome
infra V altre nobilissima , ancora difficilissima
à legarsi; perciocché l'altre gioie o pietre,
che in oro si stringono e legano j appari-
scono contente di certa foglia, della quale
pirleremo a suo luogo, che nel fondo dei
loro castoni si mette: il che de' diamanti
non si Tede avvenire; essendoché, secondo
la diversità dell' essere di quelli , diverse
tinture ricercano; e però, secondoché essi
ai dimosjtrano all' orefice , bisogna , che egli
c(m grandissima diligenza e giudizio cerchi
di tignerli: delle quali tinte ancora minu-
tamente si ragionerà; ma prima comince-
remo a dire de' rubini^ come promesso
abbiamo.
Comiaciando adunque a trattare delk
Sualità de' rubioi, diciamo, questi ritrovarsi
i più sorti, siccome la prima, che si chiama
rubino orientale , che si trova in dette par»
ti y nel qual sito sempre si ritroveranno l«
gioie più belle e di maggior finezza. Questi
rabini di Levante hanno un colore maturO|
pieno « molto acceso. Quelli di Ponente ,
awengaché il color di casi sia rosso, pende
però nel paonazzo agro e crudo. I rubini
di Settentrione sono di color più crudo e
più agro , che quelli di Ponente; ma quelli
ilei Mezzogiorno ritengono qualità molto)
diversa da queste sopraddette , e di es$i
pochissimi si vedono. Questa spezie di ru-
hioi non hanno gran colore, come /qtrelH di
4 CELLIVI
Levante, ma somigliano piuttosto il color
del balasTcio. Avvengachè egli non sia co*
perto di così bel colore , è però un color
tanto acceso e vivace, cbe di giorno si vede
continovamente brillare, e di notte rende
quella luce , che fanno le lucciole ^ o alcuni
piccioli vermi, che rìsplendono nelle tene*
bre. Ben è vero , che non tutti quelli , che
nascono nelle parti esposte a mezzógior^
no^ universalmente hanno cosi maravìglioso
splendore; ma sibbene rendono agli occhi
altrui una vaghezza mirabile e tale, che i
periti gioiellieri dagli altri rubini gli cono-
scono; le quali pietre, che di notte rìsplendo-
no , sono chiamate comunemente carbonchi*
Qui è da avvertire , che avendo io detto y
le vere gioie e degne di /un tal nome ascen?
dere al numero di quattro , ed essendoci al-
cuni gioiellieri di poca pratica ed esperienza,
che connumerano fralle gioie il grisopazio,
il ghiacinto, la spinella, l'acquamarina, la
vermiglia , il grisolito , la prasma , Y amati-
sta , ed alcuni talora vi pongono anche il
granato, ed altri la perla, non considerando
ella essere un osso di pesce ; acciocché
questi tali non s'ammirassero, perchè io
non ragionassi del balascio né del topazio ,
fuggendo la loro ignorante . confusione , di*
stintamente diciamo, il balascio essere ra«
bino di poco colore , e nel Ponente si do-^
manda rubih balascio; ma egli é della
medesima durezza, e p0rò é gioia come il
rubino , senza farvi alcuna differenza , fuori
che del prezzo. Il topazio ancora è gioia , e
perché egli é delia medesima dur/ezza del
ORtriCEUIA. 5"
TkfRvo y av^eagachè egK sia di color direno
perciò si mette col zaffiro, siccome il ba-
iacelo col rubino; il color del qual topazio
è simile ai sereni raggi del Sole. Qui non
fin fuor di proposito, poiché abBiamo co-
minciato a dire di queste quattro prìocipali
gioie ^ cioè rubino^ zaffiro , smeraldo e aia*
mante, avvertire, come il rubino è io mag-
giore stima e pregio oggi di tutte T altre
gioie; perchè uti rubino, che pesi un carato,
che sono cinque granella di grano in circa,
e sia fine a paragone , questou rubino sarà
in pregio di scudi ottocento d'oro; ed uno
smeraldo della medesima grandezza , peso ^
bontà , varrà intomo a scudi quattrocento
d'oro; e un diamante simile di peso e bel-
lezza, sarà stimato dagl'intendenti gioiellieri
scudi cento in circa ; un zaffiro poi pur
simile di peso e perfezione, non sarà io
ìntima più che per scudi dieci. Potrà questa
digressione servire a coloro , che si dilettano
della detta professione. Ma ripigliando il
nostro ragionamento, seguendo U discorso
de'' rubini , tratteremo oi*a io che guisa si
debbe preparare ed acconciare un rubino
per porlo nel suo castoùe d'oro, dov'egli
ha da essere 'legato , o sia in pendente , o
anello; che castane si domanda quella pio-
dola cassetta ^ dbve egli ai rinchiude. Deb^
besi avere grand' avvertenza di non formare
i detti castoni in tal maniera > che la gioia
vi stia dentro tanto bassa ,, che essi occu^
pino gran parte della grazia e della va-
ghezza alle gioie ; né manco i detti ca?
stoni sieao tant' alti ^ che paiano separati in
<5 f CBLtlUI
tutto Calgli altri suoi oraamenti ^ il che sarl^
sehifato sempre da tatti que^ maestri ^ che
saranno periti nel disegiio; Or venghiamo
al modo del legare ì rubini ne^ lor ca^toni^
al che fare si debbe provvedere di cinque
o sei sorte di foglie da porre sotto a^ detti
robinie Di queste s^ usa farne di color rossa
tanto acceso e carico, che appariscano mpl*
t^oscnre-^ indi in tal guisa di mano in mano
se ne vien facendo di quelle > in cui si di«
minuisce tanto il colore, che in esse appena
si diseerne poco p nulla di rossezea» Dovrà
adunque il pratico orefice , postesi le diver*^
sita delle dette foglie avanti , pigliare il ru-
bino con alquanto di cera nera j che sia me«
diocreaiente soda è appuntata , colla qual
punta piglierà il detto .cubino per uno dei
suoi canti 9 appiccando velo ; indi metterà il-
rubino or sopra questa ed or sopra quella
foglia , fin tanto che pel me^zo del suo giu-
dizio egli sia fatto accorto di queUa, che
s'affaccia e convenga col suo rubino; avver-
tendo, che quantunque egli avesàe provato
a scostare il rubino alquanto dalla detta fiH
glia e poscia appressatolo ad essa , tal dili-
genza in gran* parte, ma non in tutto gli
servirà; perciocché Paria , che trapassa infra '
la foglia e 1 rubino , gli mostrerà effetto
dfvekio da quello che farà quando Favrà
posto nel castone, dove l' aria non gli por-
gerà più tal soccorso; è però dovrà, messa
la foglia tagliata ed acconcia nel suo casto-
ne, accostarla una volta al rubino ed un'al-
tra discoatarla assai, perciocché aon vi sono
i OABfiCBRIà. ^
|Hu ohe tre yedate , e la terza viene ad
easere fra le due estreme, cioè fra la più
{pressa e la più lontana^ e fatte queste di-
igenae, allora potrà serrare la gioia come
sì conviene. Ma perchè per mezzo della pra-
tica si ritrovano bellissimi segreti e s^ im-
parano di: moke destrezze cosi nelVarte,
come nelle scienze; io giudico in questo
luogo molto a proposito di narrare quello ,
che per mezzo di detta pratica mi è occorso
d^ esperi meo tare y legando qn rubino di
prezzo di circa tremila scudi di valuta. Era
il detto rubino altre volte da valentissimi
orefici stato legato y e desiderando io d' ac-
quistare pregio alla detta gioia, presi una
piociola matassina di seta tinta chermisi di
grana ^ e questa con un paio di forbicine ta-
gliai sottiUssimamente , ed avendo prima po-
sto nel mio castone alquanto di cera nera
ben distesa, presi dipoi la detta seta mi-
nuzzata , e con un piede di cesellino calcai
la detta seta assai bene> fintantoché ella si
fece unita. Indi vi posi dentro il rubino , il
quale guadagnò tanto di virtù , da quella
che prima aveva, che ciascun degl' inten-
denti gioiellieri di que^ tempi, che prima
l'avevano veduto, riguardandolo di poi|
insospettirono, che egU non fosse stato tinto
da me. La qoal cosa (come a molti può
esser noto) è proibita all'arte del gioiella-
re, né ad altra gioia, che al diamante, si
permette ciò fare j della qual tinta si ragio*
nera a suo luogo. Ma tornando dov^ io mi
partii , essendo ricercato da^ detti gioiellieri ,
di .che sorte di foglia io mi fossi servito
per legarlo , e dicendo , che io non dvem
messo foglia, presente il padróne del rubi^
no^ affermarono, che io l'avessi tinto, o
usate altra cosa simile proibita. Laonde es-
sendo perciò costretto cortesemente dal gen-
tiluomo , a cui io r aveva legato , a doverlo
Bcìorre e solo a lui mostrar tal segreto,
dicendo, che egli mi satisfarebbe delle mie
£itiche intomo ad esso fino a quell'ora dii«
rate (che nessun desiderio -^ ho avuto mag«
giore, che dMnsegnare quel poco, che io
abbia saputo, sempre volentieri a ciascuno ) ,
lo sciolsi pubblicamente jn presenza di tut^
ti; il che vedendo i detti gioiellieri^ me
ne lodarono e commendarono insieme col
padrone sonmiamente. Era questo rubino
molto grosso, e tanto nitido e fulgente ,
che tutte le foglie , che «otto gli erano
poste lo facevano in tal guisa lampeggiare ,
che egli quasi si rassomigliava al girasole,
o air occhio di gatta; le cui sorte di pietre
molti imperiti, come dì sc^ra dicemmo,
pongono fra le specie delle gioie*
Yenghiamo ora a ragionare dello sme*
raldo e del zaffiro. Questi si debbono coUe
foglie, ch^ loro si convengono, serrare nella
guisa de' rubini ; e nelle dette gioie ho io
conosciuto le medesime qualità e difficultà ,
che ne^ rubini; e però di nulla più circa
di essi giudico necessario ragionare, se Ition
delle falsità^ che in e^se gioie si commet-
tono: la qual dihgenza potrà servire per
documento non tanto di quelli, che dilet-
tandosene le comperano, quanto per quelli,
che le comperano per rivenderle. Diciamo
ÒReFICEUIA. g
adunque, che vi sono alcairi rubini Indiani
cfi tanto poco valore , quanto immaginar si
possa ^ ed a me «è occorso vedere uno di
tali rubini nettissimo, al quale da uno di
qaesti falsificatori era stato tinto il fondo
con un poco di sangue di drago (il quale
è uno stucco fatto di gomme , che si lique-
fanno al fuoco) e poi Fav^va legato, e £en
ce va tanto bella mostra , che ciascuno Y a«
vrebbe stimato più di cento scudi , e senza
detta tinta nulla più avrebbe valuto che
dieci scudi. Ma quello che era più da mara^
vigliare, fu, che avendo io detto ^ che quel
robino era tinto, né essoadomi creduto, scio-
gliendosi alla presenza da molti gioiellieri,
ohe dì ciò mi schernivano, vi era su in
tal guisa appiccata detta tintura, e tanto
sottilmente , che chi non ^ fosse stato prati**
olissimo non se ne sarebbe accorto ; perchè
preso un ferrolino sottile, e rastiato il fondo
del rubino , gli feci accorti, di quello che
essi confessavano, che mai avrebbono sti-
mato esser vero. Queste medesime ùifiicuUà
e falsità patisce lo smeraldo e '1 aa£Gro ;
ond' io senz^ altro dire di ciò trapasso più
avanti.
E venendo a parlare delle doppie , dico
quelle ordinariamente farsi di cristallo, tanto
di sotto ^ quanto di sopra; le. quali doppie
sono dì poco valore^ e sì legano in ot*«
tone e in argento pe' contadini. Ritrovapsi
alcuni smeraldi e rubini addoppiati, cioè
fatti doppi in quella guisa , che s^ usa di
(àv col cristallo, de^ rubini e degli ^ smeraldi ,
i ^uali s' appiccano insieme, facendosi la
IO CELLfm
pietn di due pezzi ^ e s' addìmandanQ dop;*
pie; le quali sorte di pietre false si fauno
io Milano. Ma alcuni artefici spinti da ava<^
rizia astutamente si sono serviti di tale in-
dustria per ingannare gli uomini; perciocché
essi hanno preso una soogUetta di rubino
Indiano, ed acconciala con bellissima for«
aa, ed il restante della pietra, che entra
Bel castone delF anello, hanno fatta di cri-'
stallo ; dipoi gli hanno tinti ed appiccati in-
sieme, e legati in oro con arlifiziose lega-
ture, e venduti grandissimo prez^9; siccome
avvenne a mio tempo, che un gioielliere
Milanese, avendo per tal modo cootraf*
fatto uno smeraldo, lo vendè a personag-
gio di grande importanza, il quale si fidava
assai del detto gioielliere, per sewU nove*
mila; e stette tal inganno celato molti anni*
Fasai ancora degli smeraldi e A^ zaffiri di
un pezzo solo tanto ben oontraiuittiy che a
gran pena si riconoscono per falsi; ma per
essere molto teneri, mediante questa imper-
fezione, gU avveduti gioiellieri superano: tal
inganno, e falsità. Ma passiamo a trattare
del modo di far le fogne, che servono a
tutte le gioie trasparenti.
Per far queste è prima necessario , che 1
ralente orefice prepari tutti i ferramenti atti
a ciò, e che sieno di unissimo acciafo, e
pulitamente lavorati; essendoché per con-
durre le dette foglie , le quali sono di tanta
importanza, bisogna sottoporsi ad una ia-
£nita diligenza , pazienta e pulitezza^ Salve*
Mro del Lavaechio) orefice Fiorentino, in
OR Wil^BItU, 1 1
que' temici che io gievaoetto imparaTa la
lietta arte deir ore6cerìa , oUeone gran lode
per rioduistria, che egli usaVa in dette ù^
glie; perciocché egli a nient^ altro attendeva^
che a far foglie per tutte le aorti di gioie^
e parimente legarle ; ed avve^gachè di Fran*^
eia e di Venezia venissero delle dette foglie ^
per esperienza si conoscevamo non eisser du^
rabili, di gran lunga^ quanto quelle del detto
Lavacchio: perciocché le dette sue foglie
erano dell' altre alquanto più grossette , e
sebbene la detta grossezza porgeva , a chi
legava le gioie ^ maggior di Wcuìtà^ che non
facevano r altra foglie forestiere; cotanto
era V utile ( mercé della loro bont4 ) che
apportavano alle gioie, che cominciatasi ge-
neralmente a conoscere la loro perfezione,
egli ne mandava per tutto; opide si era ri-
dotto f per lo spaccio, che esse avevano ^ a
non- attendere ad altro esercizio^ E di vero,
che egli ciò fece con gran ragione , perchè
tal arte richiede tutto V uomo. Ma trattiamo
del nkodo di far le foglie^ È da sap^ere adun--
qae quattro e^^ere/ le sorti delie foglie : la
erima* è detta fo^a comune , V altra rossa^
r altra azzurra e l'altra verde. La prima
foglia ( come s' é detto ) si domanda fogliai
comune , la quale ritiene, in se il color gial-
lo, che serve a molte sorti di gioie e pie*
tre trasparenti ; ma prima che venghiamo
a dimostrare il modo, oom^ queste si fa 3*
ciano, é necessario sapere, quale sia it
peso dèi carato , del quale ci abhiaiBO e
servire nel fare le dette foglie.
f^ CfitLINI
Il carato adunque è il pesò di quatti^
granella di grano; e per fere la detta fo-
glia comune ai debbe prima pigliare
* Carati nove d' oro fine C. Villi.
Carati diciotto d'argento fine XYIIL
Carati settantadue di rame fine LXXII.
Per far la foglia rossa piglierai
Carati venti d'oro fine C. XX.
' Carati sedici d'argento fine XVI.
Carati diciotto di rame fine XViU.
Per far la foglia azzurra piglierai
Carati nove d' oro fine C. Villi.
Carati due d'argento fine II.
Carati sedici di rame fine XVI.
Per far la foglia verde piglierai
Carati uno d' oro fine C. I.
Carati sei d' argento fine VI.
Carati dieci di rame fine X.
Terrassi poi questo modo in condurre le ^
dette foglie. Fondasi prima il rame benis*
simo , e poi si pongano insieme V altre due
composizioni; e quando ogni cosa è bene
incorporata, si debbe gettare in un canale
nn poco largo, né fare la verga molto grossa.
Quando è gettata e fredda , ntnisi poi ìooko
bene, indi si batta col piano del martello
leggiermente, ricocendola spesso , né mai
apengasi in acqua, ma lascisi freddare da
per se senza mai soffiarvi dentro. Essendosi
poi condotta sottile quanto due (ostole dì
coltello y radasi con un rasoio tondo e ga*
gliardo, insino a tanto che per ogni verso
tu conosca , eh' ella sia nettissima , e dag^i
ìnlati nettisi con una lima , tantoch' ella si
sciiopra pura e netta senza crepature. Dipoi^
ORCFICEftU t3
<]«aiid' ella $i tira col ntarleHo y facciasi ,
che Tuno e T altro sia piaoo é pulito , e
colle sopraddette diligenze si conduca sot«
tilissima y quanto più si possa. Debbesi ar-
vertire aùcora di far la detta verga quadra
tanto, y quanto éìV esce del verguccìo , e se«
condochè comporta la quantità della fusione,
la quale dovrà essere di largheaza di due
dita in circa e alquanto più lunga. Questa
detta larghezza è quella , che debbe restare
al fine dell'opera; e perchè nel tirarla ella
vien Scendo qualche crepatura^ veggast dì
tagliarle di mano in mano ch^elle si scuo*
prono ^ fintantoché la verga sia risoluta alla
grosseKza , a che ella si sia potuta condur-
re^ e questi pezzi si debbono bianchire
con gomma y sale ed acqua , che è il bian-
chimento ordinario, che s'usa alF argento»
Dipoi lavinsi tali pezzi puUtamente nell'ac-
qua chiara y e strofininsi leggiermente. Dopo
questo si debbono radere sopra un cannone
di rame grosso , qual sia pulitissimo e li-
sdo; ed avvertiscasi a radergli con un ra-
soio da orefici benissimo arrotato; e ciò si
debbe fare con grandissima diligenza y ac-
ciocché non s'intaccassero; e ciascuno di essi
pezzi si rade solamente da un Iato. Fatto
questo^ si pigli il suo pezzo della foglia co^a
panuo lino bianco^ c$e sia nettissimo^ e si
abbia un tassetto , il quale sia bene arrotata
con una pietra da olio, e dipoi nettisi pu«
Utissìmamente da ogni untume e da ogni
akra cosa, che l'avesse imbrattato. Meotre-
chè egli si brniusce , bisogna stare in una
l4 èBLLINI
Stanza y ddfe non si fbecia polvere; e pi-
gliando un^amatita nera, che son <|uelle
che adoperano gli spadai a metter d' oro i
brunito che egli sia molto bene , dìasegli il
suo colore; il qual colore si dà a fuoco tem-
perato e netto ; tenendo sempre il pezzo
della foglia appreso il detto fuoco ^ con fa-
re j che vèrso il viso di chi lo lavora si di-
mostri sempre il brunito, e che quella parte
die non è brunita, ai mostri al fuoco;
così di matio in mano si vedrai venire il suo
colore. Avvertiscasi , che con iscaldare il
lavoro un* poco più o un poco manco , più^
o manco verrà a pigliar colore, secondochè
altrui piacerà; e questo è necessario avver-
tire, perchè bisogna alF orefice aver* della
foglia più e manco carica di colore^ ae**-
condo l'opportunità delle gioie.
Avendo noi trattato, quanto è parato
di nostro proposito delle tre gioie ^ cioè rur
bino, smeraldo e zaffiro, e delle loro foglie,
verremo a trattare del diamante, del quala
ci siamo serbati a ragionare da nltiaxo , noa
perchè lo teqghiamo di minor virtù delle
sopraddétte, ma 'peii* cagione della nobiltà
sua, e delle difficultà che porta secò in
legarsi e in tignersi*: e avvengachè di prezzo
maggiore oggi sia il rubino che '1 diamante,
ciò nasce non per pltro, se non perchè
de' rubini se ne trovano manco cAie de' dia-
manti ; cosi vien^ a essi diamanti scemato
il pregio ) non per mancamento della bel-*
lezza loro, ma per cagione della moltitu-
dine, che di essi si trova. Avvengachè si aia
detto, il colore del diamante assomigliarsi
ORmCCKIA. l5
àll^ acqua) sì ha da mtendere, che quest^ac-*
qua ha da partecipare di colore, il che
non cade nelr altr^ acque ; perciocché fra le
sue principali parti è^ che ella sia priva al
tutto di colore; onde in proposito de' dia*
manti dico di averne visti di tutti i colori ,
e qui faremo menzione particolarmente di
due y ì quali erano di maravigliosa bellezza*
Il primo era nel regno del Papa nel tempo
di Papa Clemeote Settimo; il qual diamante
era di colore incamato nettissimo e limpi«-
dissimo y e in tal guisa brillava e splende-
va^ che pareva una stella, e appresso di
lui perdeva di vaghezza ogn^ altro diamante»
L' altro mi occorse di vedere in Mantova ; il
qnale era di color verde ; e tanto verde , che
pareva uno smeraldo di poco colore, ma in se
riteneva questa virtù del brillare^ come gli
altri diamanti, U che non si vede negli sme-
raldi ; onde per questa virtù s^ assomigliava a
uno smeraldo più belìo e vago di' tutti gli
altri smeraldi. E di , queste due sorti di dia-^
manti sia detto abbastanza, quantunque io
potessi ragionare di molti altri , per averne
veduti, come ho detto ^ di tutti i colori.
Ragioneremo ora come essi di rozza forma
si riducano a quella perfezione e bellezza^
che si veggono intagliati, in tavola, a fac**
cette, e in punta. È da sapere adunque ^
come i diftnianti non si possono acconciare
soli, cioè uno per volta, ma è necessario
di condurne due a un tratto ; perchè essendo
essi di tanto maravigliosa durezza, tìè al-
tra cosa essendo, che m ciò lot sia supe«
riore né dbe gli possa rodere e consumare^
l6 CBLLIHI
è necessario, ehe^ rimo coMumi l'altra
Laonde si piglian due diamanti, Q tanto si.
fregatìo insieme y che ai riducono alla forma^-
che si desidera; e quella polvere, che fre-
gandogli n'esce, aiuta a condurgli a per-
fetto fine. Perciocché si mettono sopr^unst
ruota diaccialo legati in certi tasseliini di
piombo e stagno, e tenendosi dal manico
con certe tanagliette fatte apposta, colla
detta polvere mescolata con olio si condii*»
cono, come s'è detto. La detta ruota ^ dov^
i diamanti si raffinano e puliscono, si fa
grossa un dito, e Urga craanto apre una
mano , ed è d^ acciaio finissimo a tutta tem«
pera: si ferma sopr'un mulino, dove ella
ai fa girare con grandissima violenza, e io
essa sono accomodati cinque o sei diamanti|
e sopra quella tanaglia, dove sono fermi,
si mette un peso assai gagliardo, il qual
peso aggrava il diamante in sulla ripeta per
dare più pccasione alla polvere suddetta >
che consumi i detti diamanti} cosi in tal
guisa si conducono a fine. Ma non essendo
nostro intento d'insegnare minutamente il
modo d'acconciargli, ci hasterà d'avere ac^
eennato per diletto del lettore questi brevi
particolari, e non fuori di proposito. Ritor-
nando adunque all' intralasciata materia del
tignere i dian^anti, che si hanno da legare
in oro, e delle differenze, che fra Funo e
l'altro si veggono per cagione della diver-
sità de' sopraddetti colori , dico , che quan-
tunque essi siano di diversi colori, non per-
ciò è, che siano di minor durezza; anzi ia
tutti egualmente si ritrova^ o tanto poco
OREFICERIA I f
dìflferente y che nìeate si scorge^ laonelt! tutti
s' acconciano in un medesimo modo. Mi pri-
maohè io venga al modo d^l far le tiute^
yolendo ciò dimostrare per mezzo di occa*
siont importanti^, che mi sono venute^ dì
legar diamanti di molto pregio ^ siami lecito
fare questa breve digressione ^ non lontana
dalla materia, di che abbiamo da trattare.
Avendo adunque Carlo V. Imperatore do-
nato a Papa Paolo Farnese^ nel suo venire
a Roma dall'impresa di Tunisi, un dia-
mante del valore di dodici mila scudi y le*
gate in un castone semplice e puro con un
poco di gamba, il Papa, che un mese in*
nanzi alla sua venuta avea fatto un pensiero
di presentar degnamente Sua Maestà, s^era
compiaciuto di mettermi a parte del consi-
glio, che intorno a ciò si delìberaìise di fa-
re^ondMo, considerando al tempo^ al luogo
e al donatore, avendo massimamente in
pronto buona parte del dono , con ogni ri-
verenza debita proposi, che si sarebbe po-
tuto donare a Sua Maestà un Crocifìsso
d' oro, posto sopra una croce di lapislazzuU,
pietra preziosissima, e nota per farsene l'az-
zurro oltramarino, facendosi alla delta croce
il piede d^ oro , e ornato di certe gioie ,
che aveva Sua Santità; a' piedi della qual
croce avrei collocato tre figurine , le quali
io aveva di già fatte con grandissimo studio
e fatica, che erano la Fede, la Speranza -e
la Carità. Il qual consiglio piacendo al Pa-
pa , commesse , che io ne dovessi fare il
modello, e vedutolo, e commessomi, che lé
lo méttessi- in opera, fa un medesimo tempo j
Celi ini Bew. VoUlL :i
l6 ZELLINI
ma non v' andò troppo , che mutato pen-
siero ( secondo il parere d^ alcuni suoi
savj) egli si risolvè di donare un ufiziuolo
delia Madonna j miniato finissimamente , e
a questo vollero^ che io facessi le coperte
d^ oro fine, commesse tutte di preziosissime
gioie, affermando che tal dono sarebbe pia
caro all'Imperatore y perchè facilmente Fa-
vrebbe potuto donare all' Imperatrice. Men«*
tre che io faceva quest^ opera , la quale
ebbe il desiderato fine ( tornando al nostra
proposito) mi fu dal Papa di man propria
dato il diamante medesimo , che gli aveva
donato T Imperatore, dicendo, che io gliela
legassi in un anello quanto più presto po-
teva ] il che feci in ispazio di due giorni
con grandissima soddisfazione del Papa , e
di chiunque vide il detto anello legato. Oc-*
corse, mentre io legava il detto diamante ,
che un certo Gaio, gioielliere Milanese , fa-
vorito da alcuni famigliari di Sua Santità ,
essendo egli intromesso dinanzi a Sua Bea-
titudine , disse , che avendo io avuto a le-
gare una gioia di tanta importanza , per
essere il detto diamante alquanto sottile , e
la tintura de' diamanti difficilissima, sarebbe
ben (atto (ancorché per giocane io fossi
intendente ) che mi fosse dato qualche
compagnia, acciocché nel legarlo io noa
lo sminuissi di valore e di pre^o ; percioc-
ché il detto diamante era stato tinto in
Venezia da un gioielliere , detto MiUano
Targhetta, che più d'ogn' altro sapeva ac«
comodar gioie in sulla foglia e in su le
tìnte. A queste parole il Papa^ come cauto ^
0REFIC1ERIA. t^
eommesse^ che egli con due altri gioiellieri
si ritrovassero alla mia tintura. I compagni
furono Raffaello del Moro y Fiorentino , e
un certo ^uasparri, Romanesco, orefici ec»
ceilentìssimi. Questi venuti da me da parte
del Papa m'esposero la sua volontà 3 e av-
vegnaché il detto Gaio con parole indiscrete
meco procedesse , io con quella maggio^
modestia che sapeva, risposi particolarmente
a lui , che mi desse il tempo almeno due
pomi da poter provare più tinte per met-
tere al detto diamante ; perciocché ne po-
trebbe succedere per meszo di tali esperien^
ze^ che io ritrovassi colla mia industria
falche nuovo secreto , che facesse utile al
diamante e onore a me ; ma tutto fu va^
00^ perciocché il detto Gaio^ seguitando il
suo noioso costume mi fece (licenziandolo
con i compagni) subito deliberare di fare
la detta tinta pel diamante^ che in tal guisa
il conduce.
Pigliasi una lucerna netta j e accesa con
un lucìgnolo di . bambagia bianchissima ,
€ r olio y in che egli arde , vuol esser
vecchio, dolce e chiaro; e la detta lucerna
si melta in terra o in altro luogo , dov^ ella
sia più comoda, in mezzo a due mattoni.
Sopra i détti mattoni poi si mette uno sco^
dellino di rame, nettissimo, e quello si pone
dalla parte concava, sopra la lucerna , ip
guisa, che del lume se ne ripieghi la terza
parte e noTi più. Ma bisogna essere avver-
tito di far poco fummo per volta; perciocché
si dee aver riguardo , che come si raguna
troppo del detto fummo ^ vi si appicca
20 CELLIMI
dentro il fuoco, e cosi il fummo vien
guasto 3 laonde di mano in mano y che la
lucerna fa il fummo , conviene . spiccarlo
dallo scodellino con un poco di cartuccia
pulita^ e riporlo io cosa nettissima 3 e debbi
sapere che al fummo sopraddetto non s^ ap*
picca mai il fuoco, se egH non è grosso
più di due gran coste di coltello; sicché
per cotal esempio potrai venire in cogni-*
zinne, che si può lasciar moltiplicare nello
scodellino il fummo, quanto una costa di
eoltello. Debbesi poi avere del mastico, il
quale è una gomma notissima a ciascuno
Speziale 3 ma si debbe por cura , che il
detto mastico non sia troppo, nuovo, e que«
sto si conosce, quand^ egli è sbiancato e
tenero. Deesi ancora avvertire, che egli non
sia troppo vecchio , del che s' ha notizia ,
quand'egli divien troppo giallo ; perciocché
egli è secco e con poca sostanza. Però dovrìi
il pratico orefice pigliarlo stagionato e che
non sia fresco né secco, e nello scerlo pi*
gliare quello che sia pulito e tondo , perché
quando egli cade dair albero, per lo più, é
raccolto terroso e imbrattato d'altre materie.
Come si sarà scelto il mastico bello e net-
to, piglisi un caldanuzzo pieno di accesi
carboni, dipoi si abbia un ferruzzo fatto in
guisa di punteruolo, e la punta di quel
ierruzzo si scalda tanto, quanto egli ficcar
SI possa in uno di que' granelli di mastico;
e debbesi avvertire di non passare il mezzo
jdel granello; dipoi si tenga sopra quel fuo-
co , volgendolo pian piano tanto , che si
vegga cominciare a colare, e subito che ai
0RGneEKr\. ai
fede in tal essere / si debbe bagnare ìp dita
con un poco di scili va j e indi stringere
quel granello di già caldo, prestamente in«
nanzi che egli si freddi^ perciocché strin-
gendolo ne esce fuori una lagrima chiaris-*
sima 9 la quale subito^ rasente quella roccia ^
che resta del mastico , si dee tagliar colle
forbicine^ e pulitamente conservarla ; e cosi
andar facendo j fintantoché se ne abbia il
bisogno. Appresso a questo si fa V olio di
grano^ necessario a tale tintura, il quale si
cava in questo modo. Scelgasi il puro gra-
nello da ogn' altro seme , avvertendo , che
il detto granello vuol esser netto , non roso-
da^ bruchi , o riscaldato ; e ciò fatto se ne
piglia tanto per volta , quanto si può na-
scondere in una mano, indi si mette sopra
un pezzo di porfido ^ e chi non avesse por-
fido , si può servire di una piastra di rame
pulitissima, e distendervelo sopra con un' al*
\tra piastra di ferro , che sia grossa un dito^
e cinque per ogni verso; la qual piastra si
debbe prima mettere in sul fuoco, e scal-
darla tanto quanto ella cominci ad abbru-
ciare un foglio di carta e non più; cosi si
debbe aggravare bene con un martel gros^
so, di modo che si vegga uscir fuori rolio
del grano ; ma bisogna avere avvertenza
grande, che il ferro non sia troppo caldo
né troppo freddo ; perché essendo freddo ,
FoUo non uscirebbe, e essendo troppo gal-
do , si riarderebbe e non sarebbe a propo-
sito ; ma se sarà temperato , e bene aggra-
vata la piastra^ il detto olio ne uscirà be-«
Dissime. Fatto questo si debbe levare con
gran diligenza quelle granella di grano , e
levate cbe saranno, si pìgli un coltellelto
putito, e con esso si rasti il detto olio,
avvertendo che la prima distillazione, che
esce del grano, è un poco d' acquetta, la
quale si conosce benissimo, perchè per se
stessa si getta dalle bande, e il vero e buon
olio rimane nel mezzo. Debbesi riporre il
detto olio in un vasellìno di vetro, quant^è.
possibile nettissimo. Bisogna dopo questo
provvedere un poco d' olio di mandorle
dolci; ancorché in questa vece alcuni si sono
serviti talora d'olio d^ uliva vecchio. di due
anni e non piò, dolcissimo e chiarissimo.
Ciò fatto si debbe pigliare un cucchiaio ,
grande per quattro volte i cucchiai ordinar],,
e fnsieme aver preparato un caldanuzzo
con fuoco , e togliendo quelle lagrime del
mastico , metterle nel detto cucchiaio , e
con una palettina , d^ argento o di rame ,
nettissima debbesi cominciare a fare struggere
con fuoco moderato ; e come il mastico si
Tede struggere, vi si ha da porre un poco
di queir olio di grano, tanto quanto sia per
la sesta parte del mastico; e mescolati in-
sieme quésti due liquori, ancora vi si metta
il terzo liquore^ che sarà l'olio d'oliva o
di mandorle , com' abbiam detto , lasciando
in altrui T arbitrio di pigliare Fune de' due;,
oltre a queste cose aggiungavisi alquanto
di trementina chiarissima. Cosi fatto le dette
infusioni , piglisi quel fummo , che prima
si fece, e se ne metta con discrezione quella
quantità, che tinga appunto, e non più;
perciocché nel tingere i diamanti la. qualità
OREFICERIA. a3
diversa èi essi richiede la tinta più o
manco nera. Ancora V esser la detta tinta
più tenera o più dura^ di quello che con^
viene , importa grandemente ; perchè alcune
sorti di diamanti appariscono meglio avendor
la tinta dura , e altre amano la tinta tene*-
ta. Imperò ogni volta che Y orefice ha da.
legare un diamante d'importanza, è di ne*
cessità rinnovare . le tìnte , dipoi provarle
sul détto diamante colla più dura e . colia
più tenera, colla più e colla manco nera,
e secondo che la qualità del diamante ri*
chiede, eleggere con fine giudicio la tinta
che egli più. ama. Àlòuni sono stati , che
avendo un diamante di color troppo giallo^
perciò hanno posto poco fummo , (pianto
sia possibile, in sulla loro tinta, mescolando
insieme colla detta tinta dell'indaco, il quale
è colore azzurro e conosciuto da tutti i
pittori; e talora hanno messo il detto in*
daco in cambio di fummo nero senz^ altra
compagnia di fummo; e questo vi hanno
posto per tingere una certa sorta di dia^
manti di color tanto giallo, che paiono to«^
pazzi schietti; laonde per lo mezzo deire-
sperienza s^ è veduto che colla detta tinta
d' azzurro oscuro hanno mostrato benissimo;
e ciò avviene , perchè pigliando due colori,
eioè r azzurro e il giallo , quelli mescolati
insieme vengono a fare un color verde ,
laonde, essendo il diamante di color giallo
e la tinta di colore azzurro, per tal cagione
si viene a far fare un^ acqua alla detta
gioia, molto piacevole e graziosa, ed avven-
l^achè la dett acqua sia colorata , non però^
*l4 CELLINI
Tiene a essere di color giallo o azzurra ^
com' era per virtù della tinta , ^a appari-
sce d^ un color cangiante , molto vago agli
occhi de^ riguardanti.
* Concludo adunque, che sopra tutte le
specie de' diamanti debba avere l'mtendente
gioielliere quelle diligenze e osservaltioni^
che merita la qualità della gioia e la na-
tura di essa; il che si conseguisce per mezzo
^ d' una lunga pratica ed esperienza, la quale
si porg^ mediante la diversità delle , gioie ^
che a legare s' hanno ; siccome ( per rìtor^
nare donde prima mi dipartii) a me in**
tervenne^ mentre legava quel diafoante ,
che io dissi , a Papa Pagolo IIL3 perciocché
avendo chiesto due giorni di tempo a que-
gli tre orefici , che io dissi di sopra , de-
putati a veder la mia tintura 5 i;estandomi
solamente a tignerlo per esser di già fatta
l' anello , colle sopraddette tinte feci tutte
quelle esperienze , che possibili fossero ad
immaginarsi; lac/nde per mezzo della pratica
mi venne ritrovato una composizione , la
quale sopra il detto diamante appariva
molto meglio che quella di Maestro Miliano
Targhetta, da cui prima era stato legato;
del che fatto accorto , mi posi con ogni
studio per aggiugnere ( se fosse possibile )
alla detta gioia maggior valore e bellezza
di quella , che prima aveva avuta da quel
valentissimo orefice , ancora che ella (come
dissi di sopra ) fosse difiicilissima , per esser
troppo sottile : e V industria deir orefice con-
sisteva in far stare il detto diamante in sulla
ilota ; e con quello specchietto ji del quale
OREIICERU. sS^
'speccliietto diremo a suo luogo ] laohiie ve-
dendo aver ciò conseguito per mezzo delle
dette esperienze, messe in ordine tutte le
mie tinte, mandai per i tre vecchi gioieU
lieri; i quali venuti da me, subito fu da
uno dì essi , detto Gaio ( di cui facemmo
di sopra menzione ) , tanto presuntuoso f
quanto gli altri due erano discreti, sprez-
zato r apparecchio delle dette tinte. Vedendo
adunque la sua indiscrezione farsi sempre
maggiore ( perciocché egli diceva , che io
gettava via il tempo , e che io non potrei
migliorare a quel diamante la tinta di Mae«
atro Miliano ) dissi , che io voleva/ tignerlo
alla loro presenza , e posto che io non lo
migliorassi , allora potrei tignerlo con quella
di Maestro Miliano , e se non altro, avreb-
bono visto , che io desiderava per mezzo
de' detti studj d' andare imparando. Cosi
dopo molte parole mi posi colla mia tinta
a tignere il diamante, la qual tinta dili-
gentemente considerata da Raffaello e Gua-
spani, compagni di Graio, con lor contento
confessarono , che io avessi trapassata la
tinta di Maestro Miliano, e cosi .con vive
ragioni sforzarono ad acconsentire V invi*
dioso Gaio. Ma io , non contento dì questo,
volli porlo, presenti loro, sopra la tinta del
detto maestro più d' una volta, e poi porlo
aopra la mia : insomma tutti d' un parere
confessarono, che io avessi acquistato assai
al detto diamante , per cagione della mia
tinta. Gom'io vidi, che essi tutti avevano
affermato , gli pregai , che m^ aspettassero
alquanto j imperciocché > poiché loro pareva
^6 cctxiifi
che io avessi passato la tinta di quel
yalentuomo , valeva loro mostrare ancora,
come per mezzo d^ un^ altra esperienza ,
che aveva fatta , esso diamante acquistava
molto più : cosi ritiratomi in una stanzetta
della mia bottega, feci T esperienza che io
in prima ave^a osservata , la qaale fino a
oggi non ho ad alcuno insegnata ) e in quel
diamante mi fece grandissimo onore. iNon
già dico , che ella giovi a tutti gli altri
diamanti, ma voglio inferire, che mediante
la pratica ed esperienza si viene in «cogni-»
f ione di bellissimi segreti , siccome allora
a ' me intervenne 3 perciocché io presi un
granello di quel sopraddetto mastico^ assai
ben grande e ben purgato dalla sua roccia^
il quale era nettissimo e chiarissimo ) e
avendo io pulitamente netto il diamante, lo
distesi sopra a quello con temperato fuo«»
co , e lo lasciai freddare , tenendolo pur
serrato colle mollette , che s' adoperano a
tignere ; e dipoi che fu secco e freddo bene
il detto mastico sopra il diamante, presi la
mia tinta, la quale era assai tenera, e cosi
gentilmente con un caldo soave la distest
sopra quel mastico chiaro, che di già era
posto sopra il diamante. Per la qual cosa,
essendo il diamante sottile , quella sorta
d^ acqua , che egli aveva , cotanto d' acqui-
sto fece, come se ella avesse avuto tutte
le sue intere grossezze ed altre apparte-*
nenze naturali e artifiziate, che si ricercano
in un diamante di tutta perfezione. Cosi
ritornato alla presenza de' detti gioiellieri
col diamante in tal guisa da me acconcio;
onericBRiA* af.
rtdendò essi raddoppiata la sua bellezza^
tutti e tre coutenti , di doppie Iodi pre<*
miandotni^ da me aoiicissimamente ai par-
tirono.
Ora ragioneremo dello specchietto. Que-
sto si mette sotto a que' diamanti y ì quali
sono tanto sottili , che non possono resistere
alla tinta, perchè diventerebbono neri. Ma
quando occorre^ che sia in essi tanta smisu»
rata sottigliezza, e che siano buoni d'acqua^
si usa di tigner loi^o un padiglione solamene
te , oltra lo specchietto , che V uno e V al-
tro farmo insieme mirabilmente. Lo spec-*
chietto si fa in questo modo. Pigliasi un
poco di vetro cristallino y nettissimo , cioè
che non abbia sonagli né vesciche, e questo
si dee tagliar quadro ed in guisa che entri
nel castone , e il detto castone ^ si dee ti-
gnerò colla sopraddetta tinta nera di dia-^
mante. Ma bisogna aver cura, di mettere il
detto specchietto^ cioè vetro tinto da una
banda sola, nel fondo del castone tanto basso,
che egli stia discosto dal diamante ; percioc*
che se egli lo toccasse , non mostrerebbe
bene: ed in questo modo tutti i diamanti
sottili acconciandosi, mostreranno benissimo.
I berilli ed i topazj bianchi , i zaffiri
bianchi , V amatiste bianche ed i citrini
tutti s^ acconciano ne^ loro castoni col so-
praddetto specchietto^ quantunque siano di
grossezze ragionevoli } imperocché nessuna
delle dette pietre, fuori chel diamante^
sopportano tintura addosso, perchè diventano
nere affatto, né punto risplendono. CoSa
certo niaraviglio^a è quella del diamante p
aS CELLIKI
che essendo la più limpida e la più falgente
pietra di tutte le altre , quando vien tinta
dalla sopraddetta tinta nera, accresce splen-
dore , e le altre sopraddette pietre , subito
finte, perdono ogni loro chiarezza, e diven*
tano nere affatto. Sono alcuni zaffiri fatti
bianchi dall' artifizio dell' uomo j i quali in
cotal. guisa bianchi si fanno , e questo av-
viene , perciocché si mettono in un coreg-
giuolo, nel quale sia posto oro per distrug*
gere , è se alla prima non diventassero
bianchi , come si desidera , si debbono ri-
mettere due o tre volte nel medesimo modo
a fuoco insieme colF oro. Ma debbe avver-
tire il giudizioso orefice di sceglier quei
zaffiri che hanno manpo colore di tutti gli
altri; perciocché i zaffiri ritengono tal pro-
prietà, che quanto manco colore hanno,
più duri sono. Ragioneremo ancora de^ to*
pazj , per esser quasi d^ una medesima du-
rezza che i zaffiri , anzi si reputano da'
gioiellieri d' una medesima spezie ; essendo-
ché ciascuno di quésti somiglia tanto il
diamante , che pochi gioiellieri sono quelli
(quantunque periti nell'arte) che, ponendosi
innanzi Funa e l'altra pietra sciolta,. sa pes->
sero conoscerle da' diamanti , se tion fosse
la virtù mirabile , che in se ritiene, il dia-
mante, che (come abbiàm detto ) essendo
tinto, più rispleode, e l'aitile pietre perdono
il loro splendore ; la quale esperienza giu-
stifica gli orefici senza che vengano alla
prova della durezza^, perciocché, per la in-
finita durezza del diamante , fregandoli in-
sieme, subito si conoscerebbe , quantunque
OREFICERIA. 2g
il zaffiro sia più del rubino , e dello sme-
raldo durissimo ; ma in comparazione del
diamante v^ è grandissima differenza. Imperò
sarebi)e poca prudenza dell' orefice venire
a quest' esperienza pericolosa , di guastare
ad altrui una gioia ^ essendovi la prima
tanto evidente.
Ma tempo è di dire ( poiché lunga-»
mente s^ è ragionato de' diamanti ) alcuna
cosa de^ rubini^ che sono in tutta perfezio-
ne^ siccome noi promettemmo; perciocché
egli è da sapere, che si ritrova una spezie
di rubini , che sonò bianchi naturalmente ;
e non si fanno bianchi per mezzo del
fuoco j come di quell' altre gioie , che di
3opoè dicemmo avvenire. Questo lor bianco
somiglia una certa pietra, che si domanda
calcidonio, la quale è come sorella carnale
della corniuola ed ha un certo bianco livi-
do ^ il quale non è punto piacevole e poco
iueglio dimostra essere rubino bianco ;
laonde di questa spezie di rubini non si
mettono in opera , ed io ne ho trovati e
veduti ne^ ventrigli delle grue , insieme con
turchine bellissime, e vene avevano talora
dei colorati , e delle plasme insieme con
qualche perletta : e ciò m^ è occorso di
vedeire , essendomi io in giovanezza dilettato
di tirare d' archibuso. Ora , per tornare al
nostro proposito, parlando de^ rubini bian-
chi , diciamo , questi Uon servire a nulla ,
ma solo darci indizio, per là loro durezza ^
€sser della spezie del rubino ancor essi.
Avendo promesso voler dire alcuna cosa
del carbonchio ; gioia preziosissiiiia j^ per
tó CELLIBI
ritroTarsene di questi rarissimi, diremo bre«
Temente la notizia , che di essi abbiamo*
Nel tempo di Clemente VII. ci occorse di
vederne uno ad un certo mercante Ragù-
geo j detto Biagio di Bona. Questo era un
carbonchio bianco , di quella bianchezza che
noi abbiamo detto ritrovarsi in quei rubini,
dei quali poco di sopra abbiamo fatto men-
zione; ma riteneva in se un fulgente tanto
piacevole e mirabile , che egli risplendeva
nelle tenebre , ma non-quanto i carbonchi
colorati , ben è vero y che in luogo oscu-
rissimo io lo vidi rilucere in guisa d^ un
fuoco alquanto smorto. De' carbonchi colo-
rati poi non m' è occorso vedere, ond'io
qui solo porrò quello , che di essi intesi ,
ragionando nella mia gioventù con un gen-^
tiluomo Romano, molto vecchio in materia
di gioie, il quale mi disse, che un certo
Jacopo Cola in tempo di notte, essendo
in una sua vigna j vedde nel mezzo di essa
risplendere in guisa di un picciolo carbon-
cino di fuoco, a' piedi di una vite, perchè
andato vicino , dove gli pareva di aver
veduto quel fuoco né ritrovandolo , diceva,
che ritornato nel medesimo luogo , donde
V aveva di prima veduto , e ritrovato il
' medesimo splendore , cotanto V osservò ^
che egli si condusse a pie di esso , dove
raccolse una picciola pietruzza ; la quale
presa con maravigJiosa allegrezza , ed il
giorno seguente portandola a lùostrare a
diversi suoi amici ^ mentre che egli raccon*
lava in che guisa Y avesse trovata , abbat-
tendosi a tal ragionamento un Ambasciatore
\
OREFICERIA, 5^
Veneziano^ pratichissimo di gioie, vedutal^i
subito conobbe quella esser un carbonchio;
onde eoo destra maniera^ prima che si par»
tisse da detto Jacopo ( non vi essendo nes*
suno clie conoscesse il valore di sì preziosa,
gemma) la comperò da esso per valore di
scudi dieci y ed il giorno seguente si partì»
di Roma per non esser costretto a renderlo^
e fecondo ch^ egli affermava , di quivi a
certo tempo y diceva essersi inteso , che il
detto gentiluomo Veneziano in Costantino-
poli vendè questo carbonchio al Gran Signo-
re , di nuovo creato in que' tempi , scudi
centomila: e questo è quanto posso dire
intorno a^ carbonchi. Avendo ora trattato
quello che è di nostro proposito circa la.
pietre preziose e deìV arte del gioiellare ,
diremo brevemente di quella del niellare.
CAPITOLO IL
Deir arte del niellare^ e del modo
di fare il niello.
iNfiLL'anno mdxv, che io mi posi a
imparare V arte dell' oreficeria y l' arte di
intagliare di niello si era quasi del tutto
dismessa ; e oggi in Fiorenza fra i nostri
orefici è poco meno clie del tutto spenta*
Ma sentendo io dire del contiuovo in que*
tempi dai vecchi orefici^ quanto fosse vaga
cotale industria, e particolarmente quanto
' Maso Finiguerra ^ orefice Fiorentino , in.
3 a CELLUJI
detta arte di niellare avesse Yaliito , còd
grande studio mi posi a seguitare le vestigie di
questo valente orefice ; e non solamente mi
contentai d^ imparare' a intagliar di niello ,
ma volli apprendere ancora il modo di fare
detto niello^ per poter più facilmente e con
miglior fondamento operare in dett' arte: ma
prima parleremo del modo di fare il niello.
Pigliasi primieramente un^ oncia d'ar«
gento finissimo, due once di rame benissimo
purgato^ e tre di piombo , similmente pur-
gato e netto. Poi s' avrà un coreggiuolo
capace a ricevere la quantità dei detti me-
talli^ avvertendo , che prima si debbe méttere
in detto coreggiuolo un^ oncia d^ argento e
due di rame , e quello porre nel fuoco a
vento di manticetti , e quando T argento'
e '1 rame sarà bene strutto e bene mesco- .
lato^ aggiungavisi il piombo. Fatto questo,
subito si tiri indietro il coreggiuolo, e pi-
glisi un carboncino colle molle e con esso
si mescoli benissimo \ perciocché facendo
il piombo per sua natura sempre un poco
di schiuma , bisogna procurare , il più che
si possa , di levarla col detto carbone ^ sia
tanto che i detti tre metalli siano bene in-
eorporati e N|>en netti. Abbiasi poi in ordina
una boccetta di terra, tanto grande quanto
è uno de^ nostri pugni, la qual boccia
cotanto vuole avere la bocca stretta, quanto
un dito vi possa entrar dentro. Questa si «dee
empiere insino a mezzo di zolfo benissimo
pesto; ed essendo le dette fusioni de^ metalli
benissimo strutte, cosi calde si getteranno
nella detta boccia , e subito si turerà con
OKEFICERIA. 33
tm poco di terra fresca, tenendovi aopra la
mano e turandola con un gran pezzo di
pannaccio lino ; e mentrechè si fredda la
aetta composizione ^ si dee dimenare contino-
vamente la mano^ tanto che ella si freddi j e
come è fredda^ cavisi di detta boccia, rooi«
pendola, dove si vedrà, che per virtù di
quel zolfo , la detta fusione ( che si chiama
niello) avrà preso il suo color nero. Bea
si dee avvertire , che lo zolfo vuol esser del
più nero, che si possa avere. Ciò fatto pi-
glisi il detto niello, il quale sarà in più gra-
nella; quantunque il dimenare, che ora di-
cemmo, che si ha da fare colla mano, non
sia ad altro fine , che per metterlo insieme
J^iù che sia possibile: però in quella gui*
»a , che egli si ritrova , si rimetterà in un
coreggiuoletto , come prima si fece, e si
fonderà con lento fuoco , mettendovi sopra
un sgranello di brace: cosi si anderà rifon-
D 11"
oendo insino a due o tre volte, ed ogni
volta si dee rompere il detto niello, guar-
dando la sua grana , la quale come si vede
benissimo serrata , il niello avrà la sua per-
fezione. \
Parleremo ora del niel^re, cioè del
modo di adoperare detto niello in intagli
d' oro o d' argento ; essendoché in altri me- •
talli, che in questi due più nobili degli al-
tri, non si niella, piglisi quel lavoro, che
«i sani intagliato; e perchè* la bellezza del
niellare consiste, che egli venga unito e
«enza certi bucolini} perciA bisogna farla
bollire nell'acqua con molta cenere di
CelUni Senv. Voi IIL , 3
34 èElLlNI
quercia , la quale ha da essere Dettissima : e
quest' effetto , che si fa , vien detto fra. gli,
orefici fare una cenerata.' Dopo che 1 tuo.
intaglio sarà stato nel calderone a bollire^
dov^ egli si pone colla detta cenere per ìspa-
zio d^ un quarto d'ora, si dee dipoi met-
tere in una catinella con acqua freschissima
e nettissima, e con un paio ai setolìue netta
strofinar benissimo F intaglio, fin che sia
pulito e libero da ogni sorte di bruttura*.
Fruscia si vedrà di accomodare sopra unp
strumento di ferro lungo tanto , che tu lo
possa maneggiare al fuoco, la quale lun-
ghezza debb^ esser tre palmi in circa ^ più o
manco 9 che sia di bisogno, secondo la qua-
lità deir intaglio : ben si dee avvertire, che .
il ferro, dov'egli si lega^ non sia né troppo
sottile né troppo grosso, ma di sorta, che
quando altri si metta a niellare F intaglio, il
iuoco l'abbia riscaldato egualmente^ percioc*
che se prima Tintaglio^ che il ferro, o il fer- ^
ro, ohe l'intaglio si, riscaldasse, non si &rebbe
opera buona; laonde si dee a tal cosa stare ,
molto avvertito. Ciò fatlo piglisi il niello e
pestisi sopra l'ancudine o sopra un porfido ^
te;)endolo in una gorbia o cannone di ra-
me, acciocché nel pestarlo non ischizzi via;
avvertendo ^ che il detto niello debb^ esser
pesto e non macinato , e pesto molto egua-
le, facendo si, che egli sia grosso come
le granella del miglio o del panico, t non.
manco niente. Ridotto in tal termine il niel-
lo, mettasi in vasetti o ciotolette invetria*
t^ , e con acqua frésca e pulita lavisi
molto beue^ acciocché egli sia netto dalla
OREFICERIA. 35
polvere e da ogoi cosa j che lo potesse
rendete impuro, meatrechè egU si pesta.
Indi si prenda una palettina di ottone o
di rame , e distendfasi sopra V intagliata
opera , aito quanto una costa di coltello
ordinario da tavola;, inoltre vi si getti so-*
fra uà poco di borace byen pesta, ma non
vi se ne ponga troppa. Mettasi poi alcune
legnette sopra certi pochi carboncini, le quali
Si accenderanno alla fabbrica col mantice;
€ come il fuoco sia in ordine^ accostisi de-
atramente V opera al detto fuoco , e comin-
cisi a darle moderato caldo, sin tanto che
M vegga cominciare a -struggere il niello j
perciocché come egli si comincerà a strug-
gere, non bisogna dargli tanto caldo, sic*
che la tua opera s'infocasse e divenisse rossa.^
essendoché^ quand'ella si fa troppo cal-
da ,. viene a perdere le sue forze e divien
molle in guisa, che il niello^ che per la
niaggior parte è composto di piombò, di-
vora r opera, o d'argento o d' prò, che eUa
sia fatta; laonde vane ritornerebbono Tal-
jbui fatiche, e però bisogna usare in ciò
grandissima diligenza. Ma tornando alquanto
addietro 9 diciamo, che quando si avrà,
l' epera sopra le fiamme, si dee procurare
d'arer un filo di ferro alquanto grassetto |
e stiacciarlo dalla testa dinanzi, Ai qu^l
testa si terrà nel fuoco; e alloracbè si vedrà
cominciar a struggere il niello , si dee il
detto ferro caldo strofinare sopra F intaglio : ^
perciocché essendo T uno e l' altro cal-
do , si verrà il niiello a fare in gui^ di
cera strutta, e cosi meglio si potrà unire q
39 CELLIVI
distendere sopra T intaglio. Come T opere
sarà fredda ) comincisi con una lima gentile
a limare il niello ; e come sen^ avrà limato
certa quantità ( la quale non sia però tan-
ta, che scopra l'intaglio^ ma sia vicina al
discoprirlo ) mettasi l' opera sopra la cinigia
o veramei^tie sopra un poco di brace accesa;
e com'essa sia calda tanto, quanto la mano
pon la sopporti , allora si dee pigliare un
brunitojo d'acciaiò, e con un poco d^ o-
lio si brunirà il niello, aggravando tanto
la mano , quanto comporta l' opera. Questa
brunitura è solamente fatta per riturar certe
spugnuzze , che alcune volte vengono nel
niellare, al qual difetto si andrà, facilmente
riparando con pratica e pazienza , se in tal
guisa ci governeremo. Ma per recare Y opera
a fine dee il prudente artefice ripigliare il
rasoio e finir di scoprire T intaglio^ e di'
poi' avere tripolo e carbon pesto, e oca
una canna fatta piana dal lato del midollo ^
accompagnato l'mtagUo con acqua ^ cotanto
dovrà stropicciarlo, che egli vegga la sua
opera unita e bella. E fin qui basti d^ aver
trattato dell' arte del niellare , ancorché bre«
vissi m^men te se ne sia ragionato; avvenga*
che la difficultà di quest'arte forse ricerca*
va, che io fossi più prolisso; ma perchè
quando da principio deliberai di scrivere di
tali arV , proposi meco medesimo ancora di
pon uscire de^ confini della brevità, però
trapasseremo a dire delibarle di filo^ noB
meno di questa diificHe e vaga, •
OKISI^ICERIA. / ìf
CAPITOLO m.
Deir arie del las^orare di Jilo , del moda
di fare la granagfiay e del saldare.
• VfuaDtanque non mi sia occorso di far
moU^ opere di filo , nientedimeno gi^ ne feci
alcune molto difficili. Ma perchè T arte è
l'agilissima ed a giudizio degF intendenti
stimata molto bella ^ awengachè chi in
essa si vuole esercitare bisogna , che abbia
lume non piccolo di disegno per i fo-
gliami e trafori^ che in essa intervengono;
perciò ne {>arleremo diligentemente ^ non
avendo riguardo , che ancor Questa oegi sia
poco in uso. Servivansi già 'alcuni deirarte
del lavorar di filo in ornar puntali e fib^*
bìe per cinture, a far crocette, pendentif
ifcatolini, bottoni, opiandorlette per riem-
piere di muschio , le quali di presente molto
si costumano^ coperte da ufizioU, coperta
da Brevi per portare al collo, e simili*^ ed
ancora si è fatto di tal lavoro maniglie |
e altre opere vaghissime e ingegnosissime.
E da sapere adunque , che tutte quelP ope-
re, che in essa arte si fanno, escono d^una
piastra o d^ oro o d^ argento , alla quale
dato che si ha quella forma ^ che più si
desidera , si prepara la sorta del filo , di che
si ha di bisogno j perciocché vi sono tre
grossezze di filo, cioè grosso, sottile e
mezzano > e puosseae fare ancora sino alla
«^^
38 CBLLINI
auarta gros3ezza. Ma prima si abbia fatto
suo disegno , bene studiato e considerato.
Inoltre provveggasi della* granaglia, la quale
si fa brevemente in tal guisa. Piglisi l'oro
o r argentò, che si vuol granagliare, e pon«
gasi a fondere, e quando è benissimo strut*^
to^ gettisi in un vasetto pieno di carboa
pesto , e cosi verrà fatta la granaglia d^ ogni
sorte. È necessario ancora di provvedere sal-
datura di terzo, che eoa vien detta, percioc-
ché si piglia due once d^ argento una di
rame; e quantunque molti usino di tor
della saldatura d' ottone^ e di quella servir-
si , meglio è però saldare col rame , e manco
pericoloso. £ parlando delle saldature di-*
ciamo, ch^elle si debbono limare pulitamene
te, mettendo sopra tre parti ^i saldatura
una di borace benissimo macinata, la qual
saldatura mescolata assai colla detta com-
posizione si metta in un boraciere. Piglisi
poi del dragante e pongasi a molle in una
ciotoletta; e ordinate tutte le sopraddette
cose , si avrà ancora apparecchiato due paia
di mollette, le quali vogliono essere assai
ben gagliarde. Con queste troverassi in-
sieme uno scarpelletto augnato in guisa di
quelli, che adoperano i legnajuoli, ma la
sua asta dee esser simile a quella de' bulini.
Di questo scarpelletto ci serviremo a ta-
{|[liare i fili più volte , secondochè richiede il
avoro, che si ha dinanzi. Provveggasi an-*
Cora una / piastra di rame della grandezza
della palma della ' mano , e sia di ragione-
vole grossezza e benissimo spianata, so-
pra la quale si porraono i fili, di che ci
.^ OREFICEKU. 3§
abbiamo a servire ] e dopoché si sarà Volto
il filo^ secondo il suo volere, appoco ap*
poco si comincerà a mettere sopra la "piastra^
cbe si ha da lavorare; e preso un pennellino
molle nell'acqua di draganti (che di so*
pra dicemmo) di mano in mano si bagne*
ranno i fili, e quelle gallette grosse e pie*
cole. Perciocché mentreché si compone il
fogliame dell'opera^ o altro partimentO|
quesf acqua di draganti tiene il lavoro in-
sieme^ -si che egli non si muove. E deesf
avvertire ogni volta che si sìa composta
una parte del lavoro, prima che la detta ac*
a uà si rasciughi^ che col boraciere vi sì
ee gettare sopra della limatura di saldafu-*
ra , quanto sia bastante a saldare V opera ^
e non pi^; perché la troppa saldatura rende
brutto il lavoro. Quanao poi si vuol sai*
dare il lavoro, bisogna aver in ordine un
fornelletto come quelli, che servono per
{smaltare. E perché é gran differenza dal
modo di far correre lo smalto al modo di
saldare i lavori di filo , perciò deesi dare al
detto fornello mancò fuoco, che quando
serve per ìsmaltare. Ciò fatto accomodisi so*
pra una piastretta di ferro il lavorò, e ap«
poeo appoco s^ accosti al caldo del fornello;
è così si faccia fin tanto , che la borace ab*
bia ribollito e fatto T effetto , che comporta
la sua natura; essendoché il troppo caldo
farebbe muovere i fili , di che si compone
il lavoro , e però si dee provvedere in que-
sto con una destrezza infinita , ed imposti**
bile ad insegnarla, se non col mezs^o della
pratica. Messo cbe ìMavoro sarà nel fupco ^
^Ó CELLIiri
Teggasi accuratamente^ che la saldatura
scorra; e nel mentre che si yien saldando,
abbiansi alcune picciole légnuzze ben sec«
che, e con un poco di vento di màntaco
vadasi con discrezione aiutando il fuoco, o
si soccorra con un poco di crusca ^ossa;
éhe anche questa messa a convenevol tempo
fa il medesimo eflfetto. Saldato che sarà
il lavoro la prima volta, se l'opera sia
d^ argento, si farà bollire nella gomma di
botte insieme con sale, e tanto vi bolhrà,
che il lavoro sia sboraciato ; la qual cosa si
conseguirà per termine di un terzo d^ ora.
Ma essendo V opera d' oro , si dee por nel*
l'aceto forte, tanto che sia ricoperta, aggio-
gnendovi un poco di sale , come di sopia
si disse, e quivi si dee lasciare per ìspa-
sfo di un giorno e di una notte ; e ciò
fatto si potrà cominciare a traforare alcuna
di quelle rosette ^^ che saranno nel compar-
timento deir opera, le quali danno molta
vaghezza a^ riguardanti j perchè quando al-
.cuni traforetti, messi con disegno a^ loro luo-
ghi , si veggono ne' lavori di filo , sono giu«
dicati molto belli dagF intendenti. Ma poiché
io sono venuto con proposito a ragionare
della vaghezza de' trafori nelP opere di filo ,
non voglio lasciare indietro di non dire
(se non con altro fine per recreazione del
lettore) come in Parigi nel mdxli. essendo
al servizio del magnanimo Re Francesco,
m^ occorse di vedere un^ opera lavorata
di filo molto maravigliosamente : certo , che
questa digressione non sarà lontana dal
nostro proposito^ come in hte\% $i potrà
ORKPlCEltlA. , A%
lìreclere. Mentrechè io lavorava in quella
nobilissima città per lo detto Re, (dove
quattr^ anni continovi feci dimora , essendo
da Sua Maestà veramente con animo reale
premiato; perciocché non contento, di avermi
remunerato splèndidamente delle mie ope-
re, mi donò un castello detto il Pitittj>
Nelles: e ciò sia detto, non perchè io
mi creda di aver mai cotanto meritato,
ma per non defraudare T opere egregie di
così valoroso Signore ) egli un giorno , che
era andato al Vespro nella Cappella Reale ,
mi fece intendere dal gran Gonnestabile, che
dopo il Vespro io mi dovessi appresentare
da Sua Maestà : così andato nel dotto luogo
mi disse, che mi aveva fatto chiamare
per mostrarmi alcune belle cose, e sopra di
^SA% intendere il mio parere, siccome sopi:a
certi (Cammei antichi , della grandezza di una
palma di mano 3 alla qual dimanda avendo
io soddisfatto nel miglior modo , che io sa^
peva, e con ogni debita riverenza, alla fine
mi mostrò una tazza senza piede , da bere,
lavorata di filo, la quale era di ragione-
'vole grandezza , e di leggiadri fogliametti or*
nata, 1 quali andavano scherzando intorno
a diversi compartimenti fatti con gran dise^
gno; ma quello che più la faceva parere
maravigliosa , era , che infra i fogliami e
i ' partimenti , quegli sfondati erano stati
tutti da quell'ingegnoso artefice ripieni di
amalti di varj colori ; laonde quando si al-
zava la detta tazza alF aria , tutti quegli
«malti trasparevano in guisa tale, che cosa
4 3 CELLINI
vaghissima era a vederla , e quasi pareva
impossibile a essere stata a tanta perfezione
condotta. Adunque sopra il lavoro di que-
sta tazza fui dal Re dimandato, se io còni'
prendeva in che modo ella fosse lavorata,
soggiugnendo, che sopra dì ciò io gli par-
lassi minutamente : alle quali parole rispo-
si y che io direi particolarmente il modo ,
che fu tenuto per far un tal lavoro, il
quale è questo.
Volendo condurre una tal opera , biso-
gna fare una tazza di piastra di ferro sot-
tile > e questa debb' essere maggiore una co-
sta di coltello della tazza , che s' ha da fare ;
poi si dee pigliare la detta tazza , e con un
Eennello darle un loto di terra sottile dalla
anda di dentro : il qual loto si fa di terra^
cimatura e tripolo macinato benissimo. Ciò
fatto si piglia il filo ben tirato ; e debb* es«*
sere alquanto grossetto, sicché quando egli
si stiaccia col martello sul tassetto , egK
penda più presto nel largo , che altrimenti |
di maniera che quando egli sia stiacciato ,
venga della larghezza d^ua nastro grande
quanto due coste di coltello, e sottile quanto
un foglio di carta reale, ma si dee proc-
curare di stiacciarlo egualmente : poi benis-
simo si ricuoce , acciocché egli sia tanto più
facile a volgerlo colle mollette. Ciò fatto co-
mincisi, secondo il disegno che «i avrh in-
nanzi , a comporre col detto filo stiacciato
nella tazza di ferro di dentro i primi or*
dini di quegli scompartimenti, di mano in
mano appiccahdogli con acqua di dragante
sopra il detto lotO; e mesi^i che mno'
OREFICEIUA. 43 :
tutti i primi partimenti e profili ^ si dee
poi fare i fogUami per ordine, secondochè
mostra il disegno , appiccandogli foglia per
foglia nel modo detto. Come tutta l'opera
sia poi accomodata nella maniera *, che ab*
biamo divisato , si dee avere preparato gli
smalti di tutti i colori , benissimo pesti e
lavati; e quantunque il lavoro si potesse
saldare, prima che si ponga lo smalto ( nel
modo, che già si disse ragionando de^ la-
vori di filo ) pur si può fare nelP uno e
nell'altro modo, cioè col saldarlo e senza.
Piglisi adunque lo smalto, e con giudizio
si riempia tutto il lavoro di diversi colorì',
e poi si metta nel fornello, facendo scor-
retre il detto smalto^ Ma la prima volta bi-
sogaa dargli pocp fuoco, dì nuovo riem-
piendo il detto smalto tanto, che egli avanzi:
cosi dandogli poi fuoco alquanto maggiore,
radasi rivedendo, se in qualche luogo Po-
pera ab|>ia di bisogno d'esser ricaricata di
smalto. Ciò fatto, diasf^gli un gran fuoco, e
tale^ quale il detto lavóro e i detti smalti
possono comportare , e che l' arte richiede :
la qual cosa si renderà facilissima per ca- \
gione di quel loto , che si dette , il quale
avrà difeso quegli smalti, che non si sieno
attaccati. Con certe pietre dette frassinelle,
e con acqua fresca si va poi spianando gli
smalti, finché vengano per* tutto eguali. Indi
con altre pietre gentilmente si va pulendo
l'opera; e l'ultimo pulimento si fa col
tripolo e. con una. canna ^ come si disse par-
lando del niello. Con questo ragionamenta
adunque lasciai soddisfatto quei generoso
4^ CELtini
Re del desiderio, che aveva d'intendere,' ,
come /osse fatta la detta tazza: e mi diste$i
a parlare di queste minuzie dell'arte eoo
Sua Maestà, perciocché egli grandemente
pigliava diletto d^ udir ragionare di simili
cose; che altrimenti sarebbe stato sconve-
nevole tediare cosi nobili orecchie» con sì
umile ragionamento ] il quale ho voluto qui
porre (come di sopra dissi) per essere di
nostro proposito. Ora verremo a trattar^
delParte dello smaltare.
CAPITOLO IV.
Deiy arte dello smaltare in oro e in ar*
gènio y e della natura et alcuni smalti.
i^ome già dicemmo^ in Fiorenza Tarte
dello smaltare è grandemente fiorita , ed ia
tal guisa, che, gli ocefici della Fiandra e
della Francia ^ dov' ella è molto in uso ^
non poco acquistarono a' lor lavori me-
diante l' osservazioni y che essi fecero sopra
le opere di smalto de' nostri artefici , avendo
considerato, che quello era certamente il
vero modo di smaltare ) ma perchè tal modo
era non poco difficile d^ conseguire^ vi-
ebbe di quegli , che tentarono altra maniera
più facile di lavorar detto smaltcf, ed in
quella con grandissima pratica esercitandosi
condussero infinite opere, le quali merita-
rono d' esser molto lodate da quelli , che
poco esperti ^rano di tal arte. Ma vependi»
^ OREFICERIA. 4^
óoi a parlare del vero modo di smaltare^
diciamo primieramente , che si dee fare una
piastra d^oro o d'argento alquanto gros-»
fletta e condotta in quella fornia^ che si
dee far l'opera^ e questa si appicca sopra
uno stucco^ che si fa di pece greca e mat-*
ton pesto, sottilmente incorporato con un
poco di cera: ma si dee avvertire alla sta-
gione^ in che altri si ritrova; imperocché
se sarà d'inverno^ vi si ha da metter più
cera , e se di state y ponga visene manco. Ap-
piccasi poi il detto stucco sopra una stecca
o grande o piccola , secondo la grandezza
del lavoro; indi si piglia la detta piastra
scaldandola^ e dopo che sìa calda^ si appicca
sopra la detta pece , come s' è detto« Ciò .
fatto segnisi un profilo con un paio di se«
ste piccole ^ il qual profilo sia manco d^ una
costa di coltello , e poi s' abbassi tutta la
detta piastra ; appunto^ quanto ha da es-
sere la grossezza dello smalto con molta
diligenza. Come si darà ridotta la piastra
in tal termine , disegni visi tutto quello 1 1
che si vuole intagliare y o siano figure ,.
fogliami o animali y e tutto s'intaeli^ col
bulino e colle ciappolette con diligenza
grande. Debbesi fare il lavoro «di basso ri«
lievo della grossezza di due fogli di carta
ordinaria , intagliato con ferri sottili, e mas-
simamente i profili; ma essendo figure ve-
stite con panni, è da sapere, che i panni
sottili mostrano benissimo per cagione delle
spesse pieghe, che si fa in essi. Ben è di
grande importanza e vaghezza fare il la-
voro pieno dentagli, pieghette o fiori, i
46 CELLINI
quali 8Ì fanno sopra i panni grossi ,* to^
lendo dimostrare un dommasco; perciocd^è
questa diligenza si fa ^ perchè^ oltre alia
Taghezza , finito che si sia di smaltare ^ lo
smalto non ìschìzzi 3 e quaiUo pia' pulita-»
mente si farà T intaglio ^ t^nto più bella
Terrà. l'opera. Ancora si debbe avvertire di
non toccare V opera con ì ceselli e coi
tnartello con credenza di far pia bello il
basso rilievo, perchè gli smalti o non si
appiccano o fanno brutta la smaltatura;
Quando s'intaglia, è forza di fregar F inta-
glio con un poco di carbone di salcio o di
nocciuolo y strofinandolo insieme con un
poco di scili va, acciocché si possa meglii9
scorgere quel(o , che V uomo intaglia ; es^
sendochè il lustro, che vi faniio que' fer-
ruzzi, non lascerebbe veder bene P opera; e
perchè per tal cagione la dett^ opera diviene
alquanto unticcia e lorda, finito che sia
r intaglio , sì dee bollire in una cenerata
nel modo, che dicemmo faVsi ne^ lavori di
niello. Ma prima che venghiamo a ragio--
Dare del modo dello smaltare in argento e
in oro (ne' quali modi indifferentemente si
trovano alcune diversità per òonto della sta-
gione degli, smalti , siccome avviene dello
smalto rosso trasparente, che non si può
adoperare a smaltare in argehto, perciocché
l'argento noi piglia) diremo alcuna cosa
sopra gli smalti particolarmente. Era in
uso quest' arte appresso gli antichi ; ma per
quello , che s' è ito per diverse osservazioni
congetturando , essi non ebbero cogni/.ione
di quella sorta di smalto rosso trasparente^
ORBPICE&IÀ. 4?
la qaal sorta di smalto fu ritrovata da un
oretìce, che si dilettava dell' archimia , il
quale teutaodo di far oro, e nella fusione
de' suoi metalli restandogli nel coreggiuolo
una loppa di ,vetro rossa y vaghissima veden-
dola, fu accompagnata da esso, per mezzcT
deir esperienza , con gli altri smalti. Questo
smalto a gran ragione è tenuto da tutti gli
orefici per lo più bello, e si domanda
sqialto roggio. Ecci un^ attrà sorte di smalto
rosso, il quale non è trasparente né di
bel colore , che si « adopera in suir argen-
to; il che non interviene dello smalto rog-
gio (come dicemmo di sopra) che per
mtolte esperienze fatte non lo riceve. Ma il
roggio pare, che avendo avuto compagnia
con altri preziosi metalli, mentre si cercava
di ritrovar l'oro, non sia dalForo sdegnato,
e con. esso volontieri s' accordi. Fannosi gli
smalti di tutti i colori, come di sotto dire-
mo. Ma tornando allo smaltare, diciamo,
che lo smaltare non è altro, che un dipin-
gere; e perciò bisogna aver preparato i suoi
smalti , e quegli pesti benissimo : la qual
cosa è di non poca importanza; onde dicono
comunemente ^ìi orefici: smaho sottile, e
niello grosso. Pestasi dunque lo smalto in
una. bacineUa di forma tonda, e di gran^-
dezza d'un palmo, e questa vuol essere fab-
bricata di acciaio benissimo temperato; e
qui dentro posto lo smalto con acqua net-
tissima, si macina con un martello, pure di
acciaio , di ragionevole grandezza , fatto ap«
posta. Alcuni vi sono, che hanno avuto
in costume di pestargli in sulle pietre di
V
48 ctiixfxi
porfido o di serpentino, e re gli pestano
asciutti; ma si è sperimentato^ che il modo
della bacinetta è migliore e più pulito ^ e
le dette bacinette si fanno in Milano. Ora
cotn^ e' si sarà pesto sottilissimamente lo
smalto , per mezzo dell' esperienza ritro-
viamo esser megKo scolare V acqua y dove si
sarà pesto, e subito poi mettere il detto*
smalto in molle in tant'ac({ua forte ^ quanta
ricuoprà appunto lo smalto, in un vasel-*
lino di vetro ; e così si lasci stare per ispa*
zio di un ottavo d^ ora. Ciò fatto, pigliasi
ì detti smaltile in un^ ampolletta con mol*
inacqua chiara e fresca lavinsi molto benCi
acciocché non vi resti alcuna bruttura; per*
ciocché quell'acqua for(e, che abbiamo det^.
lo, lo libera da ogni untume, e l'acqua
fresca lo purga dalla terra. Lavati che sieno
gli smalti , ciascuno da per se debb' essere
posto in un vasellino di vetro o di terra
invetriata, e si dee procurare di tenerli
in guisa , che l' acqua non si rasciughi ;
perchè subito si guasterebbono , ponendovi
su del tutto acqua nuova, e però bisogna
mantenere quella , in cui sono posti. Ora
noti diligentemente F orefice, che desidera,
che i suoi smalli vengano bellissimi. Piglisi
un pezzo di carta .nettissima^ e quella si
mastichi o si metta in molle , e dirompasi
con un martello, e ciò fatto lavisi bene, ac-
eioGchè l'acqua n^esca; e di questa si ha
da servire come se fosse una spugna, met*
tendola di mano in mano sopra gli stnalti ^
che si pongono sopra il lavoro; perciocché
quaùto più asciutti si terranno, tanto più
OREFICERIA. 49*
bella diverrà P opera. Non voglio lasciare
indietro aacora un altro avvertimento y il
^aale importa molto alio smaltare, ed è
qaesto. Prima che V orefice si prepari a
smaltare T opera , si dee pigliare una pia-
stretta d^oro o d' argento, e sopra essa si
debbono porre tutti gli smalti che si hanno
da adoperare, facendo sopra la detta piastra
tante ctivernelle con una ciappola , quanti
saranno gli smalti ; . indi si pesta di tutti
un poco per farne saggio, che serve a ve«
dere qual sia più o manco facile al cor-
rere, essendo necessario, che tutti gli smalti
corrano a un tratto; perchè quando T uno
fosse tardo e l' altro veloce , 3^ impedireb-
bone r un 1' altro , e nulla si condurrebbe-
a perfezione. Per meglio poter adoperarci
detti smalti , si usa nelP arte uno strumento
detto palettiere , il quale si fa di piastra
di rame sottile e si taglia a imitazione
delle dita delia mano; fé quali si debbono
&re in numero di cinque o sei dita al
più , e larghe quanto un dito. Dipoi si fa
un piombo in guisa di pera , e il suo pic^f
ciuolo o gambo è di ferro ; e perchè a
tutte quelle dita di rame si fa ioro un
buco , perciò si pongono V uno sopra. F^al*
tro nel picciuolo della detta pera, la quale
si tiene innanzi alF opera , che si fa ; e
quelle palettine , che son fatte in guisa
di dita , Volendole poi mettere in opera, si
aprono^ e sopra esse si pone a poco a poca
i suoi smalti secondo la discrezione e pra-
tica. Fatte le dette diligenze, si potrà co*
miociare a smaltar \ opera di basso rilievo^
CdlirU Ben. Fol IH. 4
50 CELLI»!
tenendo sempre coperti i vasetti , dove si-
serba lo smalto^ acciò stieno sicuri dalla
polvere: ed in ciò si dee usare quella de*
«trezza che farebbe un pittore volendo di-
pìgnere; che ( come s' è detto ), lo smaltare
e molto simile ; perchè gli smalti si lique<!
fanno , come i colori : quegli si liquefaano ^
coir olio e qpir acqua, e questi si liquefanno
col fuoco. Piglinsi adunque con una palet-
tina di rame piccola gli smalti^ e quegli si
distendano a poco a poco sottilissimamente
sopra r opera, con vaghezza compartendo
la varietà de^ colori degli smalti; perciocché
sene trovano di color verde, incarnato, ros-
so, pagonazzo, tanè, azzurro, bigio, cappa
di frati , e cavezza ^i moro , che cosi è il
nome del colore di detto smalto : a questi
s' aggiugne il colore dell'acqua marina, il
quale è coldr molto bello e si adopra be-
nissimo in oro e in argento. Non connu-
mero fra questi il colore dello smalto
bianco e turchino, perciocché questi nòa
si pongono fra gli smalti trasparenti. La
prima volta , che s' impone lo smalto , si
domanda dar la prima pelle , la quale si
pone sottilmente e con gran diligenza; pef-
ciocche bisogna proccurare di mettere la
diversità de' colori nettissimamente e in tal
guisa , che paiano miniati , e non che uà
colore si sparga nell' altro. Condottp che si
sìa il lavoro a perfezione, si avrà in ordine
il fornello bene acceso, di carboni dolci ; e
de^ fornelli parlerò altrove, mostrando fra
le diverse sorti , che sene fanno , ,qual sia
la migliore. Debb' essere il detto fuoco a
OREFICERIA. 5 1
proporzione dell' opera x;he vi si pon dentro;
e com^ egli sia nella sua stagione , si porrà
il lavoro sppra una piastra di ferro ^ la qual
piastra sarà tanto più grande del lavoro^ che
y' e posto sopra^ quanto ella si possa pigliare
colle molle ; e dopo che colle dette molle
sia presa ^ si accosterà alla bocca del for-
nello , tenendovela tanto appresso , ch^ ella
comìnci a pigliare il caldo; indi a poco a
poco^ come si vede essere ben calda, met-
tasi V opera dentro al fornello nel mezzo ;
avendo grandissima avvertenza^ come lo
smalto comincia a muovere di non lasciarlo
scorrere affatto, ma cavar V opera fuori del
fornello e trattenerla a poco a poco , ac-
ciocché ella non si freddi a un tratto. Come
sia poi ben freddo lo smalto^ diasi la se^
conda pelle al lavoro in quella guisa, che
si fece la prima , della quale s^ è detto ; e
poi si rimetta nel fornello , ma diasegli al-
quanto più fuoco, e di nuovo si tiri J^ora
nel modo detto di sopra y e vedendo che
il lavoro abbia di^ bisogno d^ esser caricato
di più smalto in qualche estremità delle
sue parti ^ a ciò si dee supplire con discre-
zinne, la quale, come abbiam detto, è dif-
ficile a essere insegnata. Avvertiscasi a far
fuoco fresco air opere^ cioè che il fornello
3Ì rinnovi di carboni ; ed allora^ che sieno
accesi nella loro stagione, si dia al lavoro
sicuramente un buon fuoco , però tale quale
comporta lo smalto e Foro, Dipoi tratto
foora del fornello con grandissima prestezza,
facciagli vento con un manticetto un garzone,
finché con quel vento 9Ì freddi : e questo si
ÌÌ2 OEtiLIIff
fa solo ^ove intervieue lo smalto roggio ^.
perciocché egli ha in se questa proprietà,
che sentendo il fuoco ultimo, oltra il cor«
rere come gli altri smalti y di rosso diviea
giallo, e tanto giallo, che egli non si di«
scerne. dalPoro : il qual effetto dagli orefici
si domanda aprire. Però , com^ egli sarà
freddo^ si dee colle molle pigliare e ri'*
mettere nel fornello con fuoco molto de-
bole, al contrario del secondo, perciocché
vuol essere gagliardo, e quivi si vedrà a
poco a poco ritornar rosso ; ed allora si
aebbe por cura , se égli avrà ^uel colore ,
che si desidera, di trarlo presto dal fuoco
e còl detto manticetto freddarlo , perchè
il troppo fuoco gli darebbe tanto colore,
che diventerebbe quasi nero. Ciò fatto, ab-
biansi apparecchiate di quelle pietre frassi-
nelle , come di sopra dicemmo, e con quelle
si assottigli tanto lo smalto, quanto si vegga
a bastanza trasparente e che mostri bene ;
indi si finisca di pulire col tripolo. Questo
modo di smaltare si domanda pulire a ma-
no, ed è il più sicuro e^l più bello. L'ai*
tro modo di pulire si conseguisce C0SÌ3 per-
ciocché essendosi scopeirto lo smalto colle
dette pietre, e assottigliato e lavato molto
bene con' acqua fresca, sicché egli sia benis-
simo netto, si rìibette in sulla piastra di fer-
ro, e avendo a ordine il fornello con nuovo
fuoco^ messolo a poco a poco dentro, perchè
non pigli il caldo a un tratto, come sia ben
caldo si lascia il lavoro nel fornello, fin
tanto che si veda scorrere tutti gli smalti e
diventar pallidissioii. Cosi in questa maniera
OREriQBHIA. 53
èr (à il secondo pulimento degli smalti , il
quale si conseguisce più presto^ che ^1 primo:
ma perchè tutti gli smalti per natura riti-
rano e ristringono , e chi più e chi manco
ritira ; perciò in questo modo 1' opera vico
manco* unita, che quand^ ella si pulisce nel
primo modo , detto a -mano. Àvvertiscasi
ancora che dove non è smalto roggio (per-*
che, come ho detto^ non s'adopera suIFar'*
f ento ) quando si cava il lavoro del fornello
si debbe cavare a poco a poco j e con tal
fentezsa y che gli smalti si freddino da per
loro e non con violenza^ comesi fa, quando
fra èssi è lo smalto roggio. Usasi ancora
di smaltare pendenti ed altri diversi lavori,
ne' quali non s' adopera la pietra frassi*
nella ; perciocché v' interviene talora smal**
tare alcune cose di rilievo , come sono frutti^
foglie ; animalucci, mascherette e simili^ le
quali si smaltano con gli' smalti tsotlilissi-*
mamente pesti e lavati. Ma perchè nel
porre gli smalti sopra tali cosette di rilievo,
consti mand osi assai tempo, gli smalti si ra**
scingano tanto, che si seccano, laonde nel
voltare il lavoro cascano a terra ; perciò
volendo riparare a tal disordine, si dee pi«
gliare delle granella di pera , cioè di . qqei
semi che sono nelle pere, di quelli scegliendo
i non vani 9 i quali si mettono in molle in
un vasetto di vjetro con poca acqua ; e vo«
lendo smaltare la mattina , basta ponergli la
aera. Dipoi cominciando a smaltare , avendo
messo gli smalti sopra il palettiere, prima
che si comincino a por gli smalti sull ope-
ra 9 si dee pigliare una sola gocciola di
54 CELLIAI
quell'acqua di seme di pere, e aopra cia-
scuno degli smalti, che sono sul palettiere,
se . ne dee porre una gocciola^ e poi comin-
ciare a imporgli suir opera: essendoché quel^
r acqua di seme fa una certa 'coUa^ la quale
tiene sì, che gli smalti non cascano, né altra
sorte di colla farebbe un tale effetto. Nel
rimanente poi si dee usare i modi e le di*
ligenze, che altrove si è detto ^ non vi.es-
sendp più di quello, che s^è ragionato, di
altre differenze da osservarsi volendo smal-
tare in oro o in argento*. Ma prima che
ponghiamo fine al nostro ragionamento^
qui sarà nostro luogo di far menziono an-
cora di Caradosso Milanese, il quale valse
assai in dett' arte di smaltare per non de-
fraudare gli artefici forestieri e che furono
eccellenti al pari di quelli della mia patria ,
de^ quali feci da principio menzione , delle
lodi che loro si convengono; ma perché poco
di sotto con migliore occasione si debbc
ragionare delle sue opere, perciò trapasso*
remo ad espedirci di altre sorti sottoposto
all' oreficerìa^ siccome è quella del lavorar
di cesello.
OBEFICCRIA. 55
CAPITOLO V.
DelV arte del cesellare , del rammarginare ,
saldare / arrenare , camosciare y brunire y
ss^affiare , e colorire i lavori di piastra
d* oro e d argento.
JL UTTO quello , che fra gli orefici si do-
manda lavorare di minuteria, si conduce
col cesello ; le quali minuterie sono anella y
pendenti, maniglie e certi medaglie di pia-
stra y d^ oro sottilissimo , per portare nelle
berrette e ne' cappelli, nelie quali medaglie
si fanno figurine di basso , di mezzo e di
tatto rilievo. In quest' arte^ fra quanti orefici
sono da me stati conosciuti, niuno (per
mio parere) ha sopravanzato Garadosso da
Milano y del quale pur ora abbiamo fatta
menzione ; perciocché ne* tempi di Lione y
d^Adriano e di Clemente , Papi y fece opere
molt^ eccellenti. Era questo valente artefice,
oltre la sua virtù, ornalo di una sìngolar
bontà e piacevolezza y ma perchè egli y po-
nendo grande studio e diligenza nelle sue
opere , non mai cosi presto finiva i lavori ,
come quelli che del suo artifizio si serviva-
no, avrebbono desiderato^ conciossiachè egli,
come amorevole dell' arte- e bramoso di gloria,
vedeva ciò non potersi acquistare con far
gran numero d^ opere, e che difiicil cosa era
congiugnere colla prestezza la perfezione?
56 cEi^Lmi
,per questo suo virtuoso costume s' acquieto
il soprannome di Caradosso ; percioocbè
avendo egli lungo tempo trattenuto un Si*
gnore Spagnuolo, a cui doveva finire una
medaglia, fattolo un giorno il detto Signore
dinanzi a se chiamare , tij^tto irato gli disse :
Sennor caraduosso , porque rum me acabais
mi medallia? la qual parola di Caradosso più
volte replicata da quel Signore e tenuta a
mente da lui^ tornato che egli fu a bottega,
e per piacevol modo raccontando il seguito
^a^suoi garzoni, volle, che per Caradosso
sempre lo nominassero; ma divagandosi iL
soprannome, ed essendogli detto la forza delle
parole Spagnuole (il significato delle quali
Benissimo quadrava a un certo sno viso
Isopico che egli aveva ) mostrò poi sempre di
adirarsi, quando altri per lo suo vero nome
non lo chiamasse. Ora tornando dopo que*>
sta piacevole digressione al proposito nostro.
diciamo esserci due modi di lavorare di
cesello^ uno difficile e l'altro più facile; il
qual modo difficile in que' tempi «ra seguì*
teto da Caradosso : e perà di tutti due è
nostra intenzione di parlare ; e prima dei
più difficile tenuto dal detto Caradosso.
Usava questo industrioso artefice di far
primieramente un modelletto di cera, ap^
punto della grandezza dell^ opera , , che egli
intendeva di condurre, lavorato con gran-
dissima diligenza; dipoi preso il modello, e
riempiendo di terra i sottosquadrì^ lo forniva^
e gettava di bronzo, di ragionevole gran-
dezza. Ciò fatto, tirava una piastra d'oro, nel
mezzo alquanto grossetta : non tanto però ^
oitEPicmiu. &f
cbe facilmeote egli a sua volootìi non V a-
Tesse potuta piegare; e questa faceva due
eo9te di coltello più grande del suo model-
letto. Avendola poi ricotta e tirata alquanto
colmetta^ la metteva sopra il detto modello
di bronzo , e prima con certi ceselletti fatti
di scopa o di corniolo, appoco appoco co-
minciava a f^r pigliar forma alle figurine
del modello; e perchè bisogna aver avver*
lenza che V oro non si vada rompendo, egli
con -grandissima destrezza dava con i ceselli
quando di legno , quando di ferro, ora da
ritto, ora da rovescio della piastra, proccu-
raEido sempre che l'oro della detta piastra
divenisse uguale; perciocché se egli fosse
più grosso in un luogo, che in un altro ,
difficilmente si tirerebbono quest^ opere a
bella fine. Queste diligenze in Garadossa
erano esquisitissime, essendoché io non ho
mai conosciuto uomo, che meglio di esso
tirasse de dette piastre d^ oro , né più eguali.
Avendo egli poi condotto le medaglia a
quell' altezza di rilievo ^ che voleva, che el-
r avesse , allora cominciava a stringere V oro
con grande avvertenza fra le gambe^ fra le
braccia e dietro alle teste delle figurine delia
sua medaglia, e congiunte che egli Taveva
benissimo insieme, e che i pezzi delF oro si
toccavano , egli tagliava tutti que' campi che
restavano sotto le gambe, le braccia ed altre
parti delle dette figure, pulitamente soprap-
ponendole, e così faceva a tutte l' altre parti ,
che erano separate dal campo. Com'egli aveva
a tal termine condotto il suo lavoro (il quale
faceva di bonissimo oro^ e che fosse oro di
58 cELLiìri
ventidiie carati almeno; percìoechè esaendiy
troppo vicino a ventitré carati, sarebbe un
poco dolce da lavorare, e se egli fosse
meno di ventidae e mezzo , sarebbe al«
quanto duro e pericoloso al saldare ) co^-
minciava a saldare detto lavoro col primo
modo di saldare , che si domanda saldare
a calore, il quale si fa così. Pigliasi uà
poco di verderame dal suo pane vergine ^
perchè non vuol essere stato adoperato ad
altro', e di questo, volendo saldar simili
opere, se ne piglia quanto una noce no*^
strale senza il mallo , e con questo si me^
scola la sesta parte di sale armoniaco e
altrettanta borace , e ogni cosa essendo
macinata insieme, dipoi si liquefa in »no
scodellino invetriato con un poco d'acqua
pura, benissimo netta. E delia detta com^
posizione di verderame macinato , allorché
ella era diventata liquida come un colore
da dipignere, con un picciolo fuscelletto
pigliandone Garàdosso , la distendeva «U
quanto grossetta sopra quelle giuntura ,
che dicemmo, che venivano fralle braccia
ed altre membra delle figurette della me^
daglia; e sopra il detto verderame poneva
col suo boraciere un poco di borace be-
nissimo macinata. Indi facendo accendere
il fuoco di carboni freschi e non più stati
accesi altra volta , poneva l' opera nel fuo«
co , acconciando i detti carboni colle Iof
teste per ordine, quelle volgendo verso do*
V egli voleva saldare, perchè dette teste
soffiano e respirano alquanto. Ciò fatto adat«
tava sopra V opera alcuni carboni in guisa
OHEFICEBU. 59
^una graticoletta , proccurando però che i
carboni non toccassero l' opera ; e stava av*
TertitOj mentrechè egli tesseva detti carboni.
Quando V opera fosse diventata del color del
fuoco^ ciò vedendo, cominciava destramente
col manticetto a soffiar nella detl' opera^ e
in tal guisa che le fiamme si ripiegavano tutte
sul suo lavoro ; perciocché se il vento fosse
troppo gagliardo, le fiamme s' aprìrebbono e
anderebbono fuora , e si porterebbe perìcolo
che r opera non si struggei»se e guastasse ;
e perciò egli^ coUa sopraddetta diligenza
goyernandosi come cominciava a veder lam-
peggiare e muovere la prima pelle deir oro^
prestamente con una setòlina infusa in un
poco d' acqua spruzzava sopra il detto lavoro>
e in tal guisa veniva rammarginata V opera
heaissimo senza saldatura. Dopo che egli
aveva questa prima volta saldato il lavoro
a calore ovvero rammarginato (essendoché
questo modo non si domanda saldare, ma
é un ridurre tutta l'opera d^ un pezzo; per*
che tanta é la virtù del verderame accom«
pagnato col «ale armoniaco e colla borace^
che possono muovere solamente la pelle
deir oro y laonde con quella stessa pellolìna
si rammargina ess^ oro in tal guisa , eh^
egli egualmente vien sodo e intero ) avendo,
dico, ciò fatto Garadosso , poneva la suA
opera in aceto fortissimo, bianco, mettendo
in esso un poco ili sale, e cosi ve la lasciava
star dentro per una notte intéra; il qual
effetto fa, che la mattina ella si trov^ bian^
chita e netta dalla borace ; allora pigliava
dello stucco, e riempiva r opera tutta, per
6o CBLLIKI
poter lavorarla col cesello; il quale stucciii
8Ì fa di pece greca in escoIa|ba con un poco
di cera gialla e con mattone benissimo pe*'
sto: e questo è il vero stucco^ col quale si
riempiono le medaglie o altre simili casey^
che si hanno da lavorare di cesello. Fattit
le dette diligenze cominciava a cesellare
Fopera^ avendo prima preparato i suoi ce^
selli, i quali cominciando da certa grosaeiBza
andavano sempre diminuendo; laonde pef
cotal via de^ grossi y de^ mezzani e de^ piccoli
ne veniva ad avere. Questi ceselli si fanno,
senza taglio veruno, perchè hanno a servire
per infragnere solamente e nc^n per levare;
ma io non voglio altro dire di cos^ cosà
Bota; bene avvertisco il lettore^ che essendo
di necessità^ che nel lavorar l' opere sempre
vi nasca qualche picciolo buco o stiaqta^
che perciò questi non si debbono saldare x>
rammarginare nel modo, che di sopra di«
eemmo, col verderame^ ma colla s^daturs^
la qual e cosi si dee fare. Piglisi sei carati d^oro
fine, e un carato e mezzo tra rame e argento
fine, e dopo che si sarà fonduto Taro vi ai debbe
aggiugnere. l'argento e il rame sopraddetto;
la qual saldatura e composizione , di rame
e d^ argento fra gli orefici è cliiamata lega.
Con questa adunque si dee saldare i detti
buchi o rotture cne si fanno nel lavorare;
e ogni volta che si ha da saldare è neces-
aaHo mettere sopra la saldatura fatta un
poco della detta lega , acciocché Y ultima
saldatura, con che si è saldato/non abbia ad
aver causa di far ricorrere le prime salda tu*
re : ed essendo saldati alcuni, pezzi o ^altre
/
OflEriCERIA. 6i
cosette deir opera j di nuovo si ponga il
lavoro sopra lo stucco , e si rìceseili con
diligenza e pazienza ^ finche si conduca a
perfezione. E questo è tutto il modo che
teneva Caràdosso nel cesellare, il quale li«
bera mente confesso d^ avere imparato da
kir; né me ne sdegno , anzi y grato e co-
noscente y del continuo gliene rendo lode
e grazie infinite 3 perciocché niun vizio vi
ha maggiore che quello dell'ingratitudine;
non volendo in ciò assomigKarmi a molti ,
che non prima hanno ricevuto benefizio |
che in cambio di sentirne obbligo al be«
neficatore , proccurano d^ oltraggiarlo o ma-
lignamente opprimerlo ; ed avvengachè '\o
voglia di presente mostrare un altro modo
di cesellare, di questo più facile^ e alcune
mie particolari osservazioni non usate da
Caràdosso ; non perciò é mio intendimento
d' oscurare per cotal modo la ^sua fama ;
essendoché io , come ho detto , dì molte
t>sservazioni fatte da me nella dett'arte da
lui propriamente riconoscojma come avviene
che facilmente s*aggiugne alle cose fatte ^
così di alcune cose intorno a quest' arte
interverrà. Dico adunique^ che dopo che si
aarà fatto il modello di cera e risoluta la
sua invenzione , presa la piastra dell' oro
nel modo sopraddetto ( cioè sottile dagP in-
lati y ed alquanto grossa nel mezzo ) pian
piano con i ceselli grossi si debbe comin-
ciare a darle da rovescio, facendo gonfiare
un poco di bozza, secondochè dimostra
V ordine del modello 3 laonde così facendo
non occorrerà adoperare il bronzo ; come
64 CEtXlIfl
tis^va fere Caradosso ] conciossiachè y in-
panzi che si sia gettata la medaglia di
bronzo', si sarà tirata 1^ opera molto bene
avanti; ed inoltre per quel poco d^ imbrat-
tamento j che fa il bronzo aiP oro , non sa-
rai costretto ogni volta ^ che si debbe ri-
cuocere la medaglia , ad arrenarla coUa
renella di vetro ; la qual reoella è molla
a proposito e necessaria , perciocché ella
leva tutti i cattivi fummi che piglia V oro
dal bronzo. Governandosi l' artefice adun-
que per cotal modo , verrà a sfuggire gli
impedimenti delti e subito potrà ricuocere
il < lavoro senza arrenarlo mai : e perchè qui
xni s^ appresentano alcune opere, che io
feci y lavorate nel detto modo , non voglio
a me medesimo onestamente mancare ;
hxentrechè facendo di esse menzione e bre-
vemente dimostrando il modo che io tenni
in condurle y verrò ( per quello che io mi
fo a credere ) più chiaramente a dimostrare
l'intenzione mia al lettore con tali eviden-
ze. Occorsemi di fare a Girolamo Marretta^
gentiluomo Senese^ una medaglia d^ oro ^*
nella qual€ vi adattai un Ercole , che fa-
ceva la fatica del leone , sbarrandogli la
bocca ; le quali figurine furono fatte da
me di tutto rilievo e tanto spiccate , che
appena i capi si vedevano accostati al pia-
no , cosi erano T appiccature piccole. Que-
sto lavoro fu condotto sen^a far prima
lai medaglia di bronzo : ma tenni il modo
sopraddetto y dando ora dal ritto ed ora
dal rovesciò della piastra y tanto che io lo
tirai a fine con una pazienza e con uno
OREFICBKIA. 63
Studio tale, che egli meritò (e questo è
da aie detto con grandissima ambizione )
che il grandissiii^o Michelagnolo Buonaroti
si degnasse di venire infino nella stanza ^
dov' io lavorava , a vederlo , come sanno
di molti virtuosi artefici, che vi si ritrova-
rono ) il che occorse nell' anno mdxxvili.
in Fiorenza. Il qual lavoro veduto da sì
maravìgUoso uomo fu lodato con queste
proprie parole ( perciocché io non voglio
di esse far mercanzia o onorarmi , come
molti artefici con isfrenata ambizione co-
stumano dì fare , adattando ad ogni loro
ragionamento sentenze , jche egli dicesse
sopra le loro opere ^ essendoché io ho fatto
sempre più professione d^ essere y che di
parere) dico adunque, che avendo egli
con occhio dilìgente osservato i contorni , i
muscoletti e l'attitudini di quelle figurine |.
disse : Se guest* opera picciola , finita con
quello studio e bellezza , che io s^eggp ^
fosse condotta in forma grande di marmo
o di bronzo y egli si {vedrebbe una mara-
viziosa opera ; e per mio parere non ere-
do^ che quegli orefici antichi averebbono
potuto con più eccellenza condurre i loro
lavori , che questo si sia condotto. Le quali
parole cotanto mMnfiaHimarono a operare ^^
che io mi disposi di fare delle figure gran-
di; e tanto più/ quanto mi fu detto dopo
che Michelagnolo s^ era lasciato intendere
cosi , dicendo , che uno , che conducesse
con tal perfezione un^ opeta piccola , non
r avrebbe condotta poi cosi grande. Laon--
de, non per contrappormi all'oppenione di •
tant' uomo , ma per avanzare con istudio
64 CELLtNI
e pratica qtiegV impedimenti , cbe m' ares*
8ero potuto y nello scolpire o gettar di
bronzo figure grandi , non lasciar coose*
guire la vera e lodata maniera , che in
dette arti si ricerca^ mi posi a scolpire e
far opere grandi di marmo e di bronzo ^
come diremò a suo luogo. Ma per tornare
donde io m^ era partito , avendo vedato
Federigo Ginori, gentiluomo Fiorentino e
grandissimo amatore de^ virtuosi , la detta
medaglia , volle , che to gliene facessi una
ancora a lui; e perchè egli aveva animo
veramente nobile avendo collocato il suo
amore in una Signora d' altissimo grado ,
espresse il suo particolar pensiero con un
Atlante , che sosteneva il cielo j secóndo
che figurano i poeti , dando spirito alla
detta invenzione con questo motto : svmma
TVLissE iVYAT. Il clic avcudo io inteso y mi
posi con grand' amore a servirlo ^ tenendo
questo modo. Prima feci il modelletto ,
grandemente studiandolo, dipoi mi risolvei
di fare la medaglia, che avesse il campo
di lapislazzoli; ed il cielo, che si finge
tenere addosso Atlante ( il quale Atlante
io aveva di già lavorato con cera bianca )
feci di cristallo , intagliandovi con bel di-
segno dentro il zodiaco ed altre immagini
di steUe. Ciò fatto preparai una piastra,
d^ oro, ed a poco a poco cominciai a rilevar
con gran pazienza la figurina dell'Atlante,
tenendo un tassettino tondo dinanzi, sopra
il quale lavorando di mano in mano, ti-*
rava V orò del campo con un picciolo mar-
tellino^ mettendo il dett' oro nelle braccia
OKE^ICBIilA. 65
e lidie gambe della detta figura^ per ren-
dere eguali tutte le grossezze. Cosi condussi
insino presso alla fine la detta figura , in
tal guisa lavorandola : il qual modo di lar
vorare si domanda lavorare in tondo ; per-
ciocché il detto lavoro non aveva sótto il
si)o .campo , come quando si mette T opera
in pece, cioè ne' sopraddetti stucchi. Come
io l'ebbi ridotta a tal termine, io l'empiei
di ciucco, o pece, che dire la vogliamo,
e per via di ceselli la condussi alla fine;
dipoi appoco appoco l'andai spiccando dal
SUO' campo d'oro: il qual effetto è piolto
difficile ad esprimere con parole^ pure col
miglior modo , che sia possibile , m^ inge-
gnerò di andarlo dimostrando. Noi dicemmo
in che maniera si congiungeva le braccia
e le gambe delle figure^ lasciandole appic-
cate al campo ' d' oro della medaglia 3 ma
io quest' altro modo di lavorare le figure
si hanno da spiccare dal detto campo d'oro}
laonde debbe l' artefice con un martellino
picciolo, lavorando sopra quel tasselletto ,
o ancudinuzza , che di sopra dicemmo ^
colla petina del detto* martellino dar pian
piano nella piastra d^oro, che s'avrà di-
nanzi , e eoa un poco d^ atto di mano
spignerlo in dentro^ e in parte con i ce-
sellini , tanto che la figura venga alquanto*
gonfiata sopra il campo. Ma quando s'avrà
da lasciare la figura sopra il campo d' oro
spiccata , non bisogna mai , ch^ ella venga
gonfiata, e perciò si debbe aver cura, che
U campo di detta figura non esca^del suo
Cellini Berw. Fol IIL 5
4
66 CILLIHI
dirìlto y dove ìd questo presente modo j
che ora diciamo , noD ci avendo a servire
del detto campo , si debbe far gonfiare y e
si ha da storcere in que^ luoghi , dove il
bisogno ti mostra. Poiché si vedrà restare
oro abbastanza per poter congiugnere le
schiene della %uretta , allora ella si ha da
spiccare dal restante del campo y e con
2ueir oro^ che si sarà lasciato alla detta
gura , pian piano congiugnendolo y si do-
vrà saldare e dargli V ultima pelle e fine ,
senza mettere il lavoro più nello stuc«
co; perchè di ragione^ essendosi l'arte-
fice oon diligenza governato, non vi do-
vrà nella sua opera restare alcun luogo
aperto, dove lo stucco possa entrare. In
tal guisa adunque condussi a perfezione il
mio Atlante e quei luoghi della figura che
si avevano da posare sopra il lapislazzoli,
che io mi era eletto per campo deUa me-
daglia j saldati con due picciuoletti d' oro
ben gagliardi ; ed avendo fatto bucare il
detto lapis ^ ve la fermai sopra benìssimo.
Ciò fatto ^ sopra gli omeri della detta fi-
gurina vi posi la palla di cristallo, figurata
per lo cielo y e perciò intagliata col zodiaco
ed altre immagini celesta ^ come di sopra
dicemmo y la qual palla era sostenuta colle
mani alte dal del to Atlante ; dando alla
d^tta medagha poi la fine con un orna-
mento d* oro y pieno di fronde y di fiori y
di frutti ed altre vaghezze, dentro^ al quale
la legai. Cosi condottala a perfezione y la
detti al detto gentiluomo , il quale mostrò
infinitamente di contentarsene , e venendo
OREFICERIA. ^ 67
a morte, perciocché egli mori' molto gio-
vane , la lasciò a Lpigi Alamanni , poeta
eccellentissimo e suo singolare amico , il
quale , dopo V assedio di Firenze andando in
Francia a servire il Re Francesco^ la donò
a quel Re^ giudicandola degna di tanto
Signore. La qual medaglia essendo somala-
mente piaciuta al detto Re y fu cagione ,
che Sua Maestà si degnasse d' intendere
dalPAlamanni chi ne fosse statò il maestro ,
e dopo certo sparJo di tempo mi chiamasse
a' suoi servigj. Essendo medesimamente di
nostro proposito, faremo ancora menzione
di un bottone d'oro, di forma tonda, che
io feci a Papa Clemente Settimo^ col quale
egli s' allacciava il manto , dimostrando in
parte il modo , che io tenni in condurlo.
Era questo bottone grande un palmo per
ogni verso, e per la sua grandezza molto
difficile ; perciocché neir opere ' pìccoline
la materia ubbidisce più alla mano ; e
tanto maggiore era la fatica , quanto io
era obbligato ad alcune gioie , che nello
scompartimento di detto bottone si avevano
a serrare ; perciocché vi era fra esse i^n
diamante assai grande, il quale fu com-
E rato tréntaseimila scudi. Sopra questa no*
ilissima pietra adanque con dignità e de-
coro adattai un Dio Padre a sedere , che
dava la benedizione^ al quale io aveva fatto
la testa e le braccia tutte tonde j ed il
restante era appiccato al campo del bottone.
Intorno a questo poi scompartii più di un
drappello d'Angeletti, de' quali parte si
ravvolgevano neMembi del ^uo manto, e
68 CBLLINI
parte furono da me frammessi con dise|[no
trair altre gioie, che andavamo' legate nel
bottone y come dicemmo ; ed alcuni de^ detti
puttini aveva io fatti di tatto rilievo , altri
di mezzo rilievo , altri di basso rilievo ^
secondo io gli voleva Bgurare; lontani o
presso , servendo in . ciò alle regole del di-
segno e della prospettiva. Fatto adunque il
modello j della grandezza appunto ^ che do-
veva esser T opera, tirai una piastra d'oro,
maggiore un dito d' ogni intorno di quello
che aveva da restar la dett' opera, e questa
cominciai a far gonfiar nel mezzo , battendo
la detta piastra con alcuni martelletti sopra
il piano di una ancudinetta; ma la battevo
colla penna del martello all' indentro , e
cosi per tal modo veniva a gonfiare assai
nel mezzo il dett' oro : e dove io lo vedeva
troppo* grosso gli dava co^ ceselletti^ quando
da ritto e quando da rovescio, fintantoché
la prìncipal figura , che era il Dio Padre ,
cominciasse a pigliar conveniente forma.
Cosi a poco a poco in tal guisa ^ or con
una or con un' altra sorta di cesello y con
pa2.ienza e amore mi^ rendei ubbidiente la
detta piastra d^oro, ed in pochi giorni con-
dussi il Dio Padre quasi tutto tondo. Men-
trechè io così andava seguitando^ occorse
che alcimi invidiosi dell'arte^ dicendo a
persone &mìgliari del Papa^ che io non
riuscirei con onore della dett' opera, percioc-
ché io lavorava in modo molto differente
da quello di Caradosso , e più pericoloso e
men bello , cotanto fecero , che il Papa mi
mandò a chiamare e mi prese gentilmente
OREFICERU. 69
a' dire ^ se dopò che io gli aveva portato il
modello di cera^ avessi fatt' altro: onde io
mostrandogli quanto aveva fino a quelP ora
operato^ con suo grandissimo contento e
piacere^ gli piacque di favorirmi con tali
parole ^ dicendo rivolto a dì moki Signori^
che gli erano dintorno , e forse a quei mt«
desimi j che avevano £itto per me cattivo
ufficio^ che io aveva grandemente migliorato
l' òpera dal modello , che di già gli aveva
mostrato. Facendomi poi questo quesito Sua
Santità , cioè , come io avrei firtto a tirar
fuora della detta piastra quegli angioletti,
che sì vedevano nel modello, senza gua-
stare quel che io aveva (in allora operato;
dissi , che in quella guisa , che io aveva
fatto rilevare il Dio Padre ^ nella medesima
farei rilevare ancora gli augioletti , cioè,
&cendo gonfiare a poco a poco quella pia-
stra d' oro con i ceselli , dandogli quando
da ritto e quando da rovescio, fin tanto che
io andassi a poco a pòco distribuendo V oro
dove ne fosse più necessità; perciocché
essendovi alcuni puttini di grandissimo rilie-
vo, bisognava tirarli tutti fuori a queir al-
tezza che avevano a venire , e nella, ma-
niera che io aveva fatto il Dio Padre; ma
che negli altri poi di minor rilievo, non
vi aveva tanta difficoltà; soggiugnendo che
la maggior fatica che fosse in lavorare la
detta piastra , era il mantener V oro , che
per tutto fosse di un'eguale grossezza. Ciò
detto avendo, mi fu da Sua Santità diman-
dato, perchè io non tenessi il modo di
Garadosso nel lavorare; ondMo brevemente
7 a cELLmi
dovessero porger maggior vaghezza all' o-
pera. Covimettevasi il detto fondo con
certe viti , che lo tenevano fortissimo j né
ai scorgeva come fosse stato saldato. Smal-
tai dopo la dett^ opera ìq più luoghi , e
massimamente nel fregio , che ella aveva
intorno. Finalmente le detti ^'ultima mano
in tal modo. Per ispianare a tutte le parti
delle figure , che erano ignude , i colpi
de^ ceselli , delle ciappole e bulini ed altre
limuzze , che in tali lavori si adoperano
( non vi essendo cosa che apparisca in tal
sorta di opere più vaga , che una pulitis-
sima unione , la quale non si può conse-
guire, se non per mezzo di certe pietre
ohe diremo , essendoché le pelli ^ che la-
sciano i ferri, di gran lunga tanto colorite-
non appaiono) perciò provveddi alcune punte
di pietre acconcie in forma di ceselletti: e
queste vogliono essere iosino al numero di
quattro o cinque^ le pùnte delie quali
( come de^ ceselli si disse ) debbono, per
proporzione venir diminuendo. . Con queste'
pietre y dette frassinelle ^ si adopera insieme
un poco di pomice ben pesta, e cosi colla
punta di esse si viene spianando e pulendo
le parti ignude delle figure. Per dar poi
finimento a' panni , che vestono le dette fi-
gure y ho usato pigliare un ferro sottilissimo
a tutta tempera : e perchè, rompendolo in
due parti y quella rottura mostra una certa
grana sottilissima; col detto ferro adunque
{lercotendo sopra le pannature col martel-
ino , che pesi per lo peso di due scudi ,
o piuttosto meno ^ ho conseguito il mio
OREFICEjaU. 73
intento: e questo modo fra gli orefici è
detto camosciare. Per dimostrare poi i panni
più grossi si debbe pigliare nn ferrolino
appuntato , ma non si debbe rompere come
quello da camosciare. Indi con esso perco-
tendo sopra i panni , appariranno più gros-
si y e ciò si dice granite. Per fare le sepa-
razioni de' campi si prende una cìappoletta
sottile e b^n arrotata y graffiando tutti i
detti campi per lo traverso; percbè in. al-
tra guisa non apparirebbono punto bene :
e questo si cbìama sgraffiare. Fatte le dette
diligenze , piglisi 1' opera e pongasi in una
catinella invetriata e ben netta , facendovi
sopra orinare da piccioli fanciulli ^ percioc-
ché questa è più calda e più purgata di
quellja dell' uomo : e ciò fatto si debbe co-
lorire : il qual colore si fa col verderame
e sale armoniaco ^ togliendo tanto dell'uno
quanto delF altro , e per una ventesima
parte delle dette ^ tolgasi del salnitro da
lar polvere^ cbe sia nettissimo ^ macinando
ogni cosa insieme ; ma si debbe avvertire
di non macinarle né sopra il ferro né sopra
il bronzo 9 ma in sulla pietra , o sia por-
fido o altra pietra , che tu possi avere ,
ancorché il porfido di tutte sia meglio j e
come sieno ben macinate y mettasi ogni cosa
in una scodelletta invetriata j e coir aceto
bianco si stemperi la detta composizione
in guisa y cbe non sia troppo liquida né
troppo soda. Ciò fatto ^ piglisi un pennello
di setole di porco delle più sottili^ e col
detto pennello s^ imbratti V opera della
detta mestura ; ponendovela sopra egual*
•^4 CELLINI
mente , della grossezza di una dosta ^ di
coltello. Dipoi avendo acceso un fuoco di
carboni che sieno mezzi consumati y xAoh y
che il fuoco in essi abbia perduto il furo*
re, spianinsi i carboni colle molle tanto
quanto T opera vi si possa fermare; cosi
messo il lavoro sopra il fuoco , vadasi pi-
gliando colle molle alcuni carbonetti ^ che
jsieno ben accesi ^ e con questi si vada scor-
rendo dove la mestura del verderame fosse
troppo , grossa ; perciocché bisogna esser
avvertito che il detto verderame arda tutto
egualmente, e che egli non istentì arden-
do^ perch'egli è differenza da farlo ardere
a farlo riseccare sopra il lavoro; il che^
quando fosse , causerebbe che V opera non
piglierebbe buon colore , oltreché ti sarebbe
difficile poi Io spiccarlo colle setoline. Come
il verderame sarà quasi che tutto egual-
mente arso^ cosi soppasso e caldo cavisi il
lavoro del fuoco j e pongasi sopra una pie-
tra o tavola di legno ^ coprendolo con una
catinella netta, cosi lasciandolo stare tanto
che egli sia ben freddo. Indi si ponga in
una catinella invetriata e pulita, e colla
medesima orina di fanciuUetti , che dianzi
dicemmo, ricopertolo tutto ^ si debbe per
cbtal via nettare colle setolette di porco.
Ben è vero, che tali diligenze si debbono
usare sopra i lavori , che sono smaltati ;
ma non essendo smaltati , quando il ver-
derame sarà arso , cosi caldo si può met-
tere nella sopraddetta orina, e cosi finirlo.
Tutte queste furono V avvertenze , che io
ebbi nella sopraddetta opera } e quand' io
OREFJCCRU. 75
fui al fermdre le gioie a' suoi luoghi j Jion
maucai con gran destrezza di far ciò con
DoUoUne e con vitì^ commettendo il fondo
tanto forte j quanto se egli fosse stato sai-
, dato. Parmi ancora d'avvertire in queste^
luogo r orefice che dovendo fermare in si-
mili lavori giòie grandi e piccole , veda con
disegno e giudicio di applicarle alla sua
invenzione. Perciocché hene spesso alcuni
orefici accomodano qualche gioia grande^
per ornamento di qualche figurina , con
grande spropprzione ^ credendo d^, essere
scusati per la necessità che apporta seco la
grandezza della gioia^ siccome avvenne nel
detto bottone ; perchè essendosi il Papa ri-
soluto di farvi dentro^ un Dio Padre, molti
orefici vi furono y che ne^ loro modelli fé-*
cero/ che quel gran diaìmante venisse ap-
1)uot:o collocato nel petto alla detta figura;
aonde non potendo essi a proporzione
della gioia fare tanto grande il Pio Padre^
{berciò con poca grazia vi si vedeva aver
uogo : del qual mancamento accorto il Pa-
pa j poiché egli ebbe veduto più modelli,
essendo io stato l' ultimo , mentre Qhe egu
diceva a que^ maestri che averebbe voluto
che quel diamante non fosse adattato nella
detta guisa, ed essi replicando, che mala**
gevolmente si sarebbe potuto fbre 3 accen»
nando, che io m'appressassi e mostrassi il
mio modello, vedde, che io aveva postoli
diamante in guisa di uno sgabelletto , dove
il Dio Padre sopra si posasse: la quale in-
venzione cotanto gli piacque insieme col
modello , che subito mi fece consegnar
.^ I
.'
/
6 CÈLLINI
Opera. Perciò avvertisco 1' orefice ( come
ho detto) che ioveado legar simili gioie ^
le ponga con belU proporzione e con di-
segno nelle sue opere. Un altro bel modo
si ritrova accora in quest' arte di lavorar
di piastra d^ oro, il qii^le è di far certe
sorte di figure tte di grandezza di on mezzo
braccio , e malico , secondo V occasione , il
cui modo di lavorarle per via di esempio ,
come fin qui abbiamo usato , dimostrere-
mo. Nel tempo che io lavorava in Roma,
vi era un piissimo Costume quasi fra tutti
i Cardinali di tenere ne' loro studioli T im-
magine di Gesù Cristo benedetto, crocifis-
so , di grandezza di poco più di un palmo ;
ed i primi y che si fecero y furono lavorati
d^ oro , con buonissimo disegno , da Cara-
dosso^ i quali gli erano pagati cento scudi
d*oro Tono. Ragioneremo adunque prima
( come di sopra abbiamo fatto delle me-
daglie di piastra d' oro ) del modo osser-
vato da Caradossoin fare i detti Crocifis-
si, e poi di quello che da me era tenuto,
giudicandolo io più facile e più sicuro per
le ragioni che si diranno. Fatto che avesse
detto artefice il modello di cera, appunto
della grandezza , che voleva , che fosse la
figura, la quale faceva colle gambe spic<;a-
te , cioè non soprapposte , come si usa di
fare a' Crocifissi ; poiché V aveva ridotta a
quella fine , che desiderava , la gettava di
bronzo , ìndi tirava • una piastra d^ oro in
forma triangolare, maggióre del modello due
gran dita intopno intorno; e ciò fatto metteva
la piastra detta sopra il Crocifisso di bronzo ^
OREFICERIA 'f^
e con certi martelletti di legnò , alquanto
lunghi y V andava percotendo tanto , che
egli le dava forma di più che mezzo rilie-
vo ; e dipoi con i suoi ceselletli e col mar-
tello diligentemente cominciava a dare or
dall' una or dalF altra banda , e cosi pian
piano veniva ad alzare la figura di tanto
rilievo, quanto a lui pareva che bastasse.
Dopo co' medesimi martelletti e caselli per-
coteva quelle margini, che delF oro d in*
torno alla figura avanzavano, tanto ch'elle
venivano quasi a toccare insieme la roton-
dità della testa , del corpo , delle braccia e
delle gambe ; e come a tal termine l' avesse
condotte , egli l' empieva di stucco , e con
ceselli e martellini di nuovo andava ricer-
cando tutti i muscoli particolari di ciascun
membro della figura con grand^ amore e di-
segno. Poscia cavandola dello stuccò, e fa-
cendo congiugnere l' oro insieme, benissimo
lo saldava nel modo sopraddétto , lasciando
aperto nella schiena un buco, vicino alle
n>alle, per poterne cavare il detto stucco^
dandogli fine poi co^ ceselletti; e quando egli
era vicino alla penultima pelle, che si dà'
alla figura, gentilmente le soprapponeva i
piedi: e questo è il modo che teneva il detto
artefice, nel quale io son difierente in questo
solamente , perciocché in simili opere non
saprei lodare che si adoperasse bronzo; es-
sendoché il bronzo è nimicissimo deli' oro e
lo fa rompere, arrecando gran diIBcultà al
lavoro ; ma con pratica e sicurtà acquistata
con lungo studio nell'arte, per via di ceselli
e di diverse ancudinette ; dimandate dagli
^d CELLINI
orefici caccianfuori , usasra io di condarre i
miei larori^ senza gettare l'opera prima di
bronzo ; laonde per cotal via y molto più
brevemente tirava a fine il lavoro e mi li-
berava da i fami del bronzo, il quale mac-
chia r ot*o ; come dianzi dicemmo ; nel re-
sto era da me seguitato tutto V ordine di
Garadosso. E perchè il lettore vegga che io
non ho simili avvertimenti mendicati da al*
tri artefici, ma per mia propria esperienza
« industria imparati, mettendogli ad effetto^
dirò di un'opera di piastra che mi occorse
di fare al Re Francesco; che per cagione
. della grandezza sua ( se non p>er altro ri-
spetto ) non fia indegna la menzione , che
io intendo di fare. Questa fu una saliera
d' oro in forma ovata^ di lunghezza di due
terzi di braccio , ed il primo sodo della
forma ovata era di grossezza di quattro dita.
ComponeVasi Tinvenzione della detta saliera
principalmente di due figure y una intesa
Eer Nettunno , Dio del mare , V altra per
erecintia^ Dea della terra: dalla banda di
Nettunno vi aveva finto un seno di mare ,
dentrovi una conchiglia, sopra la anale si
vedeva il detto Dio a sedere trionfante e
tirato da quattro cavalli marini, il quale
tenendo nella sinistra mano il suo tridente^
col braccio destro tutto si appoggiava sopra
una barca fatta per comodità del sale, or-
nata di varie battagliette di diversi, mostri
marini^ e nell'onde medesimamente , dove
si posava la barca , andavano scherzando
divèni pesci Questa figura era fatta di pia-
stra d'oro^ tutta tonda e grande pia di un
OREriCERU. 79
mezzo braccio y per forza di ceselli e di
martelli , come s^ è detto. DalP altra banda
sopra il lito vi era una femmina della me-
desima grandezza y rotondità e metallo ^ fi-
gurata per la Terra , la quale con disegno
andava a rincontrarsi colle gambe in quelle
di Nettunno y tenendone una distesa e Paltra
raccolta^ imperò soprapposta; volendo per
la detta attitudine intendere il monte e la
pianura. Nella mano sinistra poi teneva un
tempietto d' ordine Iobìco y riccamente or*
mìo j il quale serviva per tener pepe j e
Della destra il corno della copia, pieno
deije sue vaghissime appartenepze. Nasce-
vano poi sopra la terra o lito, do v' ella si
posava, diversi fiori e fronde, e vi si, vede-
vano yarj animaletti, che insieme andayano
sofaerzando e combattendo; cosi veniva ad
ayere la terra e 1 mare' ciascuno i suoi
proprj animali e ornamenti. Oltre a questo^
nella grossezza del dett'oyato ejano scom*-
partit^e otto nicchiette^ e n^lle prime quattro
vi aveva collocato la Primavera, la State ^
l'Autunno e Inverno, nelF altre l'Aurora,
il Giorno > il Crepuscolo e la Notle; cod
noa queste otto figurine ornai le ^ette
ciechie, gli spigoli delle quali insieme con
varj luoghi dell' opera erano contesi di al«
cunì filettini d' ebano , che per lo suo co-
lore nerissimo le faceva più vaghe. Ultimar
mente posi la detta saliera sopra quattro
piccole pallette di avorio , che nelle loro
casse mezze nascoste si giravano e secondo
V opportunità .conducevano la. detta map-
chma facilmente innanzi e indietro; je di
do CELLINI
dett^ opera gran paìrte era smaltata y siccome
foglie, frutti/ fiori^ tronchi d'alberi e tutte
quell' onde di mare , secondòchè V arte pro-
mette e richiede. Finito che io ebbi il detto
laforo y e destinato il giorno , che io lo
Yolevm portare al Re, mi occorse un caso^
che^ brevemente narrandolo, ne servirà per
fine del nostro ragionamento, e per dimo-
strare a^ virtuosi, che non debbono temere
r operazioni che contro di essi facciano gli
invidiosi e maligni. Un certo Monsignore ,
a cui non vo' far nome , che abitava in
quelle parti, non so che se ne fosse la
causa, invidiando Futile e Tonor mio, con
una inveniuone simile air animo suo, cioè
debole, cercò di tenere in quel giorno, che
il Re doveva vedere quest^ opera , cotanto
a bada gli occhi di Sua Maestà, che egli
don potesse considerare le mie estreme fa*
tiche : m può lo stimolo della malignità ne-
gli animi vili! Il giorno avanti adunque^
che io voleva andare col lavoro dal Re ,
venutomi a trovare il sagace vecchio y che
del tatto era consapevole , mi mostrò certe
figurettt!, antiche di bronzo , piccole, invero
molto eccellènti; e dimandato il mio parere,
le lodai e stimai grandemente , come meri-
tavano , dicendo , che io V averci compre
certa somma di danari, che ora del nu-
mero non mi sovviene: basta che egli^mo*
strando di partirsi da me satisfatto, in quel-
l'ora che io presentai la saliera al Re, egli
ancora , siccome prima aveva neir animo
suo ordinato , quivi fingendo a caso ritro-
varsi^ diede le dette figure antiche ah Re,*
OREPICBaU. St
adducendo il 'mio testimoDio della loro per-
fezione e y-alore; le quali considerate , quel
buon Re, e lodate alquanto ; rivoltosi al
mio lavoro, disse: noi dovianko esser tenuti
non poco agli artefici di questi tempi, poiché
essi ancora ci fasciano s^ere cose non men
belk di queste antiche: e ciò detto me ne
mandò a casa lodato e premiato oltre al
mio inerito. E cotal esito ebbe V astuzia .
del vecchio odioso^ il quale mi venne poi
a trovare , facendo meco scusa d' essersi
abbattuto quel gioriìo a disturbarmi con
Quelle 6 gare, che egli un tempo fa aveva
J^tinate di presentare al Re; ma io finsi
di non mi essere accorto dell' atto , il quale
fu solo j perchè le dette figurine antiche
fossero paragone a quelle della mia saliera.
Ma tèmpo è di por fine a questo nostro
ragionamento y e cominciare a trattare della
Ionissima arte di lavorar di cavo.
CAPITOLO VI.
DeWarte del lavorare in cavo, rf* oro,
i argento e di rame , nella quale si conr
tiene il . mqdo^ di fare i sudili </e' Cor*
dinali e et altri Principia
jyiAESTRO Laatfzio, orefice Perugino,
lavorò in Roma nel mdxxy. eccellentemente
della^ dett' arte di far suggelli cardinalebchì,
uè nissuno bo Conosciuto ,- che meglio di
Celimi Ben. Voi JIL 6
1
V
8a CfctUNI
lui gli abbia eondotti a perfezione^ per-
ciocché egli non attendeva ad altro che a
far detti suggelli per le Bolle de^ Cardinali:
i quali fii %nno della grandezza ^ di una
mano d' un fanciullo di dieci anni in circa ,
ritenendo la forma di una mandorla. Io
questi con invenzione di 6gure si esprime^
per via d'intaglip^ il tìtolo de' Cardinali,
e per mezzo delP arme le loro casate ^ e il
manco ^ che fossero pagati al dettq Lauti-
zio j era cento scudi V uno. Seguitando ora
il nostro costume y parleremo dì alcune
opere ^ che ci occorsono di lare indett'ar-
te, e indi parleremo de' modi varj di la-
vorare- tali opere y e parlicolìarmente di
quello, che teneva Lautizio. Occorsemi di
fare a Ercole Gonzaga , Cardinale di Man-
tova, il suo suggello, nel quale intagliai
FAscebsione di Nòstra Donna, con dodici
Apostoli , il quale era il titolo dì detto
Cardinale. Un altro ne feci , più di questo
ricco di figure, a Ipolito da Este , Cardinale
di Ferrara e fratello del Duca Ercole^ e
in esso intagliai un Sant'Ambrogio ax^avallb
con una sferza in mano che andava cac-
ciando la malvagia turba Ariahia^ e perchè
al titolo s'^ggiugneva San Giovanni Batista^
dair altra parte ( avendo per lungo del
suggello fatta una diyisione ) vi jposi detto
San Giovanni Batista predicante nel deser-
to: e valse la fattura di quello di Mantova
dugento ducati, e quella di Ferrara tre-
cento ; che tanti mi furono pagati. Yen-'
ghiaino ora 'A modo di fare i detti suggelli
Primieramente debbe ìk d&igente artefice
V ORBFIGBRU. 83
pigliare una {netra nera e che sia piana,
sopra la quale ,si ha da disegnare T istori^ta^
ch^ dee apparir nel suggèllo-^ e poi con
cera bianca^ a^uanto dura^ ha da farsi eoa
qud rilievo appunto , che si desidera^ che
il suggello stampi. Finita che sia V opera
benissimo , cioè il lavoro di cera , piglisi
del gesso cotto, Volteraoo o altro gesso ^
pur che sia fine ; e presa la dett' opera di
/Cera^ con un pennello di vaio /intinto in
oKo di uliv^a^ netto, ungasi la dera a ba-
stanza, e non troppo / perchè dafUbbe noia
^ gesso, il quale noa potrebbe entrare
per quelle minute sottigliezze 3 indi preso
il lavoro* della cera unita, cioè Jl detta
suggello, abbiasi un poco di terra fresca e
tenera , e con essa si faccia un dintorno ^
alto due dita, alla detta storietta di cera;
e ciò fatto, vi si versi sopra.il gesso li-
<}uido, toccando detto gesso con uh pen-
nello di vaio , alquanto grande , così de*
stramente con esso^ pingendolo i^ dritta cera;
^ quando si sarà bei^ calcato , lascisi fare
la sua presa ; e come sia fotta , si debbe
spiccare il gesso dalla cera , la quale non
si guasta di diente , non vi essendo (atti
sottosquadri nessuna ( perchè cosi permette
l'arte) dovendo servire quest'opera a tal
effetto di suggellare. Ciò fatto, si dee pi^
gliape il deitto gesso, e con un coltellino
nettarlo da certe ha ve , clie fa il gesso al-
1^ intorno. Dopo le dette diligénzis si viene
al gettare : e perchè vi àona due modi ^
noo <leir altra più facile, da gettare d'avgen«
te, per es^er amhidue buoai^ di ciftscue0
84 t:«LLt2fI
diremo il modo, accii si possa F artefice di
qaello , che più gli aggrada , servire ; ben
I esorto a far di ciascuno di essi esperienza,
essendoché di tal pratica occorrerà in molte
òose, da quéste differenti, servirsi, che tutto
il giorno occorrono neir arte dell' oreficeria,,
n primo modo, il 'quale era tentito da
Lautizio sopraddetto, in co tal , guisa si con-
seguisce. Egli pigliava di una certa sòrta di
terra, che comunemente si dice terra da
formar nelle staffe, la quale è in 'uso ap-
presso gii ottonai o borchiai , che gettano
finimenti da mule e cavalli. Questa si fa
di una rena di tufo: ma una qualità dì
queste rene, eccellentissima, ho io veduto
nel fiume della Senna in Parigi / non inde-
gna d' esser raccontata per k sua bontà. Nel
mezzo della Senna v' è un luogo in isola ^
detto la Santa Cappella, il cui lito produce
la detta rena, la quale è sottilissima e ri-
tiene una proprietà dàlP altre diversissima^
perciocché, adoperandola in guisa dell' altre
terre da formare nelle staffe , non occorre
rasciugarla , siccome di quelle interviene ,
quando é formato ; ma formato che altri
ha con questa, vi si può gettar dentro oro^
argento ^ ottone e altri métàlK. Tornando
ora al nostro proposito , prima che io rac-
conti altro delle terre da formare , meglio
fia dimostrare il modo di formare il gesso
per gettare il suggello. Dico adunque, che
poiché il detto gesso si sarà netto bene ^
come di sopra dicemmo, avendo la terra
umida in • ordine , si dee ' spolverezzare
con un poco di spolverezzo di carbone
0K»IC£K1A. 85
sottìlissimo/ o veramente s'affiimerà col
lume della candela o della lucerna ; che
fono e TaUro è buon motìo : né di ciò
più diciamo per èsser noto a ciascuno. Af-
lumato e sppiferezzato che sarà il gesso ^
^i debbe formare nelle sopraddette staffe^
le quali vogliono essere tanto grandi e gros-
«e, eh' elle sieno capaci di potere in loro
ristringere il suggello di gesso. Ciò fatto,
quella parte , dove saranno, formate le fi-
gura, si dovrà rasciugar bene, parlando
delle terre d'Italia e non di quelle della
Senna , che poco fa dicemmo. Indi si vegga
a avere un poco di pasta di pane crudo ,
^ di essa si faccia in modo di una stiaccia-
wfia , di quella forma e . grossezza che altri
TQole , che venga V opera o d' argento o
u altro metallo, che si sia; e questa si
porrà sopra quelle figurjs^ che saranno for-
mate dal gesso , le quali ^ così facendo^
appariranno di rilievo : indi si affumeranno
le dette figure col fumo della candela ac-
cesa,' e vi si porrà sopra la' pasta ; e fatto
questo, vi si porrà F altra staffa, che tu
Sai ri^sciutta e . cotta. Questa si debbe riem-
piere della medesima terra umida; è qìò si
feccia con destrezza , perchè notì si rompa
quella parte. rasciutta, dove già son formate;
1« figure. Aprasi dipoi la forma, e cavata
che si sarà la pasta, faccianvisi le sue boc-
che , e due. .sfiatatoi dalla banda di sotto ,
cioè che comincino di sotto tutti e due ed
arrivino per di sopra accanto alla bocca. -^S^^.^^'^
Comp sarà rasciutta quest' altra parte, avendo ^"^^'^'^'I^^
ambe le parti ben secche, aflumminsi un
\
86 CELLIICI
poco col futnt^o della eaudela, come di
sopra dicemmo , e dipoi che sarà freado j
abbiasi Y argento o altro metallo bene strut-
tOj e cosi si getti nelle dette forme; essen-
xlochè r opera vien meglio nelle forme fredde,
che nelle calde ^ il che si trae dalP esperien-
za. Da <)aesto modo osservato da Lautizio
ve n* è un altro modo diverso ; imperò per
far più copioso questo Trattato, é ^er esser
egli ancora molto buono in cose di verseci
queste di cui parliamo^ b che nell'arte oc-
corrono; perciò lo porremo a benefiziò
maggiore del lettore. Facciasi in prima so*
pra V cera^ cioè sopra là storicità del sug-
gello , uà getto di gesso fidissimo nel taodo
che di sopra s' è dettò; dipoi si piglierà del
medesimo gesso in disparte e aéì midollo
di conio di castrato , che sia ben àrso e
sìa per la terza parte del gesso, e l'uno e
1' altro sì dee benissimo macinare*; indi si
tolga tripolo per la quarta parte di dette
composizioni e altrettanta di pomice e ogni
cosa insieme medesimamente sia ben maci-
nata^ e come ciò si sarà conseguita, vi si
debbe aggiugnere tant^acquà^ quanta com-
porta la quantità della materia , faceUdob
diventare in guisa d^ un savore, che ooq
sia né troppo spdo né troppo liquido. Ab*
biasi poi un pennelletto di vaio , e con
esso si unga coii olio d^ uliva il gesso, col
quale si è formata la detta cera , e come
benissimo sarà unto^, trattengaisi Tarté^fice
tanto che si sia rasciu/tto; perciocché ki
natura del gesso é di succiarsi il dett*^ olio.
Essendo da per se . radciutto , iù; guisa cbe
ORtriCBRU. 9^
sia floppadso ( perciocché npn vaol eseeré
troppo rbeccò né poco) se gli debbe fare
una spalletta di. tèrra airinlòrna^ che sia
alta due dita il manco. Ciò fatto si debbe
pigliar quel gesso , che di già abbiam det-
to^ c|ie si mescoli col corno e col tripolo,
e si debbe versare sopra il gesso unto ) e
con UQ ]>eDnelletto di vaio^ asciutto , destra-
mente pingasi in quella storia del primo
gesso unto , dipoi vi se ne aggiagnerà su
tanto, che sia grosso due dita o fMÙ, fiiceod^
che iuverso il di «sopra si sia fatta una for-
ma^ pure in foggia di mandorla , grande
^attro dita; e questa grandezsia ti debbe
a^ryire per fare la bocca da poterlo gettare
d' arguto o d^ altro metallo. Come ai vegga
il ge^o esser ben secco y il «he sarà fra 1
termine di quattro ore ^spicchisi P uè gessa
dait\ altro con gran destrezza^ aodoechè
nui^ si rompa della storìetta> che si è fatta.
E qui è da avvertire, che vie più fadile è
ficcar quel priifao gesso dalla cera , per-
ciocché ha più nervo che il iseóòndo , <?he
81 fa colla coniposizione , che dicemmo.
Quando adunque occorresse che nel cavo
rimanesse o testa o braccio o altra parte
di qualcuna delle figùirine , due modi et
sono da pot^r riparare a tal disordine. Il
primo è y che potendo V artefice cavar que^
pezzi ^ debbe torre un poco di tripolo ben
macinata, é con un pennelletto di vaio gli
Terranno facilmeote rappiccati^ perciocché
essendo la storia di rilievo ^ meglio si scor-
gerà dove si ha da riparare, che s' ella
&S8e di cavo. Il secondo modo è , che si
88 QELLIHl
debbe' nettar benissimo il isayo di gesèo e
di naoYO ugnerlo nel modo dettOi^ e cor
medesimo gesso (cioè di quél composto) fare^
come dianzi insegnammo ; perchè , non es«
sendo venuto alla prima, potrà essére, che
alla seconda venga senza difetto. Ora av-
vertisca il prudente orefice a quello che io
son.per dire. Facciasi una forma di cera,
della grandezza appunto, che ha da essere'
il suggellò, e della forma già detta; eque*
Aa si faccia vota e mettasi sopra la storia
del suggello , avvertendo di darle quella
grossezza y che debbe restare dopò che il
suggello (inargento sarà gettato. Ciò fatto ^
Songansi le spalle di terra d^ intomo a
etta cera , Còme dianzi diceipmo , avver-
tendo , che quella lunghezza della bocca vi
rimanga tanto lunga; quanto la discrezione
dimostra : ben è vero , cbe quanto la detta
bocca sarà più lunga , meglio verrà V ope-
ra. Infinite minuzie sopra di ciò sì potrebbe
dire , le quali giudichiamo* superflue y per-
ciocché presupponghiamo di parlare con
uomini, che ai tuito non sieno inesperti di
de tt' arte, e perciò fieno da noi tralasciate.
Ben diciamo^ che si debbe avvertire nelle
dette forme di ^ far la bocca di cera e ap-
piccarla alla mandorla del suggello } e me-
desimamente si lasceranno gli sfiatatoi , t
quali 8^ appiccheranno di sotto , facendo A
che dieno la volta intorno al suggello e
arrivino di sopra alla bocca } imperò noa
s'accozzeranno colla bocca, accio possano
benissimo sfiatare e fare V ufizio loro. Come
ai abbia ridotto al termine detto la forma^
O KB VIGER lA. 89
leghisi col filo di ferro e di rame ben
licoUo^ dipoi si lasai Mare al Sole o in
luogo dov' ella abbia caldo , tanto che ella
81 vegga esser beue asciutta ; e poi si inetta
infra certi mattoni., facendole un forneIlet«
to. Cosi legata essendo F opera, se le darà
fuoco dentro, tanto che se ne cavi là cera;
ed avvertiscasi che quella cera vuol esser
pnra e non con altra cosa . mescolata, per«*
che altrimenti apporterebbe danno ^ dove,
essendo pura , opererà per lo contrario,
facendo benefizio. Quando sì sarà colici dette
diligenze cisivata la cera > comincbi ad ac-
crescere il fuoco con gran destrezza alla
forma , facendo eh* ella sia ben cotta^ per«
ciocché tanto meglio verrà V opera ; dipoi
si lascerà freddare , essendoché più Tolen-^
tieri se gli accosta 1- argento eas^do fredda
che calda ; intendendo p^r fredda y cV ella
non sia però umida. Come la forma sia alla
detta perfezione , si può gettarvi dentro
V argento , benissimo strutto 3 e perché non
riarda , getti visi di sopra un poco di borace
e sopra la detta borace nn pughelletto di
gruma di botte ben macinata. Gettato V ar-
gento, si debbe scìorre la forma e aprirla,
o pure si 'metta nelF acqua, che cosi ò me«
glio , essendoché in tal guisa si . spicca be-
nissimo X argento dalla detta forma. Cid
fatto , nettisi il getto dalla bopca e dagli
sfiatatoi , e colla lima si; conduca alla sua
figura é forma. Avendo nel detto termine
il suggello^ si usa poi di appiccarlo ne' so-
praddetti stucchi, e tenendo innanzi quella
prima forma di gesso ; la quale è in cava
\
90 ctJLimi
con ceselli 9 bnlmi o ciappole si variseri^ado
l'argento eifiaendo la storia del detto sug-
gello, cioè r una figurina accanto alP altra,
tutti i panni e l'altre parti di i^sse^ e per
meglio vederle , si usa con un poco di cera
sera o d^ altro colore formare spesso quel
che si lavora. Àvvertisca qui il diligente arte-
fice, che le teste delle figurine , le mani e
i piedi si è usato sempre dagli amorevoli
doir arte d' intagliar tatto in punzonetti di
acciaio; perciocché in lai guba sempre si
vede meglio il vero. .Come ciò si sia iatto,
intagliando bene i detti membrétti ^ ' stam-
pinsi in ^aei proprj cavi, dove essi sono
{ cioè dette teste, mani e piedi ) con un
martelletto, con destri colpi, iiél suggello.
È necessario àncora fare un al£ibetò d^ac-
ctaio , intagliando colla medesima diligen-
za, che sMotagliarono le testoline, le let-
tere di detto alfabeto.. Occorrendo a me di
&ré simili lavori , usai sempre a ogni nuova
opera di rifare detto alfabeto, pecciocchè
logorandosi non fa onore agli artefici. An«*
jcon bisogna avvertire di fare, le lettere
proporzionate e belle e qon queUa ragione
che ti dimostra una penna temperata in
guisa che renda alquanto grosseUo^ la qitale
secondo che si girerà nella mano facendo
le lettere , verrà ancora a fare que^ corpi
giucrti e regolati ; e questa tengo io che aia
la vera rególa , avvertendo però , che le
dette lettere non siedo troppo grosse o na-
ne, perche non avrebbono grazia; simil*
mente se fossero troppo lungbe e sottili:
ben è verO; che accostandosi alla mediocrità,
/
ORBFICEKIÀ. QK
se si penderà alquanto nel farle 3yelte'^
non sarà errore , ma appariranno graziosis-
sime. Or vènghiamo all' intero ornamento
del suggello. Questi è necessario che sieno
ornati delParme de^ ^ardin^li^ per cui son
. fatti^ le quali ^no sttite sempre ornate dli
me Con 6^rine ed altari fiaschi disegni^ non
perdonando a fatica alcuna. Dipoi. ho usato,
di fere j iti ^ece àeV manitso d(el suggello ^
qualche ^ago animale o fioretta , serTen-
domi in ciò dell' impressa del Signore > che
faceva fare il suggettòj siccome fu in un
suggello d' oro , mezzanetto , che io feci a
Ercole Gonzaga^ Cardinale di Mantoya, nel
quale feci per manfco un Ercolev a sedere
sopra la pelle del leone e colla sua clava
in mano, la qual figura, fatta^ dft U^ con
grande studio, fo lodata assai da .Giulio
B ornano , scultore e pittore kfdatissimo , -e
da' pittori e scultori di queUempi merita
d' esser messa in opera. Alcuni vi sono che
con gran pratica e sicurtà dell' arte si sono
messi a intagliare i suggelli senza gettarli
prima , fatto che essi abbiano il lor mooel*
letto o disegno , e in ial guisa si son fatti
non poco onore ) ma si debbef però sem-
pre fare i punzoni di già detti; e perchè
in cotal guisa m'è occorso ancora di lavo-
rarne, però tengo più facil modo il get-
tarli , e più sicuro : pur l' uno ' e V altro è
buon modo e degno d'esigere sperimentato
da chi non vuole apparire uomo mediocre
nella dett' arte. Ma véngfaiamo a trattare
dell'arte di far le stampe delle monete.
93 CELLIRI
CAPITOLO VII.
DeW arie di Iworare di cas^o , in acffiaio ,
le stampe delle monete ; dwe si tratta
del far le pile e torselli , e le madri o
punzoni per incasHw dette stampe , e delle
difficultà y che in ciò ebbero gie antibhi ^
non osando trescato V ins^envone j ohe i
moderni hanno intorno a detta arte*
vrRANDissiMiMBNTB mte agli artefici la
via di far le medaglie a oro , d' argento e
di broozOy come co8tuiiiar9fio di fare gli
antichi ^ il modo di far le monete y le qaali
monete , come si pad conoscere dagli os-
servatori delle cose antiche j furono molto
diverse dalle medaglie; perciocché essi quelle
facevano per necessità , e queste per pompa ,
essendoché le monete si fanno con poco
rilievo , perchè v^ entri manco metallo , e
quelle con più rilievo per maggior bellezza.
Basti qui di dire, delle mopete rieigionando ,
che i nostri moderni con maggior facilità
degli antichi V abbiano fatte ^ come più di
sotto diremo ; e tanto maggior lode loro si
debbe attribuire, quanto essi di ciò sono
stati inventori»^ siccome, della stampa e di
altre diverse, cose è intervenuto. Seguitando
adunque il nostro costume solito ,, che è di
dimostrar le cose ^ che prese a trattare
abbiamb y per via d^ esempj , dico , che
ÒÀKFICERIA. ^3
essendo io dopo il miserabile sacco di Roma
ma odalo a chiamare de Clemente Settimo,
mi fu da detto Papa fatto fere certe monete
di due ducati d^ oro F una^ in una delle
quali ^ nel suo diritto, era un Cristo ignudo
còlle mani legate dinanzi, fatto dà me con
grande sjtudìo , con un motto della Scrittura,
che attraversava il Banco del detto Cristo,
e diceva : ecce homo , e intórno alla cir-*
confereiiiKa della moneta vi erano quest'al-
tre: CLEMENS VII. PONt. lUX; , c nel rovescìo
feci la testa del Papa. Mosso poi da altra
occasione mi .fece &re un'altra moneta,
medesimamente d^ oro ' e di valore di due
ducati d^ oro in oro , da una banda della
Quale era il Papa in abito pontificale e
1 Imperadore , che ambi facevano atto di
rizzare una Croce y che mostrava di cadere
a terra; ne, che io mi ricordi, vi erano
lettere: ma dalP altro lato, attorno a un
San Pietro e un Safei Paolo fattovi dentro
più su che nel mezzo vi era questo motto:
VNVS SPIRITVS VWA FIDES ERAT IW 1BÌS. QuCSte
monete^ mi * fecero non poco onore; ma per
esser fatte con gran disavvantaggio del Papa,
furono dagli avari banchieri in breve tempo
disfatte. Dopo le détte due monete d* oro^
ne feci una d'argento, di valore di due
carlini, da un lato della quale ^vedeva la
testa del detto Papa col suo nome, e dal*
V altro tm San Pietro , che alla voce di Cri«
sto benedetto uscito di barca ed espostosi
all^ onde , mostrava tutto timoroso di som-
mergersi , e Cristo con gran manstietudiae
lo prendeva per mano; e il motto erano
94 CBLLIVI
le stesse parole del nostro Salvatore: QVias
DVBiTÀSTi 7 In Fiorenza poi feci tatte le mo"*
nete d'Alessandro de^ Medici, Daca primo;
e. la maggiore di queste fa di prezzo di
quattro carlini. Da una banda vi era la te«
sta di detto Duca^ e dalF altra un San Cosmo
e Damiano , Avvocati di quella Illustrissima
Casa; né di queste pongo le lettere per èssere
a ciascuno manifeste : ben dirò ^ che per ,
essere la testa di detto Duca ricciuta.) da
quelli: furono chiamati: Ricci. Feci , oltr^ a^
questa, il barile e'I grossóne^ monete nelle
nostre contrade notissime. Ma per venire al
nostro intento e per mostrare il modo che
io tenni ^ che si debbe tenere in far le
stampe delle dette /nonete y dica, che si dee
pighare due ferri, sopra i quali si stampa
la moneta , V mio de' quali è chiamato pila ,
e r altro torsello. ^L^ pila/ è in forma di
un' ancudinetta , e sopra di essa & intaglia
quello che dee apparir% sopra la medaglia.
L' altra parte, detto torsello -, è cinque, dita
alto ed è della grossezza , nella sua (e^ta ,
che debb' essere la moneta , tutto il rima*
nente verso la sua fine ya, alquanto dimi-
nuendo con bella grazia e forma. Fannosi
questi due ferri , cioè la pila e 1 torsello ,
di ferro schietto, fuor ohe le teste di essi,-
aopra le quali si debbe appiccare , per la
grossezza di un dito /di finissimo, acciaio;
e ciò fatto, cpUa lima si darà loro la de*,
bita forma , lasciandolo con quella grandezza,
che esser debbe la moneta , che si ha da
stampare. Preparasi |>oi un loto fatto eoa
terra ^ vetro pesto , fileggine di cammino ,
OREFfcmu. g5
terra di bolo Àrtnenio e alquanto di sterco
di cavalla^ le quali cose tutte mescolate
insieme e infuse con orina d' uomo y si ri-*
ducano nella guisa della pasta da fare il
pane. Piglisi pof del detto loto^ evengasene
per la grossezza di un dito sopra le teste
del torsello e della pila , e poi sì pongano
in fuoco^ il quale sia di tal valore y che
po^ssa ricuocere benissimo le dette tèste: è
nel medésimo fuoco da .per loro si lascino'
freddare ^ avvertendo , che il detto fuoco'
cotanto vorrebb^ essere^ che per una notte
di verna intera ( e non manco ) le potesse
mantener calde. Indi si traggono fuora, e
affatto se le dà loro quella forma che deb*
bono avere, lasciandole 40011 tanto vantag*
gio 'y quant' è la grossezza d^ una mezza co*
sta di coltello ; ciò fatto si debbono arrotare
sopra, una pietra gentile ^ la quàl vuol esser
patitissima^ perchè sopi;^! le dette pile è
torselli non debbe restare nessuna inegua-*
lità. Piglinsi poi le seste, e segnisi il cir*'
cuito della granitura della moneta y che viene
a essere appunto quella grandezza, che ha
da aver la moneta 3 dopo questo con un
Atro paio di seste si debbe segnare Move
hanno da star le Lettere che vanno intorno
alla detta moneta : e qui si ha da sapere ,
che le dette seste vogliono esser fatte di
fil di acciaio, alquanto grossetto, il quale
acciaio si torce in guisa di seste e si pone
alla grandezza , che altrui se ne vuol ser-*
vire , né mai più si muove y e delle dette
seste immobili è necessario di averne due
paia alBianco; T altro naie di seste mobili
96 €BI^INI .
vogliono essere alquanto gagliarde. Segnata
che si sarà la granitura e il sito delle lette-
re, mettasi la pila in un grosso tassello di
piombo , il qime pesi cento libbre alm^nqo;
e ferma che vi sia la pila in detto tassello,
comincisi a stampare la moneta nella stampa
di detta moneta , che cosi si debbe fare.
Piglisi la testa di quel Principe, che si
serve ^ intagliata in acciaio finissimo; ma
prima diremo del modo d' intagliar questa ^
e de' rovesci. Addolciscasi nel fuoco V ac-
ciaio nel . modo che del torsello e della pi la
si disse , ed awerli^cajsi che il d^tto ferra
vuol esser tutto di finissimo, acciai^ ; e per-
ch' egli è di necessità di fare i detti ferri
da stampare secondo T opera ^ che si. vuole
intagliare nella moneta, perciò bisogna (arl^
di più pezzi: siccome, volendo fare il di-«
ritto d^nna moneta, in cui per .lo più si.
pone la testa del Principe che la fa batte-
re, questa si deb))e fare di due pezzi^^ e
nel rovescio , perchè vi vanno più figure ,
perciò si debbono fare di molti pezzi ^ e
più o manco secondo, la discrezione del
valente artefice. Sono stati alcuni, che di
pochi pezzi l'hanno £itte, ma in tal, guisS-
sono più difficili a comporle nelle stao^pe^
dove essendo di più pezzi con maggior fa-
cilità vi si commettono ; ma . ben si dee
avvertire ^ commetterle bene, e ciò'si con-
seguirà, -se, mentrechè le dette figure si
intagliano, si proveranno sopra uno stagno
pulito, al quale colle dette seste. si dà la
forma della nioneta, e C0sì si vien vedendo
di mano ,in mano V opera, arreoandola
ÒEBBICBHU. gj
Morameote a fine. Haimo^i detti peszì o
ferruzz^ aopra i quali s^ intaglia V'operst, due
Qgomi, perciocché comunemente son detti
panini , e altrimenti madri ^ e questo
nome secondo ragionevolmente loro si con-
viene j perciocché sono le madri y che par*
toriscono V opera composta di figure od* al-
tro, che nelle monete si pongono. Tutti i
piò valenti maestri di quest' arte , e che
meglio di monete lavorarono y ebbero in co-
stume di fare i loro lavori per via delle
dette madri o punzoni ; laoade cosi gover-
nandosi r artefice, potrà esser sicuro 2i non
avere a. toccar mai niente con « ciappole o
bulini ; essendoché co' detti ferri si cóm«
metterebbono due errori^ il primo, che l'una
moneta datt* altra farebbe alquauto di va-
ne(à, il secondo^ che per mezzo di tal
variazione si darebbe comodità ai falsatori
di conseguire più agevolmente il loro scel-
lerato fine; dovechè essendo ben fatte e
colle dette osservanze, non le sapranno
né possono contraflEare. Torniamo ora dove
lasciammo la pila commessa nel piombou
Ciò fatto. si debbe pigliare le dette madri ^
e quelle prime y che compongono la testa
dtl Principe e che fanno il diritto della
moneta , come di sopra dicemmo ^ cosi presi
i primi pezzi , che si vogliono commette»
re, avendogli situati al suo luogo, si darà
loro un colpo col martello, avvertendo^ che
con quella prestezza , che s' é dato il colpo
sopra la detta madre , coli' istessa si debbe -
Mule vare la mano e il ferro, cioè il pun-.
2one o la madre ; perciocché ogni poco, che
Cettini Ben. Fot. III. 7
t.
g^ dBtti»!
la delta ntòdre ribatCei^e^ v^lrtéfabe macclàaf^
e brutta V òpera. Còsi òdllà tnede&ima dì^
ligenza ne^ cfiritti e ne^ fdve^lci s^ ànderà conok
mettendo o com)K>neDdd ié porrti delle (igu^
rìnè^ che vanno nella monetsf, e dopo queste»
tutte r altre sue apparlénónase ^ come sono
arme , contrassegni e sirìiilì, avendo insieme
prepdrtiio gli alfabi^ti delle lettere e il gra-
oìtò per far la granitura, che va idta^iàtai
in compagfiia dell'altre èose ^opra te dette
pile e tornelli. E perchè io non voglio alcuna
parte lasciar indiètro ^ che da me ope-
rando sìa slata imparata y dico, che H marf
tello ^ cori che si percuote le maggiori ma-
dri^ come sono quelle, che compongono le
testé e cimili, vuol esser di péso di quattro
libbre in éìrca o più {Presto manco , e cjueln
le, dòn citi si battono le minori^ vuol es-*'
sere assai minore. Così debbónd i iùarteUi
and^ didainuendo di peso, secondochè le.
madri sofiò piccole insiuo alla granitura»
Cóme sarà finito d' intagliare la pila " e ^1
torsello,* si debbono i detti limare intoma
alla toro circonferenza, tantoché s'accosti:
alla grariitura appunto^ facendo, che ^uel,
che' ^i lima verso la graùitui^, sia bolso
assai j perchè, altrimenti essendo,^! sv^mae-
rébbe la stampa e sabito sarebbe guasta ,
dòvèchè, essendo il detto ferro, che si lima,
quanto più si può bolso, la stampa non
potrà mai svernare.
Venghtamo ora alla tempera,. che si dà
a dette stampe. Queste , poste in fuoco^non
vogliono divenire né troppo né poco iross^;
oRBPicmiii. .99
md basta^ clie sieno infocate Cabtb^ che serva
per tenlpérarle : imperò si debbe avver-
tire ^ efae essendo pòco ò troppo infocate ^
noB pigiiòranao k tenaìpera , massimamente
ebe Del temperarle gettano nna scaglietta ,
ìà quale goasterebbi^ il lavùro , se nonvi si
pónesse gran òura ; e perciò bisogna , come
s' è . dettò > avvertire , cbe il fe#ro sia rossa
ih^ tal gnisa, ohe non sia né troppo né ppco.^
Ciò fritta , si debbe pigliare dalla sòaglia di
finrny pètta , e che con es^a altro non sia'
lli€8Colato ; qnesta si metta sopra un letfna/
é dipoi vi si strofim la pila e lì torsèllo oe-^
ni^imo; peh;bè cosà facendo diverranno
lùstìranti y e per cotal cagione similmentié
Avei^anno luetre te m(»iele. Dopo che la
stampe si sst'hnnb strofinarte sopra la detta
scaglia,. iSsséndo nelle stam(>e alenai ihUigU
più b nsatieó profondi , acciocché' incor q»e-^
stì vengano lustrati, perciò si debbe pigliare
vài poco di stiverò insieme, con alouanto- .
della di»tta sbaglia di ferro > e dalla banda
del sntero insieme colla scagna si debba
strbfinaré k^ dette profondità ^ e così , a lai
termine essendo condotte , sì possono dare
allo statbpatóre nella zecca. Ma perdìo al ^
pri»eitpid del nostro ragionamento dicemUno
come gli antichi, cotanto in ógni còsa ed--,
celienti^ non seppero condurre con quella ,
bellezza e facilità le loro monete, che imo-
derni artefici hanno saputo; qui sarà luogo
opportuno di renderne la ragione. Diciamo
adunque j che ciò nasceva, per quello che s^ è
potuto coiighietturare ^ perchè essi intaglia-
vano le loro stampe con i ferri da orefici |
lOÒ
GBLtitHt
ciappole j bulini $ ceselli y la qual cosa j
* oltra 1 far men beUa^ l' impronta della mone-
ta, è ancora più difficile per la ragione, che
diremo ; perciocc^iè lavorando io per Papa
Clemente le stampe delle sue monete (come
dicemmo )' vi ebbe tal giorno j che fu ne^
eesa^rìo di stampare trenta di questi ferri ,
cioè pile e torselli j laonde se per lo modo^
che gli antichi gli conducevaùo , gli avvessi
dovuti fare j non ne avrei condotti due in
un giorjQO solo, oltreché non satebbooo di
gran lunga venuti bene, come vengono nel
modo detto. Potevano adunque supplire gli
antichi a questo mancamento colla moltitu-
dine di^h intagliatori, ma non già alla bel-
lezza^ per non aver ritrovato il modo di
far le stampe per via deMetti punzoni €
madri; Ma venghiamo a parlare delle. mèda-
glie , le quali ^a' detti antichi furono fatte
con supremo artifizio ed eccellenza ; dove*
ohe , di esse minutamente trattando^ in quel-
lo ^ che si fosse mancato nel mo^tcare il
modo di far le monete , nel segueiite di»-
. corso si verrà a supplire; essendoché molte
cose vi sono > comuni fra le monete e le
medaglie , che indifferentemente all' une e
r. altre servir possono per la confonnità ^
che si trova fra di loro.
»
. s
J i
OltCnCBRUu 101
CAPITOLO vni.
i ■»
Del^mqdóy che tennero gli antichi artefici
nel far le stampe delle meda^ie'; di-
quello , che fra' moderni s* usa ; e come
*' si facciano i tasselli di dette medaglie. '
' - ■ . <
* __ ' " '
xJe diversità delle maniere d^ una intesali
medaglia, (delP antiche parlando ) fatta sotto
un medesimo Imperadore e a suo tempo
stampata^ ci fanno considerare , che la-
cilmente potette essere , che quaùdo Timi-
peradore fosse in que' tempi creato , tutti 1
più valenti artefici di tutte le provincie al
suo Imperio sottoposte facessero ciascuno
una medaglia colf effigie ed impresa del
detto Imperadore. Come > per esempio, in
Roma cinquanta o sessanta maestri avreb-
hòno fatta }a medaglia di Cesare , e il mi*
^ gliore sarebbe stato quello , a cui fosse per-
tnesso di fare le dette medaglie , e ad esso
artefice ancora per avventura dovevano con*
segnare' la zecca /cioè il far le stampe delle
monete. Cosi per tutte le città si^ doveva
per i ministri Imperiali tenere il medesimo
ordine /dimanierachè in un medesimo tempo
ai dovevano diverse medaglie da diversi
artefici fare^ i quali più o manco, come in
ogni tèmpo interviene, dovevano essere ec-
cellenti in tale esercizio ; e però , aecondo-
ckè io mi ion fatto a credere ^ delle pia e
/
1^ ,€E|.LllfI
manco beHe ogni giorno se ne .veggono.
Ma perchè non è nostra intenzione di àis^
correre sopra d^ quest? ^ ne* qon in quanto
al Qkodo di farle s^ appartiene ^ essendo di
esse massimamente da dottissimi nomini
^tp ^rì^03 perciò verrenip ^^^ nostra prati-
ì^, diceado prìnia quel mo4a; ohe t^iinerp gli
antichi in è^r delti lavori^ secopdoi^lià per
diverse oA^erva^iopi 9' è potiiitp (:9pgbiettt^
rafre/e per mezzo di molte cose antiche ap»
partènenti a essa arte^ che aUe mani ii<e
«OQO pt^rvenute ^ le quali ci hanop data oq^'
•Cfision^ di còsi ragionare. Volendo ^dunque
•i maestri antichi {ar la testa e il rovescio
della medaglia , queste prìpueramepte &ce-
vano di céra y di quel basso nlleyo , ch^
volevano ^hfi Id detta n^edaglia fos^,eap-
.puato della graadezza ìstfssa, cb(^ av^isste
' d^ essere. Ma prima che più avanti pasaì^
mp ^ diremo i^ome si fa^ia la detta perà.
Debbesi pigliare cera biancbis^io^^ f pura^,
a mescolarla cop tanta biacca ben maciàiì-
ta y che sia per la metà della cera y ^ que-
sta 8^ aggmgne un poco di tremf ptiua cbta*
rissima^ la qnale più o manco vuol essere ^
aecondp la stagione, in cbf altri ^i ritrova;
perche essendo d^ inverno , si pnp torre più
trementina la metà , che la state non ^1
farebbe: e questa è il modo dt iar ìs^ùpn^
If qipaj^f eor/l da essi antichi lavtjMrafc^ ('^9-
com:^ aùccu'a è da^ moderni ) Uffrtk òq
•toMdp di pietra j ìT osso o di vetro nero, fipa
if^tti Kiacelletti di legno. Condptto i) detto
^.ycFP di per9 % perfezione / lo fòrma?aào
4i p§90 in nquella maniera ^ chp ^ di : sQ|>|*a
ifaemmo &f|i 4^' $iie^el)i éardu^ales/Qbì. Poi
avevano i loro tasselli ; ch« ceis^x pi xlpmaai-^
davano i fi^cri^ co^ ch^ «i stapip^o te dfHt«
«Medaglie y t 4i£^f na^ 4i qi^^^lli 4elÌe ipq-
wte , che pì\e e tornelli pi 4icorjp ; chf ,
<mM di già è Qciti> , epAtengijitìo difl^reato
BOina^^ perchè nnqor e»#i spo/O differenti , il
dbe jion avvieiie 4!e^t|sse]li ^ che ain|>i sono
Infiali. Ma qu^ati ferri qob « fa^o , jaojna
fieUi delle m^of^to^ peroliè i tor^^Ui « la
ffle di ferro e .d'aociaip si comfKoogoiDo ^ e
^utfrti taaaeUi sì faMio t^tti d* acquaio scbiet*
k) j 1 qu^(li debb#Do^ lessare di forfi^a qu^dra^
agoali P uno air^Hro, coiDe b^ è detto j
e. per fMstrape il mod<^ di farli ^ 4Ì€Ì^0y
ohe poiché $i ^ariuiQo indolciti nel f^ocO i
econe ìoaegpafB^io , chi), a qii?lli d«)ilf ipo<»
Dete 81 doVess« fare |, s^ d§^Qqfì tpì^
Ilare piilitaroeate eoo pietre d^p^yie, QÌ^
hklo , aU>iansi du^ o tra paia d| quelle
seste icnmohjli &J$e^ di filp di aQ€;ia)0| cqìb^
piando delte lE^net^ ai 4i$4e; I9 quali
condotte .che aaranoo a qu^Us^ gri^n^e^za,
(ft che sdt4 hfi di l^isogno, oqh efia^ fi.fter
gQ^ii il Joogò della graaitijiri^ e ]ù d^^Umw
dalle lettere y cona^ pur deli^ ipope^ AucQr»
^naitio* Già latto colica «iiyppp)? .4ili*
trateineiìte sopra il tàaa^Uo ^oQ^ùiiciii^dQ; a
biorare si lava l' àoeiaip y aocQ^dp qhd 4kwr
alra I9 £)ffiaa^ che ai ^a^rà ^t^ di. ge^so
^OfHra la eqm ^ e coni tó» |^stl^fiiza^l j^ ya ìq*
i>iaayan(Ìo cèn.i detti ferri, pomod? :CwrA;
4^ naaneo, chat aia possikile.^> si.abhla da
tdoperare i ceaelU pev ai;m^aafp 3 esaeù-
àofié per tal. modo si ìarebbN^ indurir
104 . CELUKI '
l'acciaio /e* non se ne potrebbe levir fiori ^ce>i
ferri da tagliare : ]!>erd con pazienza A
debbe andare i tasseHi lavorando ^ nel modo^
detto y il quale è quello , cbe leonefo> » gli
antidhi facendo le loro medaglie. Le letlere'
medésimamente , ch« intorno a e^se andi*
vano, intagliarono con ciappole e con bu-
lini; ma delle dette lettere, die nelle loro
ihedaglie si veggono, siami lecito dire con
ogni debita reverenza, cbe essi colle loro
regole non le fecero ,- quantunque i Qomani
inventori ne fossero ;'peFeioechè cbi .porta
diligente cura , le Vedrà per lo più .fatte
in tali opere con ^poca grazia, il cbe doveva
procedere, perchè in tal parte eoa met*
tevàtio studio, e le lasciavano ^ come cose al
, loro esercizio non appartenenti. Avendo ^n
detto éA modo, cbe tennero gli -^antichi in
far le medaglie, verremo ammoderni,- segni-
tando il nostro solito ordine. Occorsemi di
fare a Clemente Papa Settimo due madame
con i loro rovesci^ alla prima ùel diritto
feci la testa del Papa , e per rovesciò v^ era
intagliato quando Moisè nel deserto con
moltitudine di pòpolo assetato ^ percoteva
colla verga la pietra, fuor della quale usci-
vano abbondantissime acque; la quale alo*
ria era stata da me fatta con mokitudine
di parsone ^ di camipelli e cavalli, servemìo
air effetto^ con affetto e decoro; ititorao
alla quale era questo motto t vt hibat «>-
PVLVs. Neir altta , oltre aHa testa del Ps^,
"vi era per rovescio figurata la Pace con tina
facoltà ; in -mano, che ardeva un trofeo d'^r-
•me/ ed accanto aveva il ^tempio- di -Giarn»
• 'I OKEPICBItU. I05
/con una figurina legata a dettò tempio
postavi per lo' Furore; ed il motto era
tXATDYNTVR BEI.LI poETAE. Qùìeste due t^è*-
daglìe furono intagliane da me con quelle
8<^raddette madri e panzoni , come di*-
cemiùo parlando delle monete. Sia qui si
ricordi F artefice, che dove io dissi, che le
stampe di queile non si dovessero toccare
con ferri da tagliare , dì queste tutto il con-
trario avvìeile ; perciocché , come si saranno
messe sopra i tasselli e puHzònetti ^ è di
necessità con ciappole e con bulini finirle
diligentemente , e indi porvi le lettere d' in-
torno^ fatte pur in punzoni d'acciaio, come
nelle monete si disse. Le dette stampe di
medaglie vogliono esser poste ^oprà un grossa
tassello di piombo ) perchè , sebbene da al-
cuni è stato usato di metterle in celti ceppi
di legkìo buoati, ciò nelle medaglie non
si può faré^ essendoché T incavo ha da es-
sere in queste molto più profondo, che
quello delle. monete, dovendo esse mostirarsi
eon maggior rilievo. Débbesi ancora usare
come nelje -monete, ^mentrechè le dette
stampe .a' intagliano , di ^stampare con un
poca di cera nera qudlo, che si lavora; acciocr
dbè meglio si consideri ciò, che si fa^ e
innanfzi che le deftte stampe si temperino j
Btamipisi prima alcuna medaglia dì piombo,
affinché tutto il lavoro si vegga insieme e
secondo il insogno si corregga. E come ciò
SI fkà' fatto y allora si' potranno temperare
nel modo , che si disse delle monete ; ma
pongaai cura di avere un vaso capace, al^
•^laanco di dna barili d^ acqua ; e quaòdo
\
<06 CBX.l«|lfI ;
«aranQO fiitte rotsse dal fuoco colla discrer
sione, che dicemino;, pigliandole, colle te-
Daglie y 8Ì debbono subito tvfl^re heUa dotr
t^ acqua , teoeadole % m e^sa ricoperte e
non mai fuori, ma girare, oosi ricoperl^
iDtoroo, fio tantoché ai senta cessare q«e)
rumene del frìggere*, che fa il fuoco per
la violenza deir acqua ; . dìpd, si possonp
cacare , e: si hanno . da pulire colla scaglia
del ferro macinato, come altrove si dijsse.
Ma tempo è di trattare de' modi di stamr
pare le dette medaglie*
• s
jCAPITOiIo IX.
Del modo di $tampme le medaglie a canie;
. delle misure delle staffe e 4^ oonf^ .
Itf diversi modi i& stampano le miedtf^
glie^^e quello, che generalmente ai dice
ooniiare , a noi pare, che . particolarm^nt^^
ancora si debba intendere ^ esaendoek^ .egli '
è imo de' modi , con ^ che A .stampano le
dette medagtie. Ma quantunque . in diveiai
modi queste si stampino ^ per fuggiiie la
superfluità non necessaria, diremo solai^eato
di <piegU stessi, de^ qnali . nelle nostr' opera
ei Biamo servili , avendogli per , meazo. delr
1* esperiencsa trovati utilissimi. Cominciando
adunque dal modo di stampar - Id medaglie
a comò ^ diciamo v che si: debl^ &r« mf
9taffii di ferro^ |arg£i. quattro dita , grossa
iue^e ItiQga un i^è^zp l^raccio^ il vaco
larghezza dellsi quale, ifuol essere appunto
laoto q^aoU^ $00^ grandi i tasselli , dove
li SQno int^gMatf le aiedaglìe y i quali , sic-
come dìceniiDp, v<^}iono esaner quadri ed
eguali, e dispci^ti in tal gqisa, che metten-»
dqgl^ n^elle staffe v^ entrÌAo dentro appunto )
perchj^ pelooiiiaF poi l$i ipedaglia, di qua*
lunque melallo ella si^^ ^pdpvi dentro
«ippunto,! detti t9sselli fM)Q ai pps^ono tras«
porre. Ayvertiscasi pra^ che volendo stanw
par le medaglie oel detto modo , priqua è
necessario di aver neUas^elti ^tapspate una
medagUa di piopibo ^ella gtpssezza , ch^ ella
si desidera d' avere d' oro q di argento , e
ciò &tto bisogna fondarla in quella terrai
iieUe'dé;;te staffe, già nel modo che dicei]$iQ)fì
usare i boirchiai ; ed ^p|^ssp gettarl^i e
n^ti^rla dalie sue bavette con una lima ,
avvertcDdo pe^ò. di Don vi lasciare i colpi
della lima, ina raderla bfne. Dipoi si met-
terà ìf^ mezzo a' tassèlli 3 perchè essendo la
medaglia hi tal rfkoào 'gettata,, per co tal vìa
m verr^ a facilitar il più U modo dello stati^
parla ; essendoché le stampe noi;t s' afl^|icanp
tanto. Pipoi che si; avranno le stampe
Della staffai e che sl^ia diritta la staflaìo
terrari facciasi , che da una banda; i tasselli'
À pesino nel fondo della detta, stafffi, 9 dalla
banda di sopra , nella qqale vi debbono
esser tre dita di yacuoi vi $i ppo|pino dii^
^cdn| di ferro ^ cioè due biette) le quali vor
' gtioifo da una. banda esser grosse^ e <lair al-
tra per ^ la metà manco grosse. Queste
Iò8 CEtLiNI '
vogliono esjgev lunghe per i|aa volta e mezzo
la lunghezza delta staffa ^ più e manco ,
secondo il bisogno. Volendosi poi stampare ,
pongansi le punte delle dette biette o conj
aopra i tasselli^ in guisa che F unn e V altra
{mntavénga a soprapporsi. Fatta che si sarà
a detta diligenza ( la quale si fa, per-
chè non si traspongalo le parti della meda-
glia^ e per agevolare i ferri e il metallo^ di
che dee farsi la medaglia ) piglisi poi la
staffa e posisi sopra una pietra grande còti
una di quelle teste' grosse de' conj ^ é iosulla
lesta di sopra percuotasi con un groiso
martello a due mani, il qual martèllo nel-
r arte si domanda mazzetta ; e debbési so^
lamente percuotere tre o quattro volte il
plùy scambiando a ogai doe cólpi il conio
di sótto in sopra. Ciò fatto cavisi la meda*
glia, ed essendo per avventura di ottone^
è di necessità ricuocerla ^ perchè per la du^
rèzza del metallo non vénrà formata à\h
Srima; e dòpo che sia ricotta, facciaiisi ler
ette diligenze due o tre volte , tantoché
ai vegga essere bene stampata. El^^ questo è
quanto ne occorre di ragionare sopra que*»
sto modo di stampare a conio, taséiando
indietro molte minuzie, come non neces-
sarie, perciocché io presuppongo , come
s'è detto, di parlare sempjre con uòiiiim
non in tutto ignari ed imperiti della det-
t^arte; e perciò discendo a un altro modo
di stampare, detto a vite.
OKsricKKU. togi
CAPITOLO X.
iMlo lampare le meda^ie a vite ; de
masti y delle chiocciole ; e de* pani di
esse iMe.
J? AcciAsi uM staffii di ferro , grossa e
larga nel modo sopraddetto^ ma tanto più
Ituiga^ quanto 9 oltra i due tasselli, dovè sarà
V intaglio della medaglia^ ella possa esser
aita a nascondere ancora la vite femmina
£ bronzo,, la quel vite si getta in sul ma-
stio di fe^ro. Questo detto mastio è quello^
èbe veramente si domanda vite, e la femmina
si domanda chiocciola. Vuol essere il'detto
mastio grosso tre dita/ e i pani della vite
vogliono esser &tti quadri^ perchè hanno
fin forza^ rhe nel^^ altro modo, che si usano
ditf^e. Avvevdscasi, che la staffa débbe
essere buciata di sopra; e poiché in essasi
saranno messi i tasselli , e infra i detti tas*
selli il metallo, che si vuole stampare^ è
necessario, che per la grandezza della chioc^
ciola di ' bronzo sia tale , die non balli nella
staffa. £ perchè i tasselli hanno da .essere
alquanto minori , per tal cagione , si èal*
zeranno con biette^ di ferro , fermandogli
bene , acdocchè non si muovano punto^
Abbiasi poi preparato nn pezzo di trave di
lunghezza ^ due braccia o più , la quale
vuol esser sotterrata tanto , . che sopra
N
ferra se tie vegga solamente un hi^bso brac«^
eio; e questa sia benissiibo piallata; ed .alla
detta trave $ì appicchi delia tj^a di salto"
UQ pezzo di cprreote assai ben grosso , di
larghezza pur di due braccia , commettén^
dolo nella testa di sotto detta detta* trate^
£pot odia lesta di-sopra comnàéttasi. la staffa
con un^ intaccatura y sicché ella tì entri
appunto. Bisogna, ancora fare certe aliette
di ferro ^ gagliarde , le quali sostengano la
4etta trave ) dov'è comtliessa la vite; per-*
ciocché le dette aliette la sostangood, qh' ella'
non si apra. La testa di sopra, della vite
vóol esaere stiacciata, ed io quella, patte
stìaeoiatà vi si oommette un grosH> andlofte
di fèrro ^ che abbia due code y le <{«ali
code hanno a essete bucate e confile a una
Innga stanga ^ ^ cioè a un lungo cofreùte^
la cui lunghezza non sia manco di sei brac*
eia ; e poi con quattr^ uomikìii destramente
tenendo diritti i ferri da stampare edH m«M
taHo^ che si stampa ^ cosi si «eondocobo a*
perfezione le dettò medaglie. Ed in ' tal
modo per Papa Clementcr ne stampai più di'
cento tutte di ottone, senza averle gettaitr^
come di sdpra dicemmo , . ohe necessari p
Cosse / volendole ^ooniare. vFÌDi4ineiiÌe questar
forni della vite è tale^ che se ben ai cbo^
sidera^ Quantunque sia di pia spesa, im^
però mette fenà conto a stamparle cwl^ che
in altro modo ^ e. manco si spende } percltè
oltre che meglio si stampa^ i ferri meno à
affatioaiko i e deir oro e dell^ argento parlandòr^
io nt stampai graA quantità senza mal rì^-
mooarne nessua»; insomma ìi due «tretlarar
I
ORsricsRiA. ni
di Ttte sempre verrà atampata la' ineda<*
glia, dovechè a cento colpi di codio ap«
pena se ne sari fatta una* Laonde pét
ognuna, che se ne stampi a conio, sé ne
starà stampate venti a vite; e di questo sid
detto abbastanza. Ora tratteremo di lavo«^
rare di grosseiSè . d^ oro 6 d'argento. '
' »
CAPITOLO XL
M^ arie di lij^orare di grosseria d^ uro e
di argenta p figure escasi; e del modo
ài Johdere- a sfitto , a mortaio è a tcLz--
za ; e del far le staffe da gettar le fiia^
stre dfl detti nHialU.
• . . . . . * - •
■ . ^ .
IN 01 ^etho pervenuti all' nlliina aìrte '
4eir oreficerìa, che è quella dèi lavof^r di
grosserie d'oro e dt argento, la qufcil arte
fii da me -impalata in Roma, ma alquanto
diversamente da quello ,*<:he io poi kk veddi
lavorare, in Parigi , dove ii^ grahdissiitisl
copia si lavora dì detto esercizio. Imperò sa^
ranno d*a me tutti' due spiegati; ma, come
cosa néoesisa ria ^ parleremo prima del moi^o
di fondere F* argento , per tutte T otcasioni^
che in dett' atte occorrono. Dico adunque^
che volendo , cbe F argenta noti si riarda é
(ibe mégiio si liquefacela , per far* questo Vi
sono tre modi*. B primo ^ iónderlo per virtè
del vento, oko' & il raantieéj percioocfaò
81 eompoae intornìD alla bocca dei maiMiCi
112 CBLLlffi
un fornelletto di mattoni , dove àehbe es-
sere coperto bene. il coregaiuoìo « cioè. che
lant' alto Bia il detto foraeflo , che egli 90-
pra6&còia il coreggiuolo di quattro dita }
pipoi ai piglia il coregginolo e ugoesi dfiDr
trp ^ fuori beDittsidio róQ.olio di uliva^, e
empMendplod^^argeoto ai mette nel fornello^
e nel fondo dì esso fornello debbono essere
certi pochi carboticini accesi : dico pochi ^
perchè il calore non sia cotanto subito j
che faccia rom,pere il coreggiuolo 3 ^ per*
ciò se gli debbe dare un caldo tempera-
to j non toccando mai il mantice fintanto-
ché il cor^gìuolo non si vegga ii^focato e
rossd j ma come siia in detto termine ^ allora
si debbe comiociare pianamente a far ali-
tare detto mantice fintantoché, destramente
soffiando , si veda come accpia liquefatto
l'argento. Ciò fatto piglisi tanta gruma di
botte, quanta si può tener nascosta io una
mano , e mettasi sopra T argento strutto nel
coreggi uqIo; e lasciatala sl^re alquanto^
Siglisi uno .^traccio di panno lino, che sia
en unto eoo olio , e cotanto sia grande ,
che in quattro o cinque doppj si possa ri-
Eieg^re. Indi scèoprasi il coreggiuolo da' 6arT
oui e pongavisi sopra .quel panno lino ; di
poi piglisi il òpreggiuolo con un paio di ta-
naglie dette imbrajcciatoie^^le quali dall'ef-
fetto, elle fanno, d'abbracciare il detto co-
reggiuolo , son cosi nominate] perciocché se
quéste lo pigìiassorip ip quella guisa y, che
si fa il coreggiuolo di term y essendo que?
sto, di che parliamo, di terra, lo rompe-
rebbqno subito ; dove queste in guisa $on
fatte, che lo sostengono senza alcun perìcolo
OR&FUtMlA. Il3
di romperlo. Dopo questo abbiansi pDspa-*
rate le* sue sta^ per gettarvi deatro' V ar-
gentò: e queste si fanno di due piastre di
ferro y grandi secondo il bisogno , fralle
quaUsi mette certi bastoncini quadri , della
grossezza del dito 'mignolo , più o manco
secondo la piastra , che si vuol gettare ;
indi* éi serrano all' intorno con certe molle
di ferro , alquanto grossette ^ e col martello^
si pingono innanzi in guisa eh' elle serrino
egualmente le dette staffe ; e delle dette
mòlle se ne fa sei o otto, secondo la gran*
dèzza delle staffe ; stuccansi poi dintorno
con un poco di ' terra liquida , perchè V ar-
gento^ che vi si getta dentro, non. si serri.
Proccurisi ancora , che le staffe sieno ben
calde, e avendole ferme in un catino di'
cenere spenta o fra quattro mattoni in ter»
ray avendovi prima gettato dentro un poco
d'olio^ vi si' potrà versare poi l'argento:^
e questo è un de' modi di fondere. Yen-*
ghiamo ora al secóndo , molto migliore.
Usasi "in Fiorenza nell' arte de' battilori
fondere in uq modo detto a mortaio , che
cosi chiamano quel fornello, dov'essi fon-
dono , il quale si fa in questo modo. Ab-
biasi più lame di ferro schietto , grosse un
mezzo dito e larghe quanto un dito grosso y
e toilè dette lame tessasi uno strumenta
di forma tonda , alto un braccio e un ter-'*
zo; ancorché se -ne usano de^ minori «.e
i&aggìori^ secondo P occasione di fondere
più o "Ynanco argento. Questo , come s' è
detto', vuol esser tessuto di forala tonda
• - -1
Celfìnù Bew. Voi Uh 8
/
iofino a Bue ierzì del tutto , e da due
terzi in giù si debbano lasciare quattro
gambe di ferro , alquanto più grosse che
non è '1 resto del tessuto , sopra le quali
quattro gambe il detto ' fornello s' ha da
posare. Ma si debbe avvertire , che dove
cominciano le gambe , si ha da fare una
graticola tanta larga , ohe vi passi un dito
e mezzo 4 e non più, la qual graticola
debbe servire per lo fondo del fornello; e
al detto fornello facciasi una crosta di terra
mescolata con cimatura , la qual terra debbe
esser di quella, che s^ adopera alla foruace
de' biochieri. Fatte le dette diligenze , pi->
glisi un mattone di terra cotta e posisi nel
fondo del fornello , e sopra il detto mati
tone si ponga un poco di cenere, e $opra
]a cenere il coreggiuolo coU' argento , che
$i vuol fondere ; il quale vuol esser tanto,
che sia bastante a empier detto 'coreggiuo-»
lo y usandogli V altre cbligenze , che si dis-«
aero nel fornello passato. Ciò fatto , empiasi
il coreggiuolo di carbonetti con un poco di
fuoco , lasciandolo per se stesso far rosso;
perciocché per se medesimo piglia un venta
grandissima y ed in tal guisa si fonde me-
glio che col vento del mantice. Usansi fare
ancora de^ coreggiuoli di ferro schietto^
essendoché quelli di terra bene spesso si
rompono ; ma a questi di ferro è necessa^
rio fare un loto di cenere pura, la quale
perciò si domandai cenerata ; e dentro e
fuori del coreggiuolo vi si pone gr03sa ud
mez^o dito, lasciandola rasciugisir bene avanti
ch^ V argento vi si metta dentro^ Usasi
0BEFICE1KIA. Il5
ancora di far detto loto di terra con ci-
matura ; e r uno e V altro si approva ,
purché nel resto si osservino le diligenze
raccontate. A questi si aggiugne il terzo
modo di fondere , il quale fu trovato da
me per mezzo della necessità, e mi riusci
molto a proposito : perciocché essendo in
Castel Sant^ Angelo rinchiuso al tempo del
sacco di Roma , e privo delle comodità y
che a tali cose si ricercano , rivolgendomi
air industria , smattonai una stanza ^ e di
5 mei mattoni andai tessendo un fornello in
orma d'angolo ottuso; fra Tuno e T altra
mattone^ neir attestargli , lasciai i conventi
iarghi due dita; così in tal modo l'andai
ristringendo , e quando io fui un palmo
sollevato da terra di dentro , Y andai con-
gegnando , dimodoché io vi accomodai so-
pra una graticoletta fatta di manichi di
palette da fuoco e di certi stidioni, che io
roppi ; ciò fatto , alzai il fornello , ristrìn-
gendolo più d' un palmo e un quarto ; e
dopo presi un romaiuolo di ferro assai
grande 9 che a caso ritrovai in una cucina^
facendogli un loto di cenere e terra me-
scolata y e vi posi dentro queir oro^ di che
egli era capace , cominciando a dargli fuoco
grande in un tratto y per non esser sotto-
posto al pericolo dello spezzarsi, siccome
de' coreggiuoli suole intervenire. Essendo
dipoi fonduta la prìma quantità , rimbòttai
tante volte, che io fondei cento libbre d' oro}
e questo è un modo facilissimo e perfettis-
simo , del quale essendo io stato inventore,
siami lecito chiamarlo con questo nome
/
i
Il6 « CSLLINI
come per isclierzo, fondere a tazza; e qaaa^
tunque paresse necessario , che se ne do-
vesse per maggior chiarezza mostrare il di-
ségno > essendomi ingegnato con parole di
farlo a bastanza chiaro } perciò non pÌ7
glieremo cura di mostrarlo per lo mezzo
di più manifesta evidenza , ma verremo a
trattare del modo di lavorare in dett' arto
di grosserìa.
CAPITOLO XIL
Uel modo di tirar vasellami d'oro e d*ar^
gerito y e de' varj modi di formare e gei--
tare i manichi e piedi loro ; del rasoio
da rader le piastre; del raderle e bat-
terle; e della forma de^ ceselli di fèrro,
ancfddini e caccianfuori.
V^ETTATo adunque che si sarà l'argento
nelle sopraddette piastre di ferro , si debbe
lasciar freddare in esse; perciocché meglio
fri rassoda e condensa. Com^ egli sia freddo y
5Ì debbe d^ intorno nettarlo dalle sue bave;
6 ciò fatto, piglisi un rasoio alquanto bolso
e largo più di due dita e mezzo. Questo si
appicca sopra un bastone, il qual bastone
debb^ aver due manichi , che stieno disco-
sto dalla punta del rasoio un mezzo braccio
in circa; e vuole il detto rasoio esser pie-
gato tre dita e acconcio in guisa che possa
graffiare^ perciocché col detto rasoio si
ORisnCÈHIA. 117
debbe radere la piastra d^ argento o d'oro^
ch^ ella sia , in qoesto modo. Facciasi la
piastra rossa come dì fuoco^ e così calda
si metta sopra una di quelle piastre di
ferro , delle quali ci servimmo per gettar-
vela dentro , e quivi si fermi con certi
ferri da conficcare^ cosi mettendosi il ma-
nico del rasoio in sulla spaila, e ponendo
ambe le mani a i manichi del detto rasoio
( il quale viene a stare in forma di croce )
gagliardamente si raderà la piastra d' argen-
to^ tanto quanto si scuopra la pelle delPar- ,
gento e si vegga netta. Qui non voglio
lasciare alcune cose , che io osservai lavo-
rando, come ho detto , in Parigi, dove io
feci opere d' argento di maggior grandezza ,
che far si possano in dett' arte di grosse-
ria, e le più difficili. Mentrechè io radeva
le dette piastre d' argento nel modo soprad-
detto, avendo ciò osservato un certo Clau-
dio Fiammingo mio lavorante j giovane
molto ingegnoso e succiente , mi disse
modestamente « che ancorché il modo di
radere dette piastre fosse molto bello ; im-
però , nella maniera ^he egli le lavorava ,
si poteva risparmiare quel tempo e fare
senza raderle : ond' io ciò intendo dissi ,
che aveva caro dMmparare il suo modo, e
così gli detti a fare un paio di vasi d'ar-
gento che pesavano libbre venti V uno (im-
però con i miei modelli ) i quali vasi, cosi
furono da \\n messi in opera. Poiché egli .
ebbe fondato il suo argento , e gettatolo
nelle forme di ferro nel modo sopraddetto ,
levatogli le bave, cominciò a batter la
41$ CBtUHI
piastra sena&a raderla e a dargli Gonfeniento
forma, come più di aotto si dirà; e cosi gli
conduceva senza far quella manifattura di
raderla : il qual modo mi pare degno d' es«
sere imitato. E con questa imparai molt' aU
tre belle avvertenze^ le quali prima stimava^
che nascessero ^ perchè in detta Città si la-
vora d* argento finissimo; ma fui fatto poi
accorto che ciò procedeva nàediante la pra-
tica grande , che essi avevano in tal arte ,
essendoché ogni bassa lega d' ai^en^to era da
loro lavorato colla medesima facilità e per-
fezione dell' argento fine. Così , come ho
detto, senza spender il tempo in rader la
piastra, conducevano il lavoro; non man-
cando però di alcune diligenze, come sono
in andar levando alcune foglietto di mano
in iqano, che getta la piastra, secondochè
elle si dimostrano. Contuttociò, non giudi-
cando a passione , piuttosto eleggerei il
primo che.il secondo modo, cioè di raderle,
per averlo trovato migliore. Dimostreremo
ora come si debba fare un vaso in forma
d'uovo. Dico dunque, che in Roma fra di
molti, che me ne occorse di fare, due ve
ne furono di forgia d^uovo alti più d^ un
braccio 4 colle bocche strétte di sopra e con
i lor manichi : uno fu del Vescovo di Sala*
manca e l'altro del Cardinal Cibo. Questa
sorte di vasi , com^ è noto , sono chiamati
acquerecci , e per pompa si tengono sulle
credenze ; e furono da me lavorati con fo-
gliami e animali diversi. Di molt^ altri ne
feci al Re Francesco y vie maggiori de' so-
praddetti ( dove io aveya in essi lavorato
Alctidé opere di cesello con gfaii diligenza )
i quali in tal guisa condassi. Presa la pia «
8tra e pulitala dalle bave e scantonatala slU
quanto^ la radei da tutte due le bande nel
modo che di sopta dicemmo! e perchè le
piastre, che si gettano ^ sono alquanto lun-»
ghe per un verso più che per F altro, per
via del martello così la ridussi tonda. Fatta
la piastra infocata e rossa ( ma non troppo^
Fercioccbè si spezzerebbe ) messala sopra
ancudine , colla penna del martello si
debbe batterla da .un angolo air altro ga-
gliardamente e -fare eh' elP entri bene ; e
così pércotendola , da tutti e quattro i can-
tóni j nel modo detto si debbe fare fintan*
teche si venga a riscontrare in croce la bat*
titura; dipoi pur colla penna del martello sì
tiri inverso le facci? t cosi percotendola nel
detto modo, e scaldandola e battendola
quattro volte, diventerà tonda. Ridotta la
tal guisa y si debbe aver la misura di quanto
ha da esser largo il corpo del vaso} e ciò
visto, tirisi tre dita di più che non è la detta
grandezza, avvertendo sempre di lasciar la
detta piastra più grossa nel mezzo che sia
possibile; ma innanzi che s^ arrivi alla detta
grandezza percotendola, si debbe pigliare
un ferro grosso un dito e lungo sei (que*
^to vuol esser bolso e appimtato , ma non
sì che egli sia pungente ) e il detto si mette
dritto col piede in suir ancudine , dipoi vi
si congegna sopra la piastra , fintantoché si
tenga dritta , cioè pari , bilicandola in sul
detto punto ; e quando ciò s| vegga èssere
in pronto > commettasi a un jpratico gata^ne
1 20 GCLLINI
che la percuota colla bocca del martello a
diritto di quel punto, tantoché venga se-
gnato nella detta piastra. Sonovi dimoiti ar-
tefici che senza alcun aiuto fanno benissimo
il detto effetto , massimamente alle piastre
Incede; imperò alle grandi ò necessario
^ aiuto sopraddetto. Come la piastra sarà
nel detto termine, -piglisi e rivoltisi insul-
r ancudine con quel medesimo ferro, e per-
cuotasi col martello ) dimodoché quel punto ^
che è poco segnalo y apparisca maggiore ^
dipoi colle seste ^ girandole intorno^ veggasi
r inegualità sua ; e sempre Hcjiocendola , col
martello si tiri Y argento dove si vede man-
care, proccurando di non perder mai il detto
punto. Cosi essendo tirata tanta grande,
quanto si disse^ cioè tre dita maggiore che
non debbe essere il corpo del vaso, di nuovo
si pigli le seste, e segnisi appunto tanto quanto
ha da essere il corpo del detto vaso, segnando
oltra quello più cerchi distanti l'un dall'al-
tro, un mezzo dito, inaino che arrivi al cen-
tro cioè al punto di mezzo. PigUsi poi una
aorta di martelli , che abbiano la penna
grossa un dito da\una banda e un dito e
mezzo dair altra parte y e la detta penna
debb^ essere scantonata , e tonda in guisa
che sta il polpastrello di un dito : cosi col
detto martello si comincia a percuotere nel
mezzo della piastra , dico del centro appun-
to, proccurando sempre che il punto, che
vi si è segnato, non si perda j il che si i&
dando spesso col medesimo panzone, con
che da prima sì «fece il detto punto.. Col
detto martello poi si va battendo a uso di
ORBtiCBRU. 1 3 1
chiocciola intorno a que' segni e cerchi
filiti dalle seste , spesso rlcocendola. Batten-
dola adunque in questo modo ^ viene a cre-
scere l' argento in guisa di un cappello o di
una coppa ^ la qual forma ha da e^sereil
corpo del vaso. Cosi avvertendo che il punto
resti in mezzo, si dehbe tirare su Inar-
gento eguale; perciocché quando si tirasse
più da una banda y che da un^ altra, ^i ver*
rehbe a far brutto lavoro e sarebbe 1' ar-
gento diseguale. Percuotasi adunque tanto
nel detto modo , che la detta piastra pigli
ibroia tanto profonda , quanto è alto il corpo
del modello del vaso; dipoi con diverse aa-
cudini appropriate alla detta forma del vaso ,
quando colla bocca quando colla penna del
martello^ e quando a voto, cotanto si batte,
che pigli interamente la forma di tutto il
vaso; il che si conseguisde in sulle dette
ancudini, che per l'arte si domandano lin-
gua di vacca. Àncora si dirizza queir orlo
o rigoglio, che fa la proporzione del corpo
del vaso , sopra un' altra sorta di ancudini
torte fatte per detto effetto ; il quale a poco
a poco si comincia a battere, sostenendolo'
alquanto a vantaggio , fintantoché si venga a
ristringere la gola del vaso , proccurando di
levar sempre con diligenza qualche sfogliet-
ta, che apparisse nel lavoro. Poiché si sarà
ristretta e condotta la igola del detto vaso,
secondo il modello, volendo lavorare il corpo
di basso rilievo, si debbe empiere di pece
nera , e ciò fatto compartire e disegnare con
uno stiletto di acciaio brunito sopra il
corpo del detto vaso o figurine o fogliami
la^ CELUNl
o animali^ secondochè si vaol Ornare; indi
ridisegoar tutto colla peana e coU' inchiostro
con tutta quella nettezza e pratiba che nel
disegnare si ricerca, poi co^ ceselli: quali (se
prima di essi non avesse appieno dato noti-^
zia) sono ferri di lunhgezza di un dito e di
grossezza di una penna d'oca, e vanno cre->
scendo per due grossezze di penne } i quah
ierrì sono acconci in diverse maniere, per-*
che alcuni ve ne sono fatti come la lette»
ra G j cominciando da un e piccolo e an-*
dando crescendo a un G grande; alcuni
sono più volti, alcuni meno volti, tantoché
egli si viene a quelli, che sono diritti ap-
punto ; e questi si debbono fare di tal gran-
dezza ^sicché cominciando a diminuire^ ven«
gano tanto grandi quanto è T ugna del dito
grosso d' un uomo , le quali diminuzioni
hanno a essere da una infino a sei. I detti
ceselli, adunque si debbono porre sopra il
lavoro, e questi percuotere con un martel-
letto di peso di tre o quattro once^ destra-
mente, e così venir profilando con essi tutto
Snello che di già si è disegnato. Piglisi poi
detto vaso e circondisi con lento fuoco ^
che così facendo sene caverà La pece, che
v' è dentro ; e cavata ch^ ella ne sia, si
debbe ricuocere, facendolo bianco col bollirlo-
nella gruma di botte e nel sale , pigliando
tanto dell'uno quanto delF altro, come già
9Ì disse. Come ciò sia fatto , abbiansi certi
ferri^ fatti in foggia d'ancudini, colle corna
lunghe, i quali sono detti caccianfuori e si
fanno di ferro puro ^ più lunghi e più corti
secondo il bisogno. Queste cacciahfuori si
ORBf ICERIA. I a3
banoo (k iermare io un ceppo ^ come s* ac*
coDciaDO r altre ancodini. Nel vaso poi si
fa entrare una di quei cornétti delle dette
ancudini, il quale sta rivolto colla punta
air insù , la quale si fa tonda ^ nella guisa
di un dito piccolo della mano ; e questa
serve a far rinnalzaré que^ luoghi , che nel
lavoro del vaso è mestiero d'innalzare. Cosi
pian piano percotendo col martello V altro
cornetto delle cacdanfuori si viene a sbat-
tere^ facendo per co tal modo brandire quel
eh' è nel corpo del vaso , e innalzare l' ar-
gento tanto quanto fa di bisogno. Avendo
ciò fatto a tutte le figure, animali o fo-
gliami j che sono neir opera ( cioè innalza-
tigli colle caocianfuori ) sì debbe ricuocere
il vaso e farlo bianco nel modo, che dicem*
mo , poi. rimetterlo nella pece e lavorarlo
con una'altra sorta di cesellini fatti pure
nel medesimo mòdo , che dicemmo farsi i
sopraddetti , se non quanto le lor punte
hanno da esdere della forma di un fagiuolo ,
grande o piccolo secondochè la forma del
cesello va diminuendo. Ben è vero che in
altri modi di questi sen' usa di fare ( i quali
sono secondo l'usanza dell'artefice che la-*
vera ; perchè io ho veduti diversi modi di
cesellare ne^ maestri ) ; ma ciò poco impor**
ta ; bastine dire che i ceselli non hanno
da tagliare , ma ammaccare Y argento. Ma
tornando al nostro proposito , dico / che il
lavoro si debbe cavar di pece e ricuocer»
due o tre volte secondo il bisogno ; e come
si saranno co' ceselli condotte le figure*
e i fogliami presso alla fine (cioè albi'
^12^ ^ CELLINI
peDultima pelle , che così si cfaianift) trag
gasi il vaso di pece , e colia cera si lavori
la bocca e 1 tnaoico con varj e grazios
ghiribizzi, tutto migliorando dal aiodello
che prima di. ciò si sarà fatto : i qaali orna
nienti ; finiti che saranno di cera , 6Ì debbono
formare in diversi modi. Né questi ci parrà
grave di descrivere per benefizio dell' arte-
fice. Cominceremo adunque da quello^ che
da me fu giudicato per più facile , che io
usai nel lavorare i vasi del Re Francesco..
Io prendeva di quella terra che adoperano
i maestri deir artiglierie , la quale , essendo
secca I la stacciava^ benissimo; dipoi la me-
scolava con cimatura di panni fini e con
un poco di stallatico di bue, passato per
ìstaccio ; e queste cose batteva poi tutte
con diligenza. Poi macinava del tripolo , ed
avendolo condotl;o liquido come un colore
da colorire, lo dava sopra le dette cere: a'
quali lavori aveva fatte tutte le sue bocche
colla medesima cera /e tutti gli sfiatatoi; i
quali sfiatatoi sempre ho usato di metter-
glis per di sotto , arrivando alla bocca di
sopra , come indietro dimostrai , tenendo nel
gettare alquanto lontano dalla boeca detti
sfiatatoi, acciocché nel gettare l'argento non
si venisse a versare in essi , perciocché non
potrebbero far T officio loro. Avendo adun-
que dato del detto* trfpolo macinato una
sola pelle , si debbe lasciar seccare ; dipoi
si piglier^ della terra sopraddetta , imponen-
dola sopra il lavoro grossa tanto quanto
è una costa di coltello, lasciandola seccar
tanto eh' ella v^ga per la grossezza di un
OREFICERIA. I ^5
dito. Fatto questo^ armasi 1' opera con iSli
di ferro d' ogni intomo , e sopra i detti fili
si debbe mettere della medesima terra y che
abbiamo detto , e non s' imponga grossa
come r altra ; e ciò si fa , perchè tenga me*
glio quella mano di terra, che s'è data di
sotto. Accostisi poi al fooco , e tenendo la
bocca della cera all' ingiù verso una catinel-
letta y dandogli il caldo temperato j a poco
a poco si scolerà la detia cera; proccurando
però, che il caldo non sia troppo, perchè
farebbe ribollire la cera dentro nella forma, e
per tal effetto si verrebbe a guastare la forma.
Cavata che si sarà lacera^ la forma perse stessa
si verrà a spiccare dal vaso; così si lascerà
rasciugar bepe dalla cera, e dipoi colla me-
desima si chiuderà bene quella parte y che
era appiccata al vaso : e ciò fatto , e rilegato
io alcuni luoghi col filo di ferro sottile ,
dandogli di nuovo un poco del detto loto ,
tanto che '1 fil di ferro non resti scoperto y
si ponga a cuocere con. carboqi in un for-
neiletto ristretto di mattoni , accendendo i
detti carboni nel medesimo tempo ^ che vi
sia posta la forma , facendo sì , eh' ella sia
ben cotta; essendoché a questa sorte di terra
se le può dare tutto il fuoco a un tratto ^
la qual cosa non si può fare all'altre terre,
^ che noti sienp , come questa , mescolate e
composte. Poiché la forma sarà ben cotta ^
abbiasi r argento , e mentrechè egli si fonde,
pongasi la Tbrraa dentro a una pentola ca-
pace a riceverla largamente, empiendo il
vacuo di rena non molle y ma alquanto
ia6 CELLIKt
umidettd , la quale verrà a serrare la forma
in qoellai guisa , che si fanno quelle dell' ar*
tiglierie nelle fosse. Come l' argento sia strut-
to ; rìufreschisi con gruma di botte ben pesta;
e avendo uno straccio di panno lino , o in
tre o quattro doppi mettasi sopra la bocca
del coreggiuolo, facendo però, che detto
atraccio sia unto bene con grasso o olio:
dipoi preso il detto coregginolo coirimbrac*
ciatoie, si versi T argento fonduto nella forma.
Debbesi avere delle dette imbracciatoie di'
più sorti, cioè grandi, mezzane e piccole^
secondo la qualità de' coreggiuoli e la quan-
tità . deir argento che si vnol fondere ; per-
chè queste mantengono il coreggiuolo uni-
to, che non si rompa, al qn.tl pericolo
grandemente è F artefice sottopósto ; avver-*
tendo bene spesso che nel cominciare a gettar
r argento dentro alla forma , essendovene^
entrato alquanto, si spezza il detto coreg-
giuolo e si perdono tante fatiche in un
punto. Abbia adunque V artefi:ce gran de-
strezza e diligenza in tal atto , e mentrechè
egli versa V argento nella forma , comandi
a un £ittoretto, che con un paio di molle
tenga, che quello straccio sopraddetto non
caschi dal coreggiuolo; perciocché, cosi te-
nendosi, viene a mantener ealdo V argento,
e fa che non caschi dentro alla forma qual-
che carboncino o bruscolo. Avvertiscasi an«
Cora, che essendosi fatte nel vaso, come
si costuma, alcune mascherette^ poiché si^
sarà spiccata la cera dal vaso , si debbe pi-
gliare la forma della detta maschera , e nel
OAEFICBHll. t2'J
SUO cavo si metterà una grossezza di cera
quanto una costa sottile di colteilo ^ più o
manco che vorrai che la maschera venga
grossa d^ argento , proccurando , eh' ella sia
distesa eguale ; la qual cera per cagione del-
r egualità e sottigliezza, che ha da avere ^
vien detta per Parte la lasagna. Alla detta
forma adunque avendo fatto pur medesima»
mente di cera la sua bocca e i suoi sfiatatoi ,
come altrove s^ è detto ( cioè che sieno ap-»
jMccati da basso , rigirando sopra la bocca )
ricuoprasi ogni ooaa colla medesima terra ,
e armisi co^ medesimi fili, e nel medesimo
modo ancora si getti y e in tal guisa ti go-
vernerai nel gettare i manichi del vaso ed
il piede ancora , non lo volendo tirar col
martello ; bencbè ne^ vasi grandi sempre con*
siglierei V artefice a farlo di getto , perchè
il piede del vaso , dovendo reggere tanto
maggior peso^ essendo tirato di piastra,
si torcerebbe. Aggiugneremo a questo altri
modi di gettare siùiili cos^ , acciocché V ar*
tefice possa a sua elezione servirsi di quello,
che più gli aggrada. Questo*, che io son
era per dire, ancora è molto a proposito.
Io pigliava del gesso fresco , da formare ,
ben pesto e stacciato, e in oltre un mat*
ione di terra cotta , e quello pestava e stac-
ciava similmente, pigliando i due terzi di
detto matton pesto e ^ facendo , che detttv
due terzi fossero la quantità del gesso 3 e
poi dis£siceva T uno e 1' altro con acqua in
modo di un savore , aggiugnendovi alquanto
di gesso arso. Indi aveva un pennello di
I S8 CELLIKI
setole di porco ^ e quello adoperava da
quella parte , che la setola è pia morbida y
e col detto pennello metteva la materia
sopra r opera di cera in quel modo , che
si disse della terra. Ma si vuol mettere, i)
gesso tutto in una volta , perciocché di
mano in mano il gesso si viede a rappi-
gliare; in guisa che si può poi mettere con
mia mestoletta di legno fatta a tal propo-
sito , tantoché sia grosso un dito y e poi si
lascia rappigliare. Fatto questo si lega la
forma con &lo di ferro sottile ben ricolto ,
e poi si piglia quel gesso e matton pesto ^
che non è passato per istaccio , e si fa lique-
fare coir acqua , come di sopra si disse , e
questo si debbe mettere sopra la delta forma
della grossezza di una xosta di coltello , e
finché sia ben ricoperto il detto filo di ferro;
avvertendo sempre, che quantVè maggiora
Ja forma, tanto più grossa si debbe far ta
detta spoglia , e non èssendo l' artefice cac«
ciato dalla fretta del fornir presto V opera ,
come spesso avvenir suole , dovrà lasciar
seccare il gesso da per se al sole o in luogo
asciuttò e dove si faccia fummo ^ e quivi
tenerla fintantoché fuori n'esca F umidità.
Piglisi poi la detta forma , e con fuoco
temperato cavisene la cera nel modo^ che
già s^ é detto , e uscita che ne sia la cera y
crescasi il fuoco destramente, tanto che
si ricuoca la detta forma in quel modo ,
che dicemmo cuocersi quella di terra. E
questo é quanto occorre di fare intorno al
detto modk> di formare^ il quale io loda
OREFICSHIA. 129
fiommamente per essere molto a proposito
a sbrigarsene ^ secondo la fretta più o man-
co , che abbia V artefice di finire il lavoro.
£vvi ancora un altro modo per gettare le
sopraddette cose, il quale porremo ancora
appresso di questo , e così si conduce. Egli
si piglia le cere , e tagliansi in più pezzi 3
dipoi si formano nella terra in polvere , e
nelle staffe , come di già s' è dimostrato ; e
formate, ch^ elle sono, in quel miglior mo-
do, che sia possibile (e questo dico ri«
spetto a^ sottosquadri ^ i quali non possono
uscire della polvere, con che si forma) si
gettano di piombo e dipai si rinettano e
assottigliano secondo la volontà del mae-
stro; ciò fatto si formano e gettano d'ar-
gento nelle medesime staffe. E questo modo
è ancora ottimo, perciocché quando T ar-
tefice ha formate le dette cere di piombo ,
egli le pud assottigliare nel modo sopradr
detto, a suo proposito; e dette forme di
piombo possono poi servire altre volte ^
secondo V occorrenze.
CAPITOLO XIIL
JJelle figure , che si fanno cf argento , wi^-
giori del naturale ; delle lorofi^rme y saU
dature e hianchimenti.
VTAANoissiMA è la difficultà ^ che si ri*
trova nel fare una statua d' argento ^ che
Cellini Bem* Vpl. IIL 9
l3o CELLINI
sia d' altezia qaanto il naturale o più ) pet^
ciocché , ancorché si usi il medesimo modo
in far le grandi , che le piccole , cioè di uà
braccio e mezzo , siccome sono quelle ^ che
si veggono nell'altare di San Pietro di Ro*
ma ; imperò non avviene di queste come
di quelle y essendoché per la loro grandezza
non si possono maneggiare intomo al fuo-
co y oltreché si fanno di lamine più grosse «
che le piccole. Laonde per tal cagione co-
tanto si rende difficile il condurle , che io
non ho sino a questi tempi veduta nessuna
degna di lode per tal diffioultà^ dove delle
piccole molte se ne veggono fatte da valenti
arteGci eccellentemente. Ed avvengaché noi
dTòessìmo , che in Parigi si lavorasse , più
che in altra parte del mondo , di grosserie^
e coki più pratica e maggior sicurezza si
tirasse di martello } contuttociò , dovendosi
fare per comandamento del Re Francesco
Primo y nel passaggio che fece Carlo Quinto
Imperadorè per la Francia, una statua d^ ar-
gento y figurata per un Ercole con due co*
lonne ^ d' altezza di tre braccia e mezzo in
circa y la quale volle donare con altri pre-
senti a detto Carlo y ponendosi a tale im-
{>resa i primi maestri di Parigi y non mai
a poterono^ condurre , sicché in essa si
Vedesse quella belleziza o industria , che
neir altre lor opere si vede ; perciocché non
la seppero mai saldare bene y e nel com-
metter le gambe y le braccia e la testa col
corpo della detta statua , furono costretti
a legar le dette membra con fili d'argento.
Laonde il detto jKe volendo ; che io gli
OREFICERIA. l3l
facessi dodici statue della grandezza y che
dicemmo^ dolendosi di tali ìmperfezioiii e
proccurando di sapere , se V arte permet-
tesse j che si potesse superare tali difficultk^
fatto da me di ciò capace , avendo con ra<
gioni dimostrato a Sua Maestà , come con-
durre 3Ì potessero a tale eccellenza , mi
comando , che con prestezza le dovessi re-
care a fine. Diversi adunque sono i modi di
lavorare tali opere , e secondo la sicurtà^
àhe i maestri hanno in dett^ arte di lavorare
di grosserie, cosi si elegge qno de' detti >modi
per finir V opera. Ma prima è necessario farci
una statua di terra , di quella grandezza ap^
punto che si vuol far la statua d^ argentò^ e
fatta ch'ella sia, si debbe formare col gesso
in molti pezzi : i quali pezzi in queste parti
divideremo: uno sarà tutta la parte della,
corporatura dinanzi ^ cominciando dalF ap-
piccatura della gola insino all'inforcatura
delle gambe , e per grossezza insino alla
metà delle costole da destra e da sinistra;
r altro pezzo debbe essere le schiene insino
air appiccatura del collo con tutte le spalle
insino dove fluiscono le natiche , congiu-
gnendosi coir altra parte delle costole 4i-
nahzi; e questi sono i due pezzi principali:
le braccia poi si fanno di due pezzi ; il si-
mile le gambe ; e la testa di un pe^zo si
debbe fare.. E perchè i sottosquadri dareb-
bono impedimento, si hanno a riempiere
di cera ; essendoché colle dette diligenze i
detti sottosquadri non impedbcono a cavare
il pezzo. Pigliansi poi tutte quelle forme di
gesso, ed ognuna da per se ai getta d|
l3a CEILIHI
bronzo ; e ciò fatto sì debbe avere le piastre
d' argento , tirate di quella grossezza , che
r artefice giudica più a proposito ; e poi
con martelli di legno si deboe cominciare
a battere sopra le dette forme di bronzo ^
facendovi volger l'argento con ricuocerlo
più volte: perciocché cosi facendo viene a
pigliar dett' argento benissimo la forma del
cavo. Inoltre debbe aiutare con gran de-
strezza il diligente maestro il suo lavoro eoa
qualche colpo di martello j secondochè ri-
chiede V arte e la ragione delF attestare ia-
sieme j ma non però tanto debbe attestare
le dette piastre , quanto bisogna che ciascuno
de' detti pezzi abbia di vantaggio per due
costole di coltello ; il qual vantaggio si
debbe intaccare con una cesoia due dita di-
scosto r una intaccatura dall' altra ; le quali
intaccature Y una neir altra si debbono far
entrare , e quelle strìgnere discretamente
col martello , tenendo di dentro un' anca-'
dine tonda e altri pezzi di ferro , sicché il
colpo del martello non percuota in vano :
e così a ciascun pezzo si debbe fare. Ma
prima si debbe cominciare dal corpo y e
poi dalle gambe , indi le braccia e la testa,
e tutto saldare diligentemente. Ma prima
che insieme si saldino e congiungdno j ai
debbono empiere di pece, e col nìartello
e con ceselli si hanno da condur tanto in*
nanzi quanto mostra il modello fatto di
terra. Ma per venire a dimostrar quello che
per mezzo della pratica osservai e feci
nelle figure del detto Re Francesco , dico y
che avuto F argento^ feci le piastre nei
ORBflCBRlA. lS3
modo òì già detto , e il modello di terra della
grandezza / che doveva essere la statua ; cosi
tirate le piastre alla grossezza , che m' era
bisogno y percotendole ora da dritto ora da
ityvescio, con pazienza e destrezza veniva
a rilevare ed abbassare^ secondochè Farte
richiedeva ; ed in tal guisa mi venne fatto
.più presto , che nel primo modo , che s' è
detto y non avrei ; essendo questo più espe*
ditivo y ma contiene in se più virtuosa pra»
fica. Condotte adunque , che io ebbi le brac*
eia, le gambe, il corpo; la testa feci tutta
di uil pezzo, tirandola in quel modo, che
fatto averci , se avessi avuto di far un va-
so; il qual modo di già abbiamo dimostrato*
Data la forma a tutti i detti membri , co-
minciai a saldarli insieme nella maniera già
detta , cioè intaccando e soprapponendo l' un
pezzo coir altro. Le saldature , che io faceva
per tali cose , erano d^ ottavo , cioè metteva
io un' oncia d^ argento V ottava parte di
un'oncia di rame; cosi cominciando a sal-
dare il corpo col soffio d^ un mantaco gran-
de j al quale aveva fatte certe cannelle lunghe
quanto era il bisogno ( e soffiavano sotto
un letto di carboni, i quali io aveva fatto
accendere , mentrechè l' opera era loro ad*
dosso 9 operando si, che il lavoro insieme
con i carboni divenisse rosso , cioè affo-
cato ) ; cosi soffiando a poco a poco , veni-
vano a scorrere le dette saldature ; né le
spegneva , perchè di mano in mano le man-
dava innanzi e indietro secondo il bisogno,
e fintantoché arrivassero da una testa al-
r altra deli' opera. Ma non avendo parlatp.
V
jl34 CEZ^LUII
in questo luogo della borace, àyvertiseo
chi legge y che io mi son presupposto di
{>arlare con artefici non in tutto ignari del-*
' arte e che sappiano y che nulla si può sal-
dare senza detta borace. £ perchè, bene
spesso suole avvenire^ che ih qualche lunga
il pezzo, che s'è preso a saldare, non.vien
ben saldato, ed è necessario porvi di nuovo
altra saldatura e borace , quando ciò mi suc-
cedeva io pigliava in cambio ^ di acqua un
poco di candela di sevo ^ ciò facendo per non
avere a freddare tutto quei gran pezzo ^ che
io doveva saldare; e sopra quell'untume
metteva poi nnova saldatura e nuova borace,
le quali cose facevano il medesimo effetto ,
che l'acqua avrebbe Ssttto. In tal guisa adun-
que saldava tutti i membri della figura, e
mettendogli in pece, co^ ceselli dava loro
nn^ ultima mano. Volendo poi mettere questi
pezzi saldati insieme per fare intiera tutta
la figura ( la qual cosa è quella y che cosi
difficile dicemmo essere ^ e che quegU ar-*
tefici Francesi nella statua d' Ercole non
avevano potuto superare ) nel mezzo ap*
punto d^ una grande stanza, dove io lavo*^
rava, feci un alzato di sassi, simile a un
muricciuolo , alto dal piano un braccio e
lungo quattro e largo uno e mezzo , ed
avendo cominciato ad appiccare le gambe al
corpo della statua , le legai con fili d^ ar-
gento in vece di fili di ferro, die usare si
sogliono ; è di tre dita in tre dita andai le*
gando le due gambe della statua al corpo»
con non piccola fatica ; e ci5 fatto le messi
sopra il detto ncuriccìuolo , avendo ordinato
un buon fuoco 3 sopra le quali legature
OKBPlCEUtA. t35
OTéVà messo saldature di qointo, simili a
quella ^ che di ottavo dicemmo. Ben avver-
tisco il lettore^ che la quinta parte del
rame , che si piglia , vuol esser rame e non
ottone, perchè il rame lascia meglio cesel-
lare e tien meglio^ quantunque sia un poco
Eiù difficile a scorrere; ma perciocché io
ivorava argento di undici teglie, perciò
venivo a superare ogni difficoltà ; ma chi.
volesse far tali opere d' argenti di lega bas*
sa , sia avvertito , che ciò non gli riuscireb*
he. Avendo adunque accomodato il peszo
della statua nel modo sopraddetto , racen*
domi aiutare da quattro lavoranti, comin«
Clava a dargli fuoco con roste e manticetti
a mano , e quando io vedeva scorrere le
sue saldature a poco a poco, gettava della
cenere molle dove la saldatura scorreva ;
perciocché se colf acqua si fosse fatto , non
si sarebbe potuto rimediare dove la saldai
tura non correva ; cosi in tal modo seguitan-
do, si venne a saldar detto pezzo , e innanzi
che il lavoro si freddasse , medesimamente
a' appiccarono tutti gli altri pezzi felicemen*
te : cosi questa statua , d^ altezza di quattro
braccia e di peso di trecento libbre , si
cavò dal fuoco benissimo salda ; e detto
modo fu molto lodato ed approvato da tutti
gli arteBci di Parigi. Ciò fatto la venni a
bianchire co' bianchimenti già detti ; cosi
riempiendola di pece e cesellandola , segui-
tando V ordine che dicemmo , se le dette
l'ultima fine« Fu messa questa sopra una
base di bronzo , alta due terzi di braccio in
drca , e da me ornata con alcune atoriette
lB6 CCLUHI
di basso allievo, dorate. Era questa statila
figurata per un Giove j il quale Della de*
iStra teneva il suo folgore , nel qual folgore
ai commetteva una torcia da veder lume,
e nella sinistra il globo della terra. Concios*
giacile il modo di biancbìre V cpere , che di
argento si fanno ^ di già sia stato insegnato-
da noi , avendo nel bianchir questa non po-
che difficultà , rispetto alla sua grandezasa ,
son lascerò di farne menzione , acciocché
r artefice in simili opere possa vedere come
governare si debba. Dico adunque, che nella
detta statua mi fu di necessità di andare
nella bottega di un tintore di panni lani,
e quivi empiere di bianchimento una di
3uelle loro caldaie , la quale presi di gran*
ezza tale, che potesse ricevere la statua.
Ciò fatto, preparai quattro veVghe di ferro,
di lunghezza di quattro braccia Tuna, e
quattro pali di castagno , di piii lunghezza
che non eranp te dette verghe; e avendo
la mia figura netta dalle saldature e fatta
piana e pulita , ed appresso pomiciata , la
messi colle quattro verghe di ferro sopra
un gran letto di carboni , i quali erano di-
stesi in terra j ed essendo questi accesi e
consumati tanto che avevano perduto il vi-
gore , e quasi stracchi e senza violenza , la
ricopersi benissimo, con pale di ferro, di
detti carboni ; la qual cosa non senza diffi-
cultà sì faceva per la grandezza del fuoco ,
che si può immaginare, che questo fosse.
Così col detto fuoco si andava la statua co-
pret)do e scoprendo , secondo il bisogno , fin-
tantoché egualmente si fece divenir tutta rossa.
Lasciatala poi frediare, ed avendo in ordine
la caldaia già detta , piena di bianchimento ,
cioè d'acqua, gruma e sale, la levammo,
colle quattro verghe di ferro , di sopra i
carboni , e dopo che fu fredda , la ripì-*
gliamroo colle quattro stanghe di castagno;
perciocché il bianchimento non sopporta
di toccare il ferro ^ e perciò bisognò fare
tal diligenza. Cosi avendolo posta nella cal-
daia , la rivoltammo in quella , e con al-
cuni pennelli grandi di setole di porco ,
acconci nella guisa, che si usano iù bian*
chire le mura, e di quella grandezza pro-
prio, benissimo si strofinava. Come fu fatta
bianca, si cavò fuori della detta caldaia, e
in un'altra simile, piena d^ acìqua fresca, si
pose; dipoi benissimo rasciutta, si dette
ordine a dorare alcune parti , che tale or-
namento richiedevano; ed avveugachè la
difScultà di dorare dette parti fosse incredi-
bile, pur lascerò di trattarle per non esser
prolisso, riserbandomi più di sotto a inse-
gnare il modo di dorare : la qual cosa si
debbe sapere ( per non esser men bella che
maravigliosa ) da quelli che desiderano di
essere interamente eccellenti in tal arte,
ma non però farla essi, ma lasciarla fare
a quelli , che solo a questa professione di
dorare attendono ; perciocché tanta é la
possanza delP argento vivo, che ha forza di
Hidebolire quelli , che tal arte esercitano ,
Scendo tremare le membra e spaventargli
occhi , arrovesciandogli loro. E qui sarà il
fine delle dette arti e del primo Trattato ,
che ci proponemmo dì fare, rapportandoci
1 38 CELLIHI
sempre all' intelligeoza e pratica di' queUi^
che più intendenti sieno in tal professione.
Ma primachè veogbiamo al secondo Trat-
tato » porremo appresso a questo alcuni
esperimenti utili e necessarj a i professori
della detta arte dell'Oreficerìa.
CAPITOL/0 XIV.
Seguitano alcune cose attenenti alle dette
ar^ti iielt Oreficeria ; e prima del modo
d'acconciar V oro da dorare ^ e del mod&,
che si tiene nel dorare.
V.
OLENDO far l' oro da dorare y si debbe
pigliare* oro purgatissimo e nettissinK) e che
sia di ventiquattro carati , ed avendolo di
questa finez^&a^ si debbe battere sopra un^an*
cudine col martello , proccurando, che il
martello e F ancudine siano netti 3 ed il det«
t'oro si ha da condurre in tanta sottigliezza,
che sia quanto un foglio di carta da seri«>
vere; poi con un paio di forbice si ha da
tagliare in tritoli tutto V oro , che si vuol
macinare. Ciò fatto ^ piglisi un coreggiuolo
nuovo j da fondere e che non sia mai stato
adoperato , ed in esso si debbe mettere tanto
argento vivo^ benissimo netto^ quanto com-*
porti l'oro^ che si vuol macinare ^ e la
proporzione vuol essere un' oncia per peso
di scudo j cioè un' ottava parte d' oro sopra
etto parti d' argento ' vivo in circa : « qui si
OREFICERIA^ I Sg
debbe avvertire nhe il detto argento vivo e
il dett' oro si mescolano in ubo scodellino
o di terra o di legno , ma che sieno benis*
simo netti. Mettasi poi nel fuoco quél co-
reggiuolo , sen^a vento di mantaco , òoperto
da carboni accesi e consumati^ e dopo* che
sarà fatto rosso, vi si verserà dentro il detto
argento vivo e oro mescolato insieme ,
mettendolo nel fuoco con un paio di mol-
lette^ avendo preso un carboncino acceso^
lunghetto, atto a poter con esso mescolare
detto argento vivo e oro insieme ; indi col-
P occhio e colla discrezione della mano si
sentirà e vedrà, quando Toro sarà disfatto
e unito coir argento vìvo : ed in ciò bisogna
diligentemente aiutarlo macinare , il che si
conseguisce dimenandolo presto col detto
carbone, perchè chi lo tenesse assai. Toro
verrebbe troppo sodo o, per meglio dire,
la pasta fatta di detto mescnglio, e poco
tenendovelo, verrebbe troppo tenero e non
sarebbe ben macinato 3 le quali destrezze
sono tutte insegnate, mediante la pratica.
Dopo che si giudicherà essere ben macinato,
mescolato e disfatto Y oro , ritrovando la
pasta nella perfezione detta , sì piglia , ès-
sendo così calda, e si vota in una piccola
catinelletta o vasetto , grande o pìccolo se-
condo la quantità delF oro> che si ha ma-
cinato : il qual vasetto debb^ essere pieno
d* acqua fresca , e nel votarlo dentro a tal
acqua si sentirà stridere. Piglisi poi altr^ ac«
qua nettissima, e due o tre volte si lavi
tìinto che V acqua ultima, nella quale si
pone ^431 vegga restar chiara e bella. Ciò
l4o CELLINI
fatto y COSÌ 81 mette a dorare : abbiasi Y ó*
pera , che si vuol dorare , benissimo pulita
e grat^apugiata , come per T arte si dice: i
quali istrumenti, quantunque siano notts^oti
e che da^ mereiai si vendino, nientedimanco
per esser fatti tutti in un medesimo modo
da loro , cioè d' una medesima grandezasa,
ed essendo di necessità , che V artefice con
discrezione accomodi dette grattapugie se*
condo il bisogno e l'opera, cioè facendole
grandi o piccole; perciò diciamo doversi
avere tal avvertenza: sono queste grattapu-
gie di fila decitone, di grossezza di un filo
di refe, e di esse si fa un mazzetto della
grossezza di un dito, più e manco seconda
r opera, come s^è detto. Ora tornando al-
r opera , che s^ ha a dorare , avendo ben
gratta pugiato , dove si vuot dorare y metta-
visi r oro sopra con un avvivatolo , che cosi
si dimanda una verghetta di rame , posta
in un manico di legno ; e si fa ordinaria-
mente della grossezza - e lunghezza di una
forchetta ordinaria *^ cosi con detto stru-
mento con pazienza si va distendendo T oro
suir opera. E quantunque molti usino ciò
fare coU' argento vivo stesso , e dipoi vi
distendine sopra V oro macinato^ non per-
ciò è da seguitare tal modo; perciocché ii
troppo argento vivo , che di necessità vi si
pone f toglie il colore e la bellezza all'oro:
e perchè ancora . alcuni usano di mettervi
Foro in più volte ^ perciò lodo (avendone
fatta esperienza ) a por^e delt' oro tutto in
una volta , volendo ben dorare l' opera ,
é poi con fuoco dolce rasciugar tanto la
OREFICÉKIA. l4l
doratura , che Y argenlo vivo per virtù di
tal fuoco se ne vada in fummo. Il che
come per l'orefice si scorge^ do v' egli non
vegga eguale 1' oro sopra P opera , menlie*
che è cosi calda , con gran facilità vi se
ne può aggiugnere e far la doratura eguale.
Debbesi ancora avvertire^ che dove dett' oro
non 8^ appicca^ si ha da pigliare un poco
d^ acqua di bianchimento da bianchire ar-
gento y che di già sen' è fatto menzione ;
ed intingendo in essa 1' avvivatoio^ e dan-
done dov' è di bisogno, riparare a tal im«
perfezione ; e quando la dett' acqua non
facesse bene, piglisi dell'acqua forte ^ bene
sfumata e tanto che abbia consumato il
suo vigore, e questa ti servirà benissimo,
adoperandola nel sopraddetto modo.
CAPITOLO XV,
Per far colorì per colorire
dow sarà dorato.
I J L primo colore, che si usa per colorire
le dorature deboli ( che còsi nelF arte si
chiamano quelle dorature dove è più o
manco oro) si fa in questa guisa. Pigliasi
tanto zolfo e tanta gruma di botte , cia-
scuno ben pesto ^ ed a questi s^ aggiunge
del sale ; ancora si piglia per la metà di
ima delle dette parti di cuccuma pe?>ta} e
poi tutte quattro le dette cose si mescolano
insieme. Con queste si debbe avere prepa-
rato ia doratura netta benissimo , e gratta-
pugiata , come s' è detto ; indi si piglia
deir orina di fanciullo o d' altra persona y
pur cbe sia giovane , e così tiepida , con
setoline di porco ^ in una catinella netta si
spanna colle dette setole^ le quali insieme
coir orina hanno forza di levare alcune un-
tuosità o sudiciumi, che avesse preso la
doratura. E ciò fatto , si avrà un calderone
di rame y ovvero una pentola di terra , la
<[uale si ha da empiere d' acqua , là dove
si debbe porre , allorché la dett' acqua bol-
le y la predetta composizione : abbiasi poi
r opera legata con uno spaghetto sufficiente
a tenerla , e avendo prima con una scopetta
o frasconcino ben diguazzato e mescolato
il colore, visi porrà drento l'opera, tenen-
dovela per ispazno, che si camminerebbe
quattro passi innanzi e indietro , e poi ca-
vandola si porrà in un vaso d' acqua fresca
e chiara, e secondochè si vuole, che abbia
Fiù o manco colore , più o manco si m^tta
opera nel detto vaso boileftte; avvertendo
però di non ve la lasciar troppo soprastare ,
perchè diventerebbe nera e si guasterebbe
il dorato : e questo è il più debole dorata
che si faccia^ né il detto colore può ser«
yire più che una volta.
\
^
OaBFlCBRUr 143
CAPITOLO XVI.
Pei' fare un^ altra sorte di colore
per colorire V opere dorate.
Jl iGLisi matita rossa, verderame, salni-
tro y vetriuolo e sale armoniaco ; ma la
matita debb' essere , per la metà, più delle
cose sopraddette, pigliando a peso ogni
cosa. Debbesi poi pestare ciascuna delle
dette materie da per se, sottilmente ^ e pe«
ste che sieno, stemperìnsi con acqua chia«
ra, facfndosi liquide in guisa di un savore;
e di mano in mano^ che detto colore si
stempera , vadasi macinando così liquido ^
tanto ch^ tutte le dette materie si veggano
bene incorporate insieme ; e come ciò si
sarà conseguito , pongasi in un vaso inve-
triato , un poco grandetto , perciocché la
detta materia rigonfia ; e se, si avesse un
vaso dì vetro , tenendolo turato , sarebbe
meglio. Per mettere poi in opera il detto
colore sopra il dorato , bisogna avvertire ,
che il lavoro sia dotato bene , altrimenti
diventerebbe nero, essendoché il colore in
se è gagliardo ; ma essendo ben dorato ^
farà colore bellissimo. Per mettere detto
colore sopra 1 dorato^ si debbe distendere
con un pennello , tantoché cuopra il dora-
to, avvertendo, che il colore non tocchi
F argento ^ perciocché diventerebbe vlzvqx
l44 CELLI5I
Piglisi poi il lavoro > iqcibrattato ch^egli sia
di colbre, e mettasi sopra il fuoco ^ e quando
il lavoro fummica più forte y allora sì getti
nell'acqua chiara; ma avvertiscasi . di non
lo lasciare sfum<nare aflfatto j perciocché
ioangerebbe 1' oro e non piglierebbe.
CAPITOLO XVIL
Per fare un colore per le dorature , che
Steno abbondantemente cariche (toro^ e
per far cera per dorare.
XXtsghiaràta che si sarà V opera , come,
di sopra s' è detto j dorisi , e dipoi destra-
mente si rasciughi ; né sarà difetto non la
rasciugando io tutto ) basta , che resti solo
senz^ argento vivo. Debbesi poi di nuovo
rischiarare; e rischiarata che sia y scaldisi
sopra fuoco di brace , tanto che vi si di-
stenda sopra una cera con . comodo caldo y
che qui di sotto sarà notata^ e sMnsegneràil
modo di farla. Come si sia distesa la detta
cera^ lascisi freddare Y opera, dipoi rimettasi
sopra il fuoco, tanto che arda la cera , avver«
tendo che la dett* opera nv>Q diventi rossa, ma
solo si consumi la cera^ come s^ é detto. Ciò
fatto , piglisi r opera cosi calda e spengasi
in gruma di botte e acqua , che fra gli ore-
fici si dimanda grumata; e quando sia spen-
ta^ lascisi stare per breve spazio, indi, si
spanni con una setola nelF acqua fresca^ ed
OREFICERIA. 145
appresso da vantaggio ìsi rischiarì. Ma se si
avrà opere ben dorate^ si darà loro il co*
lore y che qui di sotto s insegnerà ; imperò
ai dirà prima il modo di far la cera^ che
dì sopra s'è detto.
Tolgansi cìnqae once di cera nuova,
matita rossa mezza oncia , altrettanto ve-
trìuolo Romano, tre danari di ferretto di
Spagna y cioè il peso di un ducato , e più
presto vuol essere scarso, verderame mez-
z'oncia, e tre danari di borace. Tutte le
dette cose si debbono porre a struggere
colla ceraj é poi si debbe dare nel modo
sopraddetto , e netta che l' opera sarà dalla
cera^ se le darà il sottoscritto colore.
CAPITOLO XVIII.
Modo ^ fare un altra colore
per colorire il dorato.
D,
^EBBESi torre mezz'oncia di vetri uolo
B'omano, altrettanto salnitro, sei danari di
sale armoniaco , e mezz' oncia di verdera-
me. Vuoisi prima pestare sopra una pietra,
senza adoperar ferro , il sale armoniaco be-
nissimo , dipoi rimacinarlo in compagnia
delle dette materie tutte insieme. Abbiasi
in oltre un pentolino invetriato, dove si
ponga la detta composizione, mescolandola
con tant' acqua, come se si avesse da' fare
Canini Ben9. Voi. II L io
1^6 CELOMI
una salsa ; e posto che ^i sarà il detto peu?
tolino al fuoco, sempre si debbe con an^
Jegoetto mescolare la detta composizione ,
e non gli dar gran fuoco, ma farla bollire
per tanto spazio, che si cammini cinque
passi; perciocché ricrescendo assai, si gua-
sterebbe. Lascisi freddare da poi e, come
di sopra s^ è difillo , s' adoperi.
CAPITOLO XIX.
Modo di fgre un colore alle dorature j^^
disperso da i sopraddettL
xJtqvo che si sarà rascìutta F opera coti
un panno bianco, piglisi una o due penne
di gallina , e imbrattisi in guisa , che si
avesse a colorire col verderame Toro. Indi
si ponga sopra il fuoco, e quando si vegga
r^sciutta e ch^ ella fumerà forte , non si la-
sci Qnire di sfuniare, ma cosi calda spen^
gasi in acqua frasca ^ dipoi si spanni , e cosi
fredda si faccia di nuovo {>ollire nella gru-
mata per brevissimo spazio. Ciò fattp, tor-
nisi di nuovo a spannare in acqua, e brur
niscasi dove più aggrada : e questo è il più
bel dorato e il più vfigo colore , che si
possa fare, oltreché si co^nserya liiugamenlei
OREFICERIA. |47
CAPITOLO XX.
// mqdo j che si dehhe tenere^ svolendo la-
sciar bianco V argento in alcuni luoghi.
X\iscHiARATO , che r artefice. avrà nel la-
voro, dove non vuole, che si appicchi Te-
ro , debbe pigliar certo fior di farina , il
quale ne' mulini si raccoglie dalle loro mura
o risalti o cornici della stanza, dov'eglìsi
posa y il quale in Fiorenza è detto fuscello.
Questo si stempera in guisa di savore 3 dopo
con un pennellino di vaio si debbe disten*
dcre alquanto grassetto per tutti que' luo*
ghi j dove altri vuole , che V oro non s^ ap-*
picchi; e ciò fatto si rasciuga bene a lento
fuoco , indi si dora sicuramente. Non vo«
lendo adoperare detto fiore di farina si può
usare quest^ altro modo. Piglisi del gesso in
Eane, che adoperano i calzolai, e pestisi
eoe ) dipoi si riduca come savore con colla
ccrvona ovvero con colla di pesce, r;he è
migliore; ma dell'una o deir altra, che si
pigli, bisogna avvertire di mescolarla con
assai acqua , acciocché la colla perda la sua
gagliardia. Per non lasciar liulla , che possa
rendere utile alP artefice, dico ^ che quando
si vuol dorare e lasciar bianco V argento »
si può adoperare il fior di farina. E questo
è quanto ci occorre dire sopra tali cose ;
XM la principale importanza è in saper
l48 CEZ^LIlfl
ben lavorare V opere ^ percìoccliè quest' art^
di dorare si paò lasciar fare a quelli, che
per proprio esercizio se l' hanno eletto , e
per isfuggìre ancora gP impedimenti y che
tal arte arreca^ come di sopra si disse.
CAPITOLO XXI.
ffodo f acuissimo e bellissimo per fare (wqua
da intagliare le piastre di ramey in vece,
di far col bulino.
1
L RENBAsi una mezz^ oncia di silimato^
nn^ oncia di vetriuolo , una mezz^ oncia d^ al-*
lume di rocca , altrettanto di verderame , e
col sugo di sei limoni incorporinsi le so-
praddette cose^ poiché saranno ben polve-*
rizzate; le quali si debbono fare alquanto
bollire ^ avvertendo y che non si riseccassero
troppo, e debbono bollire in una pentola
invetriata: e se non si avessero timoni, pi-
glisi aceto forte ^ che tanto monta. Poiché
$i saiÀ bene spianata la piastra di rame y
piglisi vernice ordinaria ^ cioè di quella , che
si vernica i fornimenti da spada ; e questa
poni a scaldare dolcemente , facendo strug-
gere con essa un poco di cera^ la quale
£i, che disegnando poi sopra la detta ver-
nice non ischizzì, £ mettendo la vernice
sopra jl rame^ ^vvertisica^i ^ che non sia
troppo cotta; e poiché $i sar^ io^tgliata^
volendo m.ettjer l'acqua^, faccia3Ì un orlQ di
ORjSFtC<tA. l49
cèi^à alia statnpa , né si lasci àtare la detta
acqua più dì mezz' ora ; e se non fosse la
stampa profonda e incavata a tuo modo ^
rimettasi P acqua di nuovo, e dipoi levatala ^
nettisi bene con una spugna. Sopra la ver-
nice si disegna con uno stiletto d^ acciaio
temperato } ìndi si leva la vernice di sopra
la stampa con olio caldo e con una spugna ^
gentilmente , acciocché l' intaglio non si con«
sumi; poi si possono adoperar le dette stampe
nel modo*, che si adoperano quelle , che
sonò intagliate dì bulino; ben è vero, che
siccome questo modo si fa colla facilità y
che si è detto ^ basta ancora meno che non
faranno gl'intagliati, che col bulino si fanno
neUe piastre di rame.
CAPITOLO xxn.
Per far acqua ^ partire.
jtVbbunsi otto libbre d'allume di roCOft
arso ed altrettanto dì bonìssimo salnitro e
quattro libbre di Vetriuolo Romano , e tutto
si ponga nella boccia; e colle dette cose
vi si ponga ( secondochè altrui detta la di^
screzione ) alquanto d' acqua forte , che sia
stata adoperata. Per far poi loto bonissimd
per la boccia, piglisi stallatico di cavallo ^
scaglia di ferro e terra da far >mattoni ^
tanto dell'uno quanto delP altro; e queste
cose si debbono incorporare con torli d' uovo^
1^0 CEtLINl
e ciò fatto 9 distendasi sopra la boccia tanto
quauto ne piglia il fornello, e diasegli fuoco
temperato nel modo y che si usa di fare*
CAPIT OLO XXIIL
Per fare il cimento reale.
Avendo pigliato Toro, che altri, vuole
affinare 9 battasi sotlilmente , e facciasene
pezzuoli della grandezza d^uno scudo^ Al-
cuna volta si usa di torre gli stessi scudi,
é se ne fa cimento , affinandogli di venti-
quattro carati. Ed è di. tanta virtù questo
semplice cimento y che egli ha tratto tutta
la le^a del detto scudo e non ha levato il
segno della stampa , ma solo ha tolto quel-*
lo j che in esso era di brutto , cioè la le*
ga. Fassi adunque il cimento in questo mo-
do. Pigliasi gruma di botte e matton pesto ^
e queste cose si riducono alquanto liquide :
indi si fa un fornello tondo j e nelle com-
messure del detto fornello, fra Tuno e Tal-
tro mattone, sì distende il loto; e ciò fatto
vi si none i pezzuoli delF oro o veramente
scudi oattuti , e sopra dett^ oro o scudi si
gone altrettanto della detta composizione,
>ipoi per lo spazio di ventiquattr^ ore se
gli fa contino va mente fuoco ; ed io tal guisa
diviene di ventiquattro carati. Ma qui av-
vertisca il discreto lettore, che ciò non è
da me detto con intenzione d' insegnare <^
OREFICERIA; I^t
he Vàòqùa forte a quelli^ cné volessero
fat professioDe di partitori^ e il medeaiiud
diciamo del ciménto ; ma solamente iqtefi-
didmo di darne agli artefici - tanto lume ,
<manto se ne possano servire nelParte del-
r oreficeria : perciocché possono occorrere
infinite cose, dove apporterà loro utile aver
notizia di tali cose, siccome intervenne a
me in alcune figurette d'oro^ d^ altezza di
Un mezzo bracdio^ che io lavorava in Psl^
ligi pel Re Francesco , le quali essendo vi'
cine alla fine , nel ricuocerle , come occoF'*
re, avendo preso una fumosità di piomba
si sarebbono rotte in guisa di vetro, se ìù
Jion r avessi vestite del sopraddetto loto di
cimento , dando loro fuoco temperatamen-^
te) dovechè colla detta diligenza le tenui
a liberare da tale impedimento : e perciò
non debbe il valente artefice schifare di
saper tutte quelle cose ^ eh' egli possa ap-«
proprìare al suo esercizio.
J^ihe del primo Tratiatù*
52
TRATTATO SECONDO
DI M.
BENVENUTO CELLINI
SOPRA
V
LA SCULTURA.
CAPITOLO L
t
\- ^ /
2?e' i^arj modi di far le statue di terra per
gettarle di bronzo; delle loro camice di
cera^ toniche e coperture di stagnuolo;
del preparare la terra ^ di che prima si
fanno dette statue j e qual sia più fi prò*
posito; de* cavi di gesso; delV armadure
di ferro ; degli\ sfiatatoi , e del modo di
cuocere le forme.
INe^suno è, a cui non si renda mani*
festo, che lascia protezióne y che gli ottimi
e yirtuosi Principi' pigliano delle buone ar^
ti; è quella ; che porge a esse auguqaeKlto^
\
ìS\ CÈLtlNf
e che mediante il loro aiuto fioriscono
gF ingegni eccellenti. E perchè i nostri
tempi non hanno mestiero di proccurare
gli esempi antichi , diciamo , come nel se-
colo di Cosimo primo de' Medici (percioc-
ché egli ninna cara ebbe maggiore^ che
sovvenire con reale liberalità ciascuno , che
egli vedesse inclinato a seguitare le virtù)
fiorirono molte nobili arti , ma particolar-^
mente quella del disegno ^ essendoché id
que' tempi Filippo di Ser Brunellesco cavò
Maravigliosamente la buona architettura delle
tenebre ^ e Donatello e Lorenzo Giberti ne
mostrarono, in marmi e in bronzi con grande
artifizio lavorando, come eoo gli antichi
concorrere si potesse^ A Cosimo successe
Lorenzo^ della medesima stirpe e del me-
desimo valore , il quale sovvenne ed aiutò
lo stupendo Michelagnolo Buonarroti, che
poi sotto Giulio Secondo , Papa , ebbe gran^
dissima occasione di dimostrare quanto fosse
la sua eccellenza e la sua virtù. Medesima^
mente de^ tempi del detto Papa fiorì Bra-
mante y architettore di sommo pregio , il
3aale essendo mediocre pittore y ma uomo
i svegliato e singoiar giudìcio nelFarte
deir architettura ^ ciò conosciuto da quel
Pontefice, cotal occasione gli diede ^ ch^egli
{)ervenne a quel grado di lode ^ che per
e sue opere egregie si scorge : e detto Bra-
mante veramente fu quello, che con anirùa
nobile e benigno fece conoscere quanta fosse
la virtù e l'artifizio del Buonarroti, propo^
nendolo nel dipignere , che si aveva da fa^
re; la cappella Papale a détto Giulio Seconda
SCULTURA. 1 55
Ma lasciando da parte la menzione, cbe si
potrebbe merìtamente fare di molti splen-
didi Principi^ cbe ardentemente innalzarono
e premiarono le vìnrtù , fra^ quali come due
fulgentissime gemme risplendono Leone De-
cimo y Papa y e Francesco Primo , Be di
Francia ; in questo luogo , come conveniente
al nostro proposito, solamente diremo coq
gran ragione del giusto e magnanimo Co-*
simo de^ Medici , Duca di Fiorenza e di
Siena ; il quale non pur seguitando il lo-*
datissimo costume de* suoi passati , ma di
gran lunga sopravanzandogli, ba dato nei
suoi tempi occasione a ciascuno , cbe molte
belle arti ( cbe quasi andavano abbando-
nate errando) nella sua nobilissima patria si
possano render chiare, e quelli per mezzo
delle loro opere acquistarsi perpetua gloria^
Il cbe pur dianzi a me intervenne per la
nobilissima occasione , cbe egli benignamente
mi diede nel Perseo , statua di bronzo cbe
io feci per suo comandamento^ dove da
questo generoso Prìncipe mi fu dato modo^
onde io potessi acquistarmi (essendoché io
abbia bene operato) perpetua fama; per-
ciocché la detta statua risiede tra T opere
di tre eccellentissimi artefici , cbe dinanzi
al suo rea! palagio sono poste , siccome fu-*
rono Micbelagnolo , Donato e '1 Bandinello^
Similmente il favore ^ grandissimo , che io
ho veduto prestare continuamente, a ogni
maniera di virtuosa facultà da Francesco ^
mentissimo Principe di Fiorenza , e da £r-
nando, Cardinale^ suoi diguissimi figliuoli,
è atato vera cagione , che io ( sprezzato il
1 56 C&LLINI
carico degli anni ed ogni altro impedimen-
to) mi sia posto a scrivere i presenti Trat-
tati per rendermi in parte grato e cono*
scente degli infiniti beneficj , che io ricevo
ad ogni ora dalla real cortesia di questi ot-
timi Signori. Ed avvengachè da me sia stato
trattato di cose, che a molti certamente
saranno note, non. per questo mi fo a cre-
dere , che dagli intendenti e discreti debba
per vana essere riputata questa mia fatica ;
essendoché , oltre agi' infiniti segreti , che
io dimostro , ritrovati da me per lo mezzo
di una lunga pratica, pur sono il primo
stato , che per certa amorevole pietà , che
io sempre ebbi alle dette arti, ho proecu*
rato per cotal diligenza , che , come di già
dicemmo , elle possano lungamente vivere e
schivare gP infiniti impedimenti, a i quali
per cagione dal tempo tutte l' umane cc^e
tengano sottoposte. In questo secondo ra-
gionamento adunque si tratterà primiera*
mente dell' arte del gettar le statue di bron-
zo. Laonde per seguitare il modo, che fin
qui s'.è tenuto, cioè d' insegnare quella pra-
tica is^tessa , che io , mediante V opere da
me fatte j ho conseguita , dico , che in Pa-
rigi mi occorse di fare per Francesco, Re
di Francia -'alcune opere di bronzo, delle
quali parte furono da me finite , e parte
per diversi impedimenti, che occorsone,
restarono imperfette. Quelle , a cui si diede
fine, furono una statua di bronzo, di gran-
dezza di sette braccia, la quale era più che
di mezzo rilievo, ed appariva in un mezzo
tondo , pur di bronzo. Questa rappresentava
SCULTURA. 1 57
la Fontana Belio , villa aroenissìma del detto
Be^ nel qual luogo tali ornamenti si collo<«
carono; e dal sinistro braccio yì feci più
vasi ^ che spargevano acque'^ e col destro la
faceva posare sopra una testa di cervio di
tutto rilievo, significando per quei vasi le
diverse acque, che in quel fonte concorro-
no, e per lo ceryio la specie particolare di
quegli animali , che in detto, luogo fanno
dimora. Poi da una parte dei campo di
detto tondo vi apparivano parecchi bracchi
e levrieri, e dall'altra vi erano adattati al<
cuni capriuoletti e cigoali. Sopra al detto
mezzo tondo vi erano ancora collocati due
angioletti , che avevano in mano ciascuno
una facella , e molt^ altri ornamenti ,^ che
J)er brevità si lasciano. Venendo ora a par««
are del modo, che io tenni in far dett'o»
pera, dico, che (secondochè si usa) io la
feci di terra della grandezza appunto , che
ella aveva da e^ere* e come io la ved^i
soppassa e ritirata per la grossezza dì uà
dito, discretamente l'apdai ritopcando e
misurando ; di poi la co^si gagliardamente ^
e dopo ch^ella fu cotta messi sopra esssk
una grossezza di cera eguale, manco grossa
di un dito. Dipoi con cera medesimamente
Fandava accrescendo, dove io vedeva es-
serne bisogno, non mai levando , o poco y
di quella prima camicia, che io aveva messo
di cera) cosi con gran diligenza la tirai a
fine. Ciò fatto macinai del midollo arso di
corna di castrato^ e con esso, per la metà
di detto midollo, macinai gesso ^ tripolp e
ftUr^ttanto di scaglia di ferrp; cosi akacimte
\
/
1 58 CBLtlNI
benissimo le dette tre cose, le mescolai in*
sieme con un poco di loto di stallatico di
bue o di cavallo, passato per uno staccio
sottilissimo con acqua pura , il quale rendè
solamente l'acqua tinta di detto stallatico^
che è quella, che serve a tal bisogno.
Avendo adunque mescolate le dette cose e
fatte Uquide , presi un p^nneUo di setole
di porco, e adoperando detto pennello da
quella parte , che la setola sta dentro nella
carne, per* essere più morbida^ detti una
volta a tal opera di cera, colle d^tte ma**
tene stemperate in guisa di savore, met-
tendo tal composizione egualmente. Dipoi
lasciatala seccare le ne detti un' altra volta ,
sempre lasciandola seccare , imponendo so-
pra V opera tal mestura quanto è grossa una
costola di coltello ordinario. Dopo questo
feci a dett' opera una camicia di terra, grossa
un mezzo dito, e quella lasciata seccare,
tornai a farlene un' altra grossa un dito ,
ìndi tornai a porvene un'altra d'altrettanta
grossezza. La terra , che si adopera per far
tali cose , cosi si debbe preparare. Piglisi di
quella terra , che comunemente adoperano
i maestri da fare F artiglierie , la quale si
suol cavare di luoghi diversi; perciocché
alcuna se ne ritrova essere appresso de^ fiu-
mi j che è alquanto arenosa , ma per tale
effetto non vuol esser trpppo arenosa, ma
basta , eh' ella sia magra , essendoché la
terra grassa e delicata serve per vasellami,
e per tal effetto non è buona. Ma la buona
si ritrova ne' monti e nelle grotte , e in Ro-
ma, in Fiorenza e in P^rri^i particolanQerite
scuiiTuiiA. iSg
s6 ne trova della perfettissìn&ia, ed» è di lai
bontà , che niuna dell^ altre ho io mai ri^
trovata co^ì a proposito. La terra , ch^ si
cava delle grotte , è migliore di quella , che
si piglia vicino a' fiumi, ed a volerla pre-
parare per potersene servire , bisogna la*
sciarla seccare , e dopo che sarà secca ,
staccisi con uno staccio alquanto radetto^
acciocché n^ escano alcune pietru^ze e4 aUr^
simiglianti cose. Ciò fatico si debbe mesoot
lare con esssL cimatura di panni ^ la quale
vuol esser per la metà manco della detta
terra. E qui avvertisca P artefice a quello^
che io son per dire; perciocché io gì' inse-
gno un segreto da me ritrovato per mezzo
dell' esperienza , il quale mi è riuscito in
tutta perfezione , ed è que3to> Poiché si
sarà mescolato la terra colla cimatura , si
debbe bagnare tanto colP acqua, ch'ella di-»
venga come psfsta da far pan^e. Dopo si
debbe battere con una. verga di ferro, grossa
due dita, diligentemente (ed in questo con*
siste il segreto) perciocché ella si debbe mm^
tener molle per quattro mesi almanco ^ q
quanto più sta y tanta è meglio , perchè la
cimatura marcisce e divenendo cosi marcisi
fa essere la terra morbida come un unguen^
tp : la qual cosa essendo veduta da quelli |
che di ciò non hanno fatto sperienza , ^a*^
rebbe giudicata nocevole , e la terrebbono
per tenra troppo grassa y ma questa gras^
sezza non impedisce il ricevimento del me^
tallo ^ anzi l'accetta più volentieri senzci
comparazione dell' altra terra , che come
<^UQS(a iiQjj §'è l?>3qi9ta ^narcire^ ^iccpm? \9
|6o CELLINI
diverse òpere ho sperimentato^ che qui <£L
sotto Si diranno. Un altro modo diremo da
far figure , che vadano gettate di bronzo ,
le quali abbiano da essere grandi- cfuanto il
vivo o poco più. Poiché si sarà fatta la fi-
gura colla terra sopraddetta y mescolata con
cimatura j per essere la migliore y come s^ è
detto y e che la figura si sarà condotta colle
debite diligenze, lavorandola parte che la
terra sarà fresca e parte che si sarà comin*
ciata a seccare y volendola gettare di bronzo,
si debbe dare alla detta statua una coperta
di stagnuolo da dipintori, il quale, è a cia-
scuno notissimo. £ il modo da preparare
detto stagnuolo, per appiccarlo sopra la
statua di terra , è questo. Piglisi tanta cera
quanta trementina e facciasi struggere in
xin calderone ovvero in un paìuolo , e
quando ogni cosa è bene strutta, diasi so*
pra la detta statua di terra, cosi bollente ^
con un pennello di setole di porco sottilis-
simamente e gentilmente, acciò non si gua-
sti muscoli, vene o altre minuzie, che^ di-
mostrano la diligenza ed arte del maestro.
Ciò fatto, sopra vi si debbe appiccare il
detto stagnuolo : e perch^ egli è necessario
di fare un cavo di gesso sopra alla^ statua
di terra, e ugnerla con olio; perciò biso-
gna fare la coperta di detto stagnuolo , il
quale non vi essendo , malvolentieri la di-
fenderebbe dair umidità e forza del gesso ,
dove per mezzo di tal riparo se ne difende
benissimo. Mentrechè per simil via si cam-
mina, viene r artefice non poco a ire avan-
uado,. essendoché dopo che sarà gettata k
SctJLTUKÀ. l6l
figura di bronzo , restando per mezzo delle
dette diligenze il modello della statua di-
nanzi finito, presta comodità a quelH, cbe
ti aiutano rinettarla, di governarsi secondo
il detto modello 3 dovechè, non vi essendo,
oltre al cohsumarvi più tempo, si condu-
cono con manco perfezione , non avendo i
lavoranti T esempio innanzi. La qual diffi-
cultà intervenne a me^ poiché ia ebbi get^
tato la statua di Perseo , di bronzo , di cui
poco dianzi feci menzione ; perchè per es-
sere ella di altezza di più di cinque brac-
cia e fatta da me nel prìnu) modo, che ab-
biamo insegnata, cioè fatta prima di terra
e finita magra circa un dito, cotta e po~
stavi la cera sopra, fu gettata tutto di un
pezzo. Dovechè per cavarne l'anima, ac-
ciocché restasse più leggieri, gli feci pa-
recchi buche ne^ fianchi, nelle spalle ^e
nelle gambe le quali buche, poiché io
ebbi finita tutta la sua tonaca di cera, fui
costretto a levare di quella detta cera he
detti luoghi tanto quanto io voleva , che mi
restasse aperto per poter tenere Tanima ia
mezzo appunto ; le quali cose m' impedirono
di poter, mantenere intero il modello* Ma
per tornare al proposito nostro , diciamo ,
che alla slatoa, che in questo secondo modo
insegniamo di fare, poiché ella sarà finita
di terra , si può ancora appiccare detto sta«<
gnuolo con pasta , con un pennello sottil-
mente; )a qual pasta si fa di fior di farina
nella guisa di quella , che adoperano i cal^
zelai : così di mano in mano, che altri vuole
appiccare lo staguuolo, allora si debbe fare
Celimi Bem\ f^oh HI. n
|62 CBLU9I
il« cavo di gesso , il quale si fa in diversi
modi , ma il più sicuro e migliore mi pa*
re , che sia il far pezzi piccoli tanto quanto
comporta quello^ che Tuomo vuol formare ,
siccome sono i piedi /le mani e la testa ^
dove intervengono molti sottosquadri. Que^
sti pezzi piccoli voglion esser fatti con gran-
dissima diligenza, e, mentre che '1 gesso è
fresco j in ciascuno de^ delti pezzi si debbe
mettere un filo di ferro , doppio , il quale
avanzi fuora tanto quanto dentro vi si possa
mettere uno spaghetto ; perciocché il ferro^
che sporta in fuora, ha da restare in guisa
di una picciola maglietta. Debbesi ancora ,
ogni volta che sìa fatto uno de* detti pezzi
e rappreso il gesso bene , provarlo , e pro-
vato che sia ^ vedendo che esca senza gua-
stare nessuna minuzia delF opera, rimettersi
il detto pezzo al suo luogo , accostandosi
bene, acciò non vi resti qualche vacuo ^
perciocché verrebbe T opera scorretta. Così
adunque seguitandosi di fare di «lano in
mano tutta la qnàìitità de^ detti pezzi (cosi
quelli, che sodo a sottosquadri, come mol«-
t altri y che si richieggono di fare nella te^
sta , nelle mani e ne* piedi ) jcon essi si
debbe andar compartendogli in guisa , che
piglino la metà della .^statua ^ dico la metìk
per la lunghezza ^ la qual lunghezza s^in-»
tende ogni volta che sia coperto il bellico^,
le poppe insiao a* fianchi y e da basso in*
sino alla metà de^ talloni. Ma qui si debbè
avvertire y. che con detti pezzi piccoli la
statua non si ha da coprir tutta, ma di essa
si lascia scoperto gran parte ^ delle poppc^
I
/
SCULTURA. r63
pSirte dei carpo , delle cosce e delle gambe,
proccurando che detti pezzi, che si metto-
no y sieno posti con tia certo modo unito ,
sit;chè non facciano sottosqaadri. Perciocché
sopra questa metà di stàtua vi si dehbe get-
tare una camicia di gesso tenero, non più
grossa èhe due dita, debbesi por cura , prima
olle sopra ai getti detta camicia, di vestire
q^el' poco^ di quelle magliette di ferro, che
dicemmo lasciarsi fuòri di que' pezzi picco-
li-; le quali si debbono ricoprire con un poco
di terra , acciocché nel mettere della cami-
cia non venissero a impedire^ volendola poi
cavare. Messo che si sia la terra , si dehbe
poi con olio d^ uliva ugner bene con un
{^anello tutta quella parte, che debbe ab-
bracciare la camicia; perchè ciò fatto , e
rappreso che sia bene il gesso, con molta
facilità uscirà la detta camicia. Come una
volta si sarà provato , eh' eli' esca , rimet-
tasi a suo luogo, e finiscaci l'altra metà
del : cavo nella maniera , che s' è detto , che
far si debbe per formar quella parte dinanzi :
cosi si seguiterà di far dalle bande di die*
tro 'j e come tutto il cavo sia finito , piglisi
una corda rinforzata^ alquanto grossetta, e
da capo a pie leghisi tutta la statua con
molte avvolture, e inoltre non essendo la
corda ben serrata , ristringasi con assai quan-
tità dr piccole biette di legno ; e ciò si fa ,
percirò non si torca il gesso, perchè la fi-
gura verrebbe bieca; laonde per tal cagione
cotanto si debbe tener legata^, che il gessò
abbia perduto gran parte della sua umidità,
e ^ che il cavo non si possa torcere, Poich' ei
r64 CELLIKI
sia rasciutto , svolgasi la corda, e aprasi ià
forma y la quale viene a esser quella prima
camicia 9 che alle figure piccole sì può. fare
di due pezzi soli , intendendo per figure
piccole quelle, che sieno grandi quanto il
VÌVO; e maggiormente essendo più piccole
del vivo: perciocché Saria pii\ facile ti farle
di due pezzi , ma y essendo alquaùlo mag«
glori del vivo y è necessario farle di quattro
pezzi y cioè un pezzo insino all' appiccatura
della mttura, e un altro pezzo dair appicca-
tura della natura in giùy i quali pezzi si
fauno soprapposli due dita l'uno sopra l'aU
tro , perchè meglio possano congiugnersi in-*
sieme: i due altri pezzi s^ intendano essere
le parli di dietro. Come fatte saranno le
dette diligenze^ aprasi la camicia alla statua,
e mettasi a rovescio in teiera, cioè detta ca-
micia , facendo che il concavo venga di so-
pra ; indi si pigli a uu per uno tutti quei
pezzetti; spiccandogli dalla statua , e met(ansi
nelle casse loro, che saranno fatte in detta
camicia; e levato da detti pezei quel poco
della terra ^ che si messe sopra quelle n\a-
glie di ferro y si porrà cura , dove la terra
avrà lasciato un poco di margine o cavo,
che si dimostri, ed in quel luògo appunto
si debbe.fcire un buco con un succhiellino
nella detta camicia ^ appiccando a ognuna
di quelle magliette di ferro nn pezzo di
cordicella rinforzata^ la quale di poi si mette
n^l buco , che si fece nella camicia col soc-
cbiello; indi con un poco di fuscello si lega
ciascun pezzo al difuori della camicia. Cosi
essendo vestita la camicia di tutti que' pezzi,
^ Scott oftii. i65
tht tenevano i SDttòsquadri ^ e avendo nato
tutto il cavo sottilmente con un poco di
lardo, vi si debbe commettere una gres-
sesza di una costa di coltello o di cera ò
di terra o di pasta.^ la quale si domanda la
lasagna^ e fassi in questo modo. Piglisi
un'asse di legno, e con gli scarpelli intà-
glivisi un quadro di cavo, quant'è grande
la palma della mano, e di grossezza quanto
una buona costola di coltello*, . come s^ è
detto, più o meno che si vuol che venga
o grossa o sottile la statua. Così di mano
in mano, che si sarà formata la lasagna nel
detto legno , si andrà commettendo nel cavo
della' statua, sicché Tun pezzo tocchi T al-
tro. Dopo questo si debbe fare un'armadura
di ferro , la quale serve per Y ossatura della
statua : e la detta armadura debb^ essere
tortuosa secondo là forma, che dimostra re
gambe, le braccia, ilcorpo e la testa' della
statua. Ciò fatto, piglisi della terra magra ,
battuta , con cimatura , gd a poco a poco
si vadaf mettendo «opra dett' ossatura , sec-
candola o per mezzo del tempo o del fuoco,
tanto ch^ellà sia piena quanto tiene il ca-
vo: il che con gran diligenza si prova molte
volte ora da una banda ora dair altra : e
come là detta ossatura sÌ9 piena, sicch'ella
tocchi tutta la lasagna , ella si debile cavare
e fasciarla di un sottil filo di ferro tutta
quanta da alto a basso, e poi ricuocerla
tanto che la terra si vegga ben cotta; la
qual parte si domanda il nocciolo della fi-
gura. Come detta ossatura sia ben cotta,
diasele sopra un sottilissimo loto , il quale
.l66 CELLINI
SÌ fa d* 0880 macinato e mattoo pesto , tua*'
grò , mescolato con un poco di terra intrisa
con cimatura. Ciò fatto , diasele un altro
poco di caldo con fiamma di fuoco , tanto
che il detto loto ancor esso sia cotto , e poi
8Ì tragga la lasagna del cavo, avvertendo di
lasciare in quattro luoghi almanco alcuni
.ferri legati alla detta ossatura j perciocché i
detti ferri mantengono tutto li nocciolo ^
8Ìcchè egli non si può muovere Debbesi
ancora nel cavo di gesso fare il posamento
de' detti ferri, che avanzano. Poi dopo le
dette preparazioni (come avvertimmo.) si
caverà tutta la lasagna e si metterà ne^ detti
cavi di gesso^ avendogli di nuovo unti con
lardo sottilmente, e che sia alquanto caldo ^
perciocché sMncorpora meglio nel gesso. Inatte
che si saranno poi le bocche , dove si vuol
mescere la cera, serrisi il nocciolo dentro
nel cavo , e serrato che sia , dirizzisi la sta-
tua, facendpgli quattro sfiatatoi per lo man-
co, cioè due da' piedi e due dalle mani, e
quanti più se ne farà, più sicuro sarà F ar-
tefice^ che la stàtua s'empia dì cera. Ed in
tal guisa si fanno detti sfiatatoi. Debbonsi
i due primi fare nella più bassa parte dei
piedi , e se si avrà la statua collocata sopra
qualche poco di posamento, con più faci-
lità ti verranno fatti. Facciasi poi con un
succhielletto gròsso il buco degli sfiatatoi
tanto a vantaggio, che penda in verso il
basso } perché , così essendo , non veri à a
restare nessuno imbratto dentro alla Torma.
Dentro a' delti buchi vi si debbe porre can-
nelli di canna, i quali sicno adattati in guisa
cbe ai vadano rivolgendo e legando Tua
cannello nell^ altro ^ sicché per esser messo
il cannello per la parte di sotto y egli si
TeogA a rivolgere in modo , che sia volto
«lUo msn verso il diritto della statua ^ e cosi
a- tatti gli aUri^ che vi si pongano^ s^usi il
medesimo modo. Dove si lega il cannellp e
nel. buco, dove egli si mette ^ abbiasi av**
vertenza d^ imbrattarlo bene con un poco di
terra liquida tanto eh* ella lo possa difen-
dere 9 sicché egli ritenga la cera e non la
versi* Fatto le dette diligenze ^ mesciasi ar«
ditamente la cera , purché sia calda e strnt«
ta 9 che , osservando i modi sopraddetti > sia
la statua in qual difficile attitudine esser si
voglia, facilmente verrà piena* Poiché la
forma sarà piena ^ lascisi per un giorno in-
tero benissimo freddare ^ ma se sia di state^
lascisi stare p^r due giorni; e come sia fred*^
da f sciolgasi diligentemente dal legame ^ e
medesimamente sciolgansi poi que^ piccoli
spaghetti^ che tengono que' pezzi di dentro 5
che son fatti per i sottosquadri ^ come di
già dimostrammo; ed avendone sciolti la
metà, gentilmente si comincerà a tentare la
prima parte o dinanzi o di dietro: e perché
per lo raflreddami nto 9 che averà fatto la
cera ^ si sarà ritirata ^ quànt' é I9 grossezza
di un pelo di cavallo almanco ; perciò si
renderà più facile a spiccare dalla statua,
quella prima veste; la quale spiccata si po-
serà in terra ^ e dipoi si farà all' allra parte
le medesime diligenze. Ciò fatto ^ mettansl
sopra due caprette di legno tanto basse |
quanto T artefice vi possa cornar sotto colle
/ . ^
i68 G^LLmi
maaiv; iiidi si comìnci a spiccare a uno a
uno dalla statua tutti que^ pezzi ^ che sa-
ranno con questa maglietta dì ferro e con
quello spago appiccati alla detta maglina;
e ciò fatto, perchè- restano nella statua aU
cune bavette causate da^ detti pezzi y puli-
tamente s'andranno rìnettando^ e con di li*
genza s^ andrà rÌY€dendo tutta la statua : e
come si sarà r artefice risoluto di non usarle
d'intorno altra diligenza, facciansi di cera
tutti quegli sfiatatoi, che hanno da essere
intorno alla statua^ innanzichè se le faccia
la tonaca di terra ; e ayvertiscasi a fargli
tutti , che pendano verso il basso^ perchè
dipoi nella tonaca , cioè nella veste ultima y
facilmente colla terra si rivoltano all' insù:
e la ragione, perchè gli sfiatatoi vogliono
pendere al basso , è questa , perciocché con
maggior facilità se ne cava la cera ; laonde
stando altrimenti , sarebbe necessità di vol-
gere e rivolgere la forma , e verrebbe per-
ciò a patire e portar perìcolo di guastarsi;
dove, cosi governandosi T artefice, verrà
sicuro da tali impedimenti. Debbesi ancora
avvertire a questa, come cosa di grandis*
sima importanza, che nel cavar la cera si
faccia, che il fuoco sia temperato tanto,
che la cera non ribolla nella forma , anzi
esca senza violenza; e quando sarà tutta
uscita , diasi alla forma , ancora , temperato
fuoco fintantoché altri si assicuri , che tutta
r umidità della cera sìa fuora. Poi ardita-
mente se le può dare buon fuoco , facen-
dole d' intorno una vesta di mattoni , che
sieno presso alla forma a tre dita; e il fiioco^
SCULTURA. l6g
che se le fa ^ sia di legne dolci , com' è
ontano, carpine, pino, faggio, sermenti ed
altre specie di simili legni. Soprattutto fug-*
gasi dal cerro, dalla quercia 6 dai carboni ^
perchè il lor fuoco farebbe colar la terra ,
la <|ual terra , essendo condotta a tal ter-
mine , diventa come yetro^ se già non fos-
sero alcune terre ^ che hanno proprietà di
non co^are , siccome sono quelle , che si
adoperano alle fornaci de^ bicchieri ed alle*
fornaci de' bronzi, come a suo luogo di-
remo. Oltre a questo modo ve n^ ha un al-
tro alquanto più facile ; ma non così sicu-
ro, come il sopraddetto 3 e questo si è^ che
in cambio di far quel nocciolo alle figure
di terra , si - può fare di ^esso mescolato
con osso arso e con matton cotto pesto;
ma s' egli avviene , che il gesso sia di buona
sorte , il detto modo diventa più facile;
perciocché , invece di dare quelle vesti a
poco a poco alla terra , si può torre il gesso .
e farlo liquido colle dette cose mescolate
insieme, pigliando una parte di gesso ed
altrettanto infra osso e mattone, tacendolo
liquido come un savore ; la qual composi^
zione si debbe gettare in quel cavo sopra
la lasagna , e si rappiglerà isubito. Sciolgasi '
poi il cavo ne^ modi sopraddetti, e leghisi
tutto il nocciolo con filo di ferro , e cuo*
prasi il detto filo sottilmente con un savore
alquanto più liquido del primo , pur jdella
medesima sorta del sopraddetto. Ciò fatto,
«i debbe cuocere detto «nocciolo nel modo ,
che si fa quel di terra} e come sia bea
cotto , gettivisì sopra la cera con tutte quelle :
fJO CfitLlNl
diligenze^ cbe si debbe usare intorno al
cavo di gesso. Cavato poi che si sarà detto
cavo , avendo rìnetto la cera della statua ^
come s^è detto , e preparati medesi marne o te
i suoi sfiatatoi > si può nel medesìn^o modo
e colla medesima composizione del gesso
far la spoglia sopra la cera , che sia di due
dita e mezzo di grossezza « Inoltre si debb€
armare colle medesime listre di ferro, lar«
glie due dita; e pome sia armata , cuoprasi
di nuovo, dett^ armatura col gesso. Indi ri-
stringasi in un fornello fatto tutto di mat-
toni, e accomodato in guisa che/ dandogli
fuoco 9 se ne possa trarre la cera , facendo
una buca in terra da porvi un calderone
per ricevere la detta cera/ la quale si debba
trarre per li sfiatatoi; e come se ne sarà
tratta , allora si darà alla forma un buon
fuoco di legne e carbòni , tantoché la to<*
naca della statua si Vegga ben cotta ; ma
si debbe sapere > che il gesso si contenta
della metà manco fuoco , che non fa la terra«
Ben è da avvertire^ che nelle parti della
Toscana il gesso non e cosi a proposito a
far simili opere , come è in Mantova, in
Milano e in Francia; che in tali regioni è
eccellentissimo. E per tale imperfezione in
dette parti dr Toscana ha ingannato di va*
lenii artefici , che non sapevano la diffe*
renza^ di questi gessi; perciocché più d^ una
Tolta j adoperandolo > non poterono con*
durre le loro opere a desiderato fine ^ non
sapendo che se ne fosse causa ; perciò il
vaiente artefice debbe avere perfetta noti-
zia delie terre e de' gessi e similmente di
«ICUtTURA. l'JC
Ogni altra cosa necessaria al suo esei;cizio^
volendo esser lodato delle sue fatiche. Con
quest^occasioilè farò menzione d^una espe-
rienza osservata da me sopra le calcine di
Roma e di Francia ed in alcuni altri luo-
ghi, le qdalt quanto più si tengono spente
tanto sono migliorile fanno miglior' presa ;
laddove per lo contrariò q^ielle* di Fioren-
za, mia patria, vogliono subito spente esser
messe «in opera ^ e così fanno buonissima
E resa e sono molto a proposito, dovechè,
i^cia&dole aoprastare , perdono il Valore ;
e l'altre, quanto più sopràstanno , maggior
forza acquistano. Cosi si vede per simili
effetti, quanto T artefice debba essere os-
ft^vato.e. diligente ip far esperienza delle
jBaterie , (à^e gU occorrono d^ adoperare)
J poiché beois j6pje$ap secondo la regione, che
e produce, oangìaHO natura e fanno variato
effetto. Essendoci ora spediti delle soprad-^
dette cose ,. parleremo delle diligenze, che
ei 4e)>hf0no. u^are per gettar le. statue dì
bronzo , del far le fosse e le fornati , dei
preparare il bronzo, e df^U- altre grandi av-
Tert^nzé , che là ciò si debboiho avere.
tn2 CBLL1KI
CAPITOLO II.
Del modo di metter le forme nella fossa ,
e delle misure di essa fossa ; del porre
gli sfiatatoi^ e del riempiere la detta fos*
sa; del por le spine ; del murare il ca-
nale; delle diligenze da usarsi in prepa^
rare il bronzo ; e del riparare a diversi
accidenti, che in simili casi possono in^
tervenire.
, '
vJoME la forma delln statua ; che si faà
da gettar di In^onzo , sia condotta nel ter^
mine sopraddetto^ si débbe cavare una fossa
appresso alla fornace^ dinanzi alla spina;
la qual fossa debb^ esser tanto profónda^
che la forma della statua si nasconda tutta
in essa, ed inoltre debb' esser più bassa un
mezzo braccio y acciocché se le possa dare
il suo pendio ; e la bocca y la qual debbe
venire sopra la testa della statua y debb^ es-
sere almanco un quarto di braccio. Dipoi
che si sarà fatta la fossa con t^ misure
per altezza, e per larghezza uq^tìiezzo brac-
cio discosto dalla detta f^rtna da ogni ban*
da 9 piglisi la forma, che si sarà sfasciata
da que^ mattoni , dove si pose a cuocere ^
e dopo che sarà fredda, leghisi diligente-
mente con un canapo bastante a sostener-
la ; ed avendo posto una taglia a una trave
del palco e messovi dentro il detto canapo^
SCULTURA. 173
si débbe T artefice «ervire di ud argano pos-
sente a sostenere la detta forma. ]Ma per*
che in tal proposito mi si rappresentano
alcune cose ritrovate per mezzo deir espe-
rienza y non reisterò d' insegnarle. Essendo la
statua del Perseo (che io feci) della gran*
dezza , che s' è detto ^ perciò giudicai y che
fosse necessario porla nella fossa con due
argani, il che feci, e gli caricai ambedue
oon più di duemila libbre di peso: ma se
la statua sarà di grandezza fh tre braccia,
in circa , sarà bastante un argano solo , e
sebbene (non essendo la statua maggiore
di quello, che s^ è detto) si potrebbe fare
senz^ argano, non perciò è da assicurarsi
per cagiona de^ gran pericoli, ne^ quali si
potrebbe incorrere, essendoché si potrebbe,
muovere il -suo nocciolo, cioè l'anima di
dentro , e anche percuotere la spoglia di
fuori y dovechè adoperando Targano si sfug-
gono i' detti inconvenienti. Xevata adunque
che si sarà la forma col detto argano , pian
piano y e condotta alla bocca della fossa ,
allentisi tanto , eh' ella discenda nel fondo
della fossa ; e poich^ ella sia . ben ferma e
diritta , e situata la bocca (dove ha da en«
trare il metallo ) al diritto della spina , si
debbe trovare in prima li due sfiatatoi, chd
sono nella più bassa parte ^ e quelli imboc-
care con certi cannonetti , che si fanno di
trcrra cotta , i quali cannoni sogliono servire
per gli acquai : e perchè si usa de^ detti con
alcune rivolte , questi servono nelle parti,
più basse ed in tutti quegli altri luoghi,
dove gli sfiatatoi sono forali airiiigiù} che
1 74 CEUINI
con quella rivolta sMmboccanò Tuno n&l-
Faltro evengono diritti alFÌDsu. Messi adun*
qne che saranno questi due sfiatatoi^ si éebbe
pigliare di qaella terra , che si sarà« cavata
della fossa ^ la qua! terra vuol esser ben
crivellata e mescolala con altrettanta rena,
che non sia troppo molle ; e mescolata bene
la terra colla tena j si debbe riempiere la
fossa. Ed avvertisca V arte&ce , che la detta
terra ^ che io dicoy che debb' esser mesco*
lata colla rena ^ basta y eh' ella sia presso
alla forma delU grossezza di un quarto di
braccio , e da indi in- là si debbe riempiere
di terra pura j cioè di quella y che si sarà
cavata di detta fossa , la quale noa importa ,
che sia altrimenti crivellata : e quando ve
ne sarà per l'altezza di un terzo di brac-
cio, allora si debbe entrare in detta fossa
con due mazzapìcchi , i quali sono due le-
gni di lunghezza di ti e braccia Puno^ e
larghi di sotto per un quarto di braccio,
ooV quali si condensa la terra insieme , proc*
curando di non percuotere mai la forma;
basta a quattro dita appressarsi a qaella
mazzapicchiando , e da indi in là si debbe
serrare con li piedi, premendo la terra ap-
presso la forma con gran destrezza. Così a
ogni terzo di braccio , che si sarà posta la
terra, nel detto piodo si mazzapicchierà ;
e perchà gli sfiatatoi , che dicemmo , ven-
gono a essere raggiunti dalla terra , met*
tanvisi volta per volta di quei cannooetti
di terra cotta ; e ogni volta^ che si saranno
messi , turìnsi bene con un poco di stoppa
netta , la quale ripara ; che nel riempiere ^
SCULTURA. ì'jb
che si fa della fossa j la terra non entri
dentro a' detti sfiatatoi , perciocché impe-
direbbe tanto la forza del softiare, che non
iascerebbono venir la statua. Segiiitando
adunque di riempiere la fossa in tal modo^
ritrovandosi degli altri sfiatatoi^ si dehbe
tenere le diligenze raccontate nei primi, (in-
tantoché s' arrivi al pari della fossa , riem-
piendola Ciò fatto j si debbe cominciare a
«^ iar la via dove ha da correre il bronzo : e
debbesi sapere^ che quando si comincia a
mettere la forma nella fossa y bisogna , che
sia piena la fornace di bronzo , e in uh
medesimo tempo cominciare a dar fuoco alla
fornace , che si riempie la fossa ; acciocchà
la forma non pigliasse troppa umidità : le
quali diligenze , ancorché paiamo frivole ,
mancandone l'artefice , son cagioni molte
volte/ che non s'empiano le forrtie e che
si resti con vergogna dell'opere Or poiché
sarà ripiena tutta la fossa al pari disila bocca
principale j dove debbe entrare il bronzo ,
essendosi lasciata quella parte di caduta dalla
bocca della spina, dove debbe uscire il bronzo
della fornace , ed avendo tirali su tutti gli
sfiatatoi nel modo , che si è detto, sempre
tenendogli chiusi con istoppa^ e il simile la
bocca principale della forma ^ si debbe pi-
gliare tante mezzane cotte, e di esse &re un
pavimento , sempre lasciando scoperti gli
sfiatatoi. E perchè la forma talora avrà più
d'una bocca principale , dove ^ebbe entrare
il bronzo ; perciò si debbe avvertire , che
il detto ammattonato venga appunto al pari
delle bocche^ dove ha da entrare il bronzo»
1^6 CELLINI
Piglisi poi de^ mattoni di terra cruda , sec*
chi (i quali si debbono spezzare^ lascian-
dogli della larghezza di tre dita o più , se-
condo \la discrezione dell' artefice y e della
caduta che si vuol dare al bronzo ) e questi
detti mattoni si hanno da murar per coltèl-
lo 9 con terra liquida , mescolata con cima-
tura in cambio di calcina^ sopra il detto
mattonato. Ed è da avvertire^ che essendosi
tirato per la parte di fuora insino alla pa-
rete della fornace un canale fatto de' detti
mattoni crudi ^ e riserrato intorno le bocche,
dove ha da entrare il metallo nella forma,
si debbe poi pigliare de^ mattoni crudi o
cotti j e per piano murare il canale, tanto
quanto esso verrà alto , e sarà assai la lar«
ghezza d^ un mattone , mettendo F uno sopra
l'altro e accomodandogli intorno al detto
canale, tanto quanto verrà alto, come s'è
detto. Come sarà giunto al pari^ e bene
stuccato con terra fresca in vede di calcina,
$i debbe levare la stoppa di sopra le hoc-^
che, dove ha da entrare il bronzo, ed io
cambio di stoppa vi si debbe porre turaccioli
di terra fresca, fatti si che si possano cava^
re; perciocché subito si debbe mettere de*
carboni accessi nel canale , e coprir tutte
5[uelle parti, che si sono murate con terra
resca , acciocché ogni cosa sia bene asciutta ;
e perciò si debbe rinnovare il fuoco più vol-
te, perchè non tanto vuol essere asciutta la
detta terra , ma benissimo cotta. Dopo tali
diligenze , avendo il metallo ben fuso , si
leva tutte le ceneri e carboni , soffiando con
un niautacuzzo si che nulla vi resti sopra^
«CULTUJIA. ifjn'
che possa impedire il metallo. Ciò fatto, si/
debbono levar tutte le sloppe , che cbiug-'
gono gli sfiatatoi^ ed ancora queUuraccioli
di terra dalle bocche y dove ha da entrare
il bronzo strutto. Debbonsi inoltre mettere
su per io detto canale due candele di se-
vo, sino in tre, le quali non arrivino a
una libbra di peso ; iodi andare , alla bocca
della fornace, e rinfrescarla con una certa
quantità di stagno di più della lega ordi-^
naria, la quale vuol essere ^irca una mfezza
libbra per cento di più della lega , che vi
avrai messo. Con prestezza poi , mantenendo
il fuoco continuamente alla fornace con.
nuove legno , arditamente col ' m^ndriapo
(che cosi s'addimanda quel ferro, cpl quale
ai percuote la spina) sA debbe percuotere
la detta spina, e temperatamente Iqsciai^e
scorrere il broozo, sempre tenendQ la punta
del 'mandriano dentro ^nella spin^ , fintanto-
cbè.^ vegga uacita una cerl^ quantità . di
metallo; la qual destreiiza serve a far pas«
sare quelF impeto, che fa il metallo, che
talora è cagione di. far pigliar vento all'en*^
Irata della fprma. Vedendosi adunque alien*
tata questa prima furia , si potrà levai^e il
mandrìanp dalla spina della fornace , lasciando
versare il brons^o tutto , acciocché la fornace
restia netta ^ e per eia fare è necessario di
aver un nomo a ciascuna delle bocche della
fornace , che co^ rastiatoi , che s' usano a
tal effetto, spaccino tutto il bronzo verso
)a spina : e quel metallo , che avanza , di-
poi che s' è pieno la forma si ritiene con
Cellini Ben. Fol* III^ la
1^8' CCI.L1NI
quella terra , che avanza dalla fos^a , la
quale si piglia con pale e gettasi sopra ,al,
pronao , che corre fuori della forma. Cosi
colle dette diligen^ s^empioup le dette for-.
pne. Ma perchè in simili casi i divei^ aocin.
denti ^ che possono avvenire , son causa ta<.
lora di far perdere alFarteEce le suejiiingbe
fatiche ; perciò in questo luogo narrerò al-
cune avvertenze per comun benefizio ^ che
con mia grande spesa e disagio ho impara^
to^ le quali non sono da ess^e sprezzata
da quelli , che di tal esercizio si dilettano..
Né foderò il parere di alcuni , che usano
in tali casi di servirsi delF opera de' maestri
d^ artiglierie; perciocché quantunque in taL
effetto la loro arte e pratica sia simile^
ìinperò nel gettare le statue vi.soi^o molte
cose differenti e assai intelligenze j di che
^ssi Don hanno notizia ^ le quali debbona
sapersi dagli scultori ^ né Bdarsi in ciò ddlfli
ìorQ pratica , perchè non sempre avviene ^
che essi conducano a perfezione i getti della
figure, come quelli delP artiglierie; mentre-^
che il valente scultore in tali casi y sebbene
debbe prezzare \ consigli di ciascuno, non
pei'ciò Ila da essere ignaro di tal arte, s^ic^
che egli bisogni, cl^e si limetta in tuttOi
pelle mani di detti artiglieri ^ ma sapere ^
secondo r occasione, con prudenza risolve^
re, antivedere e riparare a ogni difficultà,^
che poss^ intei^enire in materia dì getto»
E ciò è detto d^ me nofi per fare injgiuriai
9 i gettatori dell' artiglierie y, ma pe^* avver-
tire gli scultori, che molte cose, com^ ho
detto, occorrono neirarte del gettare le
statue^ cìie esM dog sene sanno risolv^crej
il che è occorso conoscere a me per V e-
sperienza nel gettare , che io feci del mio
Perseo, venendovi una delle dette difBcul-
tà, dove ricercando questi tali di consiglio,
gli trovai ( parlando in materia di tali sta-
tue) scarsi e sbigottiti^ e mi dissero la mia
forma esser guasta e senza rimedio. Era
questo getto molto difficile si per la sua
grandezza e si ancora per cagione dell' at-
titudine, in che io aveva £itta la figura, la
quale aveva nella sinistra il gorgone di Me-
dusa , e il braccio ritto tirato molto indie-
tro con ardita prontezza , e la gamba sini*
stra piegava assai ; le quali cose rendono
molto difficile il getto. In questa aveva io
posto gran numero di sfiatatoi e molte boc-
che , che dipendevano da una sola , che
veoiv£l dall'altezza della testa , per di dietro
della figura 4 iosino alle calcagna di tutfa
duei piedi, appiccandone su per le polpe,
delle gambe in tutti quei modi, che ricer-
cava r atte. Insomma io vi aveva posto un
estremo studio per esser la prinfia opera,
qbe io faceva nella mia nobilissima patria j
laonde volendo io far tutto di mia mano,
avendo di già condotta la forma in tal es-
sere y che erano superate le maggiori di ffi«
cultà , per l'estrema fatica, che io ajieva
durata , senlendomi alquanto injlkposto ,
poiché io ebbi ridotto già quasi il &onzo ^
in bagno, cioè fuso, pregai i detti artiglieri,
che facessero il resto , a tutti dando Tordipe^
r.
léo CELLINI
che io voleva ^ che tenessero , perciocché io
per la debolezza non poteva stare più in*
torno 9I fuoco della fornace. Essendo adun-
que^ come ho detto , il bronzo fuso presso
al suo termine ed in tal guisa che si poteva
trattenere per lo spazio di sei ore ^ questi
^er veder, com'ho detto , cosa diversa dalla
oro professione, mediante quelle tante di-
Verse bocche e sfiatatoi , che nelle lor forme
non si usano, e parte avendct trascurata la
fornace, lasciarono rappigliare il metallo e
venire , come per V arte si dice , un migliac-
ciò : al qual disordine il riparo è molto dif^
ficìle per esser la fornace tonda e per ve-
nire il fuoco , che si dà al metallo , per di
$opra3 il che non sarebbe, se il fuoco po-
tesse venir di sotto , perciocché allora facil
cosa sarebbe a riavere il metallo rappreso,
Bitrpvandosi adunque il metallo in tal Xet^
mine, e venendo essi a darmi tal nuova ^
uscito in un subito del Ietto, dove i«> era,^
e domandato^ se alcun rimedio vi fosse ^
risposero, non v^ essere altro rimedio, cho
disfar la fornace 3 ma per esser poi la mia
forma sotterrata più di sei braccia in ter-
ra , non vedevano come potesse essere , che
la detta forma non si guastasse ; perciocché
difficile era il cavaref la terra dintorno ali»-
forata , per essere ella ben serrata e ripiena
di t^nte bocche e sfiatatoi. Ciò seqtendo ,
ardifsffitente feci loro animo e dissi ^ che
non dtnbitassero , mia che mi ubbidissero ,
essendoché io mi rincorava di riavere il
detto metallo. Così in un istesso tempo
SCiTLTUiyi; iSì
coniatadai a più uomini diverse cose. E
prima dissi) che uno mi £icesse condurre
una catasta di legne di quercia ben secche ^
la quale era poco lontana dalla fornace : e
qui awertisca il lettore , che sebbene indie-
tro si disse y die i legni forti non erano a
proposito , come la quercia ; in tal caso era
necessario servirsi di un fuoco gagliardo ^
siccome fa la quercia. Cominciando adun*
3 uè a mettere parecchi peszi per volta di
ette legne nella fornace , sì venne a muo-
vere il detto metallo. Due alivi poi feci^
che con certe lunghe verghe di ferro lo
pugnessino , per Tuna e per T altra buca
della fornace. Ciò fatto avendo , luentrechò
io mi era messo a pulire il canale^ donde
aveva da correre il metallo , e che io aveva
scoperto tutti i mìei sfiatate» e aperto tutte
le buche y vedendomi già plesso alla fine
delle mie fatiche, vidi in un subito alzare
tutto il coperchio della fornace ( e questo
avvenne per la forza del fuoco di quelle
legne di quercia ) ; laoi^de il metallo si spar-*
i;eva per tutti i versi : i. quali accidenti di
nuovo sbigottirono tutti quei maestri ^ «he
m^ a lutavano e che con gran maraviglia ave-*
vano veduto risuscitato e fatto liquido |1
migliaccio di bronzo. Essendo adunque sO"*
prappreso da tanU impedimenti , senza punto
sbigottirmi, vedendo, che quel gran fuoco
m^ aveva consumata tutta la lega , detti or<^
dine di rimetterla nella fornace con un pane
grosso di stagno fine, preparato per tali
bisogni ; ma vedendo di non poter ciò fare^
l8!» CEtLlNI ^
perchè il metallo si versava e si dilatava
per tutta la fornace intorno , presi nuovo
partito ; detti ordine , che subito mi fossero
portate da due uomini circa dugento libbre
di piatti di stagno, che erano in casa mia^
e gettato di quelli una parte nella fornace,
feci a uno df essi pigliare il mandriano e
percuotere la spina , la quale era durissi-
ma^ ed il simile feci fare alF altra, perchè
ve ne aveva poste due ; così di mano in
mano che il metallo correva per i canali ^
io andava geUandó di quei piatti sopra detti
canali^ e per essere il metallo cotanto fer-
vido e bollente , veniva in un tratto a cor-
rere insieme col detto stagno/ Laonde in
brevissimo tempo veddi entrare dentro il
metallo', sen^a soffiare, pacificamente, e
lavorare tatti gli sfiatatoi; e così* si empiè
benissimo la forma con mia grandissima aU
legrezza , e maraviglia di coloro , che io
aveva chiamati in mio aiuto. I medesimi
accidenti mi erano occorsi ancora in Fran-
cia nel gettare le prime figure, cher io di&*
si, per lo Re Francesco; dovechè avendo
chiamato di valenti gettatori di bronzo, gli
trovai, fuori di quella loro solita pratica,
in tali cose inesperti e inresoluti: e perciò
ho voluto avvertire V artefice e insegnargli
quello^ che con una lunga osservazione e
pratica m^ è occorso d' imparare , a fine che
in taU casi si trovi svegliato e. abbondante
di partiti. Le quali destrezze s^ acquistano
tutte per mezzo dèlia pratica e dell' espe*
rieoza , come s' è detto. Ora verremo a trat-
tare del modo di fare le fornaci.
t
• * *
CAPITOLO Ili.
ÌMle fornaci da gettar bronzi y é loro parti
e misure; delle qualità ddle terre da
murarle e intonacarle^ e del modo dt
strabere il bronzo.
JLje fornaci, che si fanno per fondere il
bronzo 9 si debbono murare secondo Toc»
casioni dell'opere. Parlando adunque del
modo di fare dette fornaci , verrò a mo^
strare quello , che da me è stato tenuto so^
pra tal sorte di edìficj, quando mi è oc*
corso di fame. La. póma^ che io akai^ fa
ia Pwigi^ volendo gettare le figure, ohe
entravano in quel meszo tondo ^ che io
aveva £itto al Re Francesco ^ come di sopra
8* è detto. A questa feci il vano di dentro ^
cioè il diametro, di tre braccia Fiorentine}
laonde veniva a girare la sua circonferenza
nove braccia ; e V altezza deUa volta di detta
fornace era il mezzo tondo della pianta della
sua rotondità. Diciamo ora del piano del
fondo della fornace, nel quale si pone il
bronzo. Questo si dee fare a pendio^ ed
essendo la fornace della grandezza soprad*»
detta debbe essere il suo pendio la sesta
parte di un braccio. Avvertiscasi ancora ^
che il detto fondo si ha da fare coiri quel*
Inattitudine, che si fanno le strade ^ dove
A cammina, cioò^ che abbiano nel mezzo
il suo rigagnolo e pendìo | il quale ha da
l84 CEtLTNI
correre diritto alla bocca della spina , di
dove esce il metallo. Gò^ per tal ragione
queste spalle andranno montando su dolce-
mente presso alle due porte , dove si mette
il bronzo , a un terzo di braccio ; il qual
terzo di braccio si debbe fare andare tanto
piò ardito , quanto si vorrà , che la fornace
abbia più o meno fondo, la qual consiste
in manco di u|i mezz^ ottavo di braccio dal
più al meno. Ewi la terza porta , dov'en-
trano le fiamme del fuoco , alla qusie non
è necessario usare tali diligenze^ per non
essere ella affaticata dal bronzo ; ma solo
se le debbe fare alquanto di spalletta ^ d* al-
tezza di tre dita. Debbesi murare il detto
fondo di fornace con certi mattoncelli fatti
a posta , i quali , oltre alla loro picciolezza ^
si fanno larghi più da una banda che dal*
l'altra, e vogliono essere grossi per unse*
sto di braccio; e se si faranno della detta
grossezza per tutti i versi , serviranno molto
meglio che non fanno quegli, che scusano
alle fornaci de* bicchieri. Ed avvengachè
molti usino di mettergli in <^era per col-
tello, avendo io T uno e T altro modo spe-
rimentato, son fatto accorto, che essendo-
ì detti mattoni di una medesimsi grossezza
per tutti i versi ^ fanno migliore operazione
mettendogli, a diritto, che in nessun altro
modo. La terra, che si adopera per fare i
detti mattoni , debb' essere con . diligenza
scelta^ perciocché ella vuol esser tale, ch'eUa
upn coli al fuoco : ed in. Fiorenza se ne
v^rvono i fornaciai da bicchieri di una^rte^
SC1TLTU1UL ld5
€he tiene da Monte Carlo ^ che è assai
buona , ed è di color bianco ; ma in Parigi
n'ho io trovata di quella di gran lunga mi*
gliore e ohe fa molto maggiore operazione;
ed i mattoni^ che usano di fare gli artefici
di quei paesi per dette fornaci , sono lunghi
per un ' quarto di braccio ^ e della grossezza
sopraddetta ; e perchè la moltitudine de^ la-
vori d'argento e di ottone^ che vi si fanno^
costrigne a fare infinita quantità di coreg*
giuoli , adoperati che sieno a tal uffido^ rom^
pendogli e pestandogli ne fanno la sorta
de' mattoni i^opraddetta. Ma perchè a cia-
scuno è noto, che gli artefici sono forzati
di servirsi delle materie , che nelle regioni ,
in che essi lavorano ^ gii sono più comode;
perciò, diremo, che, poiché^ avranno usato
ogni possìbile diligenza di servirsi della mi-
glior terra , che possono avere , avendo fatto
fare i mattoni e vedendogli ben secchi , si
debbe , con asce e scarpelloni fatti a posta
per tal necessità^ lavorargli .pulitamente e
in tal guisa, che si ccngiungano benissitno
insieme. Così di mano in mano si andranno
i detti mattoni murando in sul fondo della
fornace: il qual fondo ha da esser fatte di
pietre morte, C/ levato dal piano della terra
un mezzo sbraccio; e le dette pietre morte
vogliono esser grosse un terzo di braccio ,
il manco , e benissimo congiunte insieme.
Questo primo fondo ^ del quale continova-
mente parliamo , essendo la fornace della
sopraddetta grandezza ^debb' esser più grande
due terzi di braccio che non ha da restare
•, *
t86 celìini '
il vano del fondo della fornace, e.mntaéo
di calcina ordinaria, purché sia buona e
hene stagionata. Sopra questo primo fondo
si debbe poi marare V altro , e co^ dHlì
mattoni; ma in vece di calcina si ha da
pigliare della medesima terra , e fiirla hqai'^
da, avvertendo di stacciar bene la detta
terra , e renderla netta da ogni bruttora ;
cosi con detta terra , stemperata in guisa di
calcina, si debbe stabilire tutto questo se-
condo fondo della fornace, ma porvelasot^
tilmente, perciocché mettendovela grossa*
mente, ed essendo la natura della terra di
ritirare alquanto, nel riseccarsi viene a get-»
tar de^peli, e a fare sottilissime crepature ,
le quali per picciole^ che sieno^ sono di
grandissimo danno; essendoché quando il
bronzo viene in acqua , cotanta é la sua
forza , che egli penetra per tali fessure , «
sforzando la fornace viene a sollevare il
fondo; e perciò dando V artefice di terra
sottilmente, sfuggirà tali disordini , e non
darà occasione air intonacato di far crepa*
ture. Fatto che sia questo secondo piano,
si debbe tirare là volta con li medesimi
mattoni, e nel medesimo modo' murati. Nella
detta volta si debbe far due entrate, una
per <;antOj come dicemmo, per le quali si
ha da mettere il bronzo ; e, se* si faranoo
larghe per due terzi di braccio , e per tre
quarti alte, sarà a bastanza. La terza porta,
per la quale debbono entrare le fiamme del
fuoco, dovrà essere larga per due tersi di
braccio, e un braccio altaj ed a questa si
SCULrtJBA. iS*;
dà più alteasza per tal ragione, perciocché
essendo la natura del fuòco d^ andare in
alto, entrando la fiamma in su più gagliar*-
damente, e girando nella volta della for-
nace , sformato per la detta rotondità a ri-
girare di sottQ, per tal furore cotanto si
riscalda il metallo, che in poche ore si
viene a liquefare. Fannost dipoi quattro sfia-
tatoi nella parte delF estremità, dote muove
la volta ; i quali s^atatoi debbono essere di
tanta largbeKza , che v'entri due dita della
mano. Il buco, donde. dee usdre il metallo
fonduto^ si ha da fare in un mattone^ ac-
ciocché non possa essere impedito da nes-
suna parte della sua circonferenza; il qual
buco si domanda il buco della spina , e la
sua larghezza per di dentro debb' essere un
mezzo dito di più , che la parte , che esce
di fuor^, per cagione del zafifo di ferro,
che vi si pone dalla parte di dentro, il
quale s'intride con un .poco di cenere bene
«tacciata e liquefatta secondo il bisogno. E
il mattone , dove si fa il detto buco , si
mura insieme con gli altri ; e così si debbe
andare seguitando, finché la volta sia rag-
giunta tutta. Preparisi dipoi una pietra mor-
ta, di grossezza di un mezzo braccio per
ogni verso , ed in questa si faccia un buco
nel mezzo ^ il quale sia grande appunto
quant'é il buco ^ che si fece nel mattone,
dico da quella parte , che s' ha d' appog-
giare 41 mattone; ma la parte del -detto
buco , eh' é di fiiora della fornace , si debbe
fare larga per sei volte qu*ant' è quella parte
/
t8S , CEliLINI
sopraddetta y che si appoggia al dettò mat-»
tone , e cosi debbe venire pulitamente sba^
rata infuora. Dipoi si muri la detta pietra
id mattone della fornace j con terra ^ nel
mt)do sopraddetto. Ma, perchè la detta pie*
tra si viene a posare sopra quel fondamento
e spalle della fornace , come di sopra di-
cemmo ^ quella parte , che posa sopra il
detto fondamento del piano della fornace ^
fii debbe murare con buona calcina: e cosi
l'altre pietre morte, che debbono essere
ideila grossezza del primo pezzo. E la detta
altezza debb^ essere appunto quanto l'altezza
della volta; la quale altezza si debbe far
dritta, acciocché venendo qualche accidente
alla volta , si possa , secondo il bisogno ,
acconciare e rifare. Cóme P artefice abbia
recinto la fornace nel detto modo , essendo
giunto alle spalle della buca maggiore ^ per
la quale entra la fiamma, si debbe fare ac-
canto alla detta buca un fornello, il quale
sia due terzi di braccio per ogni verso j e
profondo due braccia appunto dal piano
dell^ buca in giù; nel quel fondo si deb-
hono porre sei o sette ferri , grossi due
dita della mano per ógni verso , e sieno di
tanta lunghezza, ch'egli avanzino da ogni
i)anda quattro 4ita ; i quali ferri si debbono
posare sopra pietre morte , mettendogli
lontano Funo dalF altro per lo spazio di
tre dita, in forma di graticolato. Questo
fornello, che va murato sopra i detti fer-
ri , si debbe murare nel medesimo modo ,
cjoè con 4 detti mattoni e terra ip vece di
e
SCULTURA. l8g|
calcinai , come dicemmo doversi murare il
di dentro della fornace. Debb' essere il auo
piane alto tanto ^ Gli^egli arrivi afUa faetà
della buca della fornace^ dove hanno da
entrare le fiamme; e come sia arrivato a
tal segno, ristringasi la parte di sopra per
un ottavo di braccio per ogni verso. Sotto
alla graticola di fen'o \ che dicemmo^ fac*'
ciasì nna fossa larga un bràccio e mezzo ^
profonda due braccia e^larga cinque o sei
verso qtieila parte ^ ohe Indetta volta deo
porgere il vento per ta graticota al fornello
della sopraddetta fornaoe. ÀvvertiscaM, cho
questo vento non ha da entrare* se iloa
per una bdnda , e cosi vada seguitando la
profondità della fossa -, quanto tiene la fine
del detto fornello per di sotto ; la qual
fossa dall' effetto è dhiam^ta comunèmeata
la braciaiuola. E perchè talora^ interviene^
che lo scultore darà fuoco ^ a buona cau-'
zione^ cinque 6 sei ore prima alla fbrnate^
e per tal eflfetto le braci delle legne arse
sotto alla graticola cotanto crescano , che
impediscano la virtà del vento al fornello^
che ìion fa la sua operazione; imperò bi^
sogna , vedendo • ci^soere tal monte ^ aver
Preparato un ferro di langhezza di un mezzo
raceio e largo un ottavo^ il qual ferrò nel
mezzo da una delle bande della sua lar*<
ghezza lia da averti saldata una verga di
ferro, di grossezza di due dita e di Iùb^
ghezza di due braccia, alla quale per la
testa contraria sua se gli fa una gorbia ,
Il^Ua quale si ^ommett^ una stanga di
y
igo cELLmi
?uaUro braccia; cosi con questo strumento
che volgarmente è detto il rastrello). $i
cavano le dette braci ^ di mano in tnano
che si veggano andar crescendo. Poiché si
sarà fatta la fornace colle sopraddette dili-
genze ^ ella, si debbe ricignere intorno con
Buone catene di ferro ^ le quali ahnanco
vorrebbono essere due; perciocché una se
De debbe mettere al rincontro del fonda-
mento della fornace e r altra, per un terzo
di braccio lontana dalla detta ^ per di sopra;
e queste quanto più grosse e larghe saranno
tanto più sicura renderanno la fornace. La
bocca del fornello y dove per diritto si poi>-
gono le legoe , dd>be tenersi coperta con
un coperchio fatto in guisa d' una paletta
di ferro ; dì tanta grandezza quanto com-
porta la buca; alla qual paletta si larà un
manico tanto lungo, che non possa cosi
presto infocarsi^ ma, secondo il bisogno >
essere adoperato sicuramente. Mettendo il
metallo nella fdrnace, è ancora da sapere^
xbe vi si debbe porre in guisa che l'uà
pezzo sia dair altro sollevato, acciocché le
fiamme più facilmente entrino; il che é
cagione , che il fornello molto più presto
faccia il suo ufficio, ed il bronzo la sua
fiisione. Ma molto maggiormente è da sa-
pere, che, piimaché il detto metallo si
ponga nel fornello, si debbe detto fornello
ricuocere y dandogli ventiquattro ore di fuo-
co, doé un giorno ed una notte; permoo*
che non lo ricuocendo bene , ponendovi
dentrQ il metallo^ ne» ai potrebbe fondere,
SCULTURA. 191
ma agghiadaBdosi , piglierebbe certi fumi
di terra , che gettano detti fornelli , ì quali
lo inasprir^bbouo in tal guisa che pei* otto-
giorni continui , che se gli desse fuoco y non
si potrebbe liquefare; il che avvenne a me
in Parigi in oert' opere, che io voleva get-
tare j dove io mi serviva di mi vecchio pra«
tichissimo; laddove 9 essendk) cotto il fornello
ne svaporato, noti avremmo mai fondutQ
detto metallo ^ se io non m^ accorgeva della
cagione di tal disoipdine. Cosi avendo lasciato
st'^ionare col fuoco il fornello, in due oro
fondemmo millecinquecento libbre di me^
tallo. Deboesi ancora alle bocche, dove si
mette il metallo , far due sportelletti di
pietra morta y ne' quali sportelli , in ciascun
no, si scompartisce due buchi, larghi no
dito e mezzo Tono, e quattro dita lontani
r uno dall'altro, i quali buchi servono per
porvi una forcl^tta di ferro fatta a tal pro-
posito, colla quale, secondo il bisogno, si
vanno levando e ponendo i detti sportelli.
Volendo ancora mettere nuovo metallo nella
fornace , prima si debbe porre il pe7.zo 80«
pra i detti sportelli ^ e tenervelo fintanto^
che diventi infocato e rosso , e quasi che
sia per colare, cpsì poi si può metter frsi
l'altro; essendoché chi ve lo mettesse senza
psar prima tali diligenze , andrebbe a pe-»
ricolo di freddare il primo metallo e farlo
divenire in g;uÌ8a di migliaceio , come s^è
detto. Queste avvertenze adunque sono ne«t
cessane da sapersi per gli scultori, he<R
Ussimio d^iibpjio esserf^ informati della pat^rt-
l^a CELLIMI
de' metalli e - di molte altre cose , che la
teorica e la pratica iasegoa; perciocché mi
k occorso di vedere uomini pratichtssimi in
tal ai:te^ i quali hanno fatto getti maravi-
gliosi 9 e talora soprappresi da qualche pic-
ciolo accidente^ per, non ne conoscere la
causa y hanno -gettate lo loro fatiche. Essen-
doci adunque spediti con quella maggior
brevità, che sia* stato possibile, di quanta
intendevamo di dire in materia del gettare
le statue di bronzo e del fare le fornaci e
^fornelli, ps^sseremo. a discorrere* brevemente
dello scolpire e intagliare i marmi. Avvera
tendo in tal l)iogo il lettore, che noi ci
siamo distesi a trattare di tali mateiie tanto
quanto abbiamo giudicato conyenursi per in-
«truzione degli scultori e gettatori di statue*
CAPITOLO IV.
Della qualità di diversi marmi atti a fare
statue; del fare i modelli di terra; e
del fìiodo , che si debbe tenere per en^
^ trare a Uworare co' ferri ne^ detti marnu^
X oiGHÈ il mio principale intento fu,
quando io mi posi a scrivere i presenti
Trattati , di ragionare sopra quelle arti , che
da me sono state esercitate , tutto quello ,
che io con lungo studio avessi imparato per
benefizio di ciascuno, che di esse si dilet-
tasse y non mancherò per tal cagione di di-
mostrar brevemente quanto m^ è occorsa
SCULT1ETRA, ip3
d' osservare ÌDtòrno alla qualità de' marmi
per fare statue , e del modo di lavorarli ,
avendo io con grande assiduità e diligenza
cercato d' imitare tutte l' opere antiche e
modiftne ^ che da' più intendenti sono stat«
per migliori giudicate , e con i migliori ar-
tefici del nostro secolo tenuto stretta con-
versazione, siccome fra l'altre fu quella^
che io ebbi col maravigliosissimo Michela-
gnolo Buonarroti , che , particolarmente
nello scolpire i marmi ^ non è stato a nes-
sun artefice antico, per comun parere, infe-
riore. Venendo ora a parlare della qualità dei
marmi , lasciando da parte il parlare della
loro generazione , come còsa , che appar*
tenga a persone di più alto sapere, che il
mio non èj perciocché al nostro proposito
poco importa, se la loro creazione si faccia
di terra grossa , . untuosa , congiunta colla
commistione dell' acqua , e che poi di terra
in fango e di fango in pietra si riducano
per lo mezzo de' raggi del Sole : a me ba-
sta di dire di aver osservato principalmente
esser cinque specie di marmi, i quali hanno
ciascuno di per se la sua grana difieren-*
ziata. E cominciando dalla prima sorte, di-,
damo questi avere una grana grossissima
con certi lustri , accanto T uno all' altro uni-
tamente ; e questa specie di marmo è più
duro da lavorare, ed in esso difficilmente
vi s' intagliano cose sottili ^ sicché '1 ferro <
noLn le schianti; imperò dalla pazien/^a e
diligenza dello scultore sono tali impedi-
menti superati , e le statue di ^fiso manna
CMni Ben. Fol UL i3
|g4 CEtLtNt
mostrano benissimo. Dopo questa prima
grana ho osservato andarsi negli altri marmi
sempre assottigliando e perdendo della loro
rigidità insino alla quinta grossezza ^ la quale
si getta in certo modp più al color* in-
carnato y che al bianco : e questa sorte di.
marotio giudico per V e&perienzà ,, cW io
n^ ho fatta , essere la più unita y la più
gentile e la più bella, che si possa lavo-
rare y la qual sorta di marma è detto Pario.
Trovansi ancora le dette grane in diversi
marmi talora alterate; perciocché avranna
la grana grossa, mescolata con assai sme-^
riglì e macchiata di nero y ^ questi sona
difficilissimi a lavorare^ essendoché da i detti
smerigli sono mangiati gU scarpelli d' ogni sor-
ta; e talora saranno vergati da una delle dette
macchie y le quali ingannano facilmente V ar-
tefice; perciocché di fuòra sono ricoperti
da una scorza. candidissima, e dentro poi
celano tali magagne, per le quali si rendono,
brutte e sgraziate l'opere. £ pecù debbe;
Tarte^ce per $fi stesso andare alle cave a
eleggergli e proccurare di avergli bellissimi
e bene stagionati y ' nella qual cauzione ab-
bondò graqdemente il Buonarroti ; per-
ciocché nelle montagne di Carrara s' elesse
una cava con non pìccola dihgen^a^ dalla
quale poi tra&se tutti quei marmi, che gli
servirono per gli ornamenti e figure , che
egli fece liella sagrestia di SaQto Lorenzo
va Fiorenza^ per ordine di Clemente Papa
Settimo. Infinite sono le sorte delle pietre,
delle quali si -felino statue, ma ninna ve
SCULTURA. igS
0' ha , che pareggi U marmo ^ quand^ egU è
beD netto; e questo aocora secondo le re-;
gìoni si rende più e manco bello , essenT
dochè a ciascuno è manifesto^ che quanto
Eiù la regione è vicina all' Oriente e al
lezzodi, come T India e l'Etiopia^ tanto
più fine e preziose pietre in quelle sì gene-
rano^ per lo contrario quanto più sono di-
stanti dal Sole, men lucide e men fini vi
pasceranno. Nella Francia presso a Parigi
si ritrova una sorte di pietra, la quale è
di color bianco , ma non della bianchezza
del marmo , anzi è un bianco torbidicpio ;
ma tanto è dolce e gentile , che quando si
trae della sua cava , ella si lascia lavorare
con i ferri , che s^ adoperano a intagliare il
legno ( ben è vero , che si fa a i detti ferri
alcune tacche, co' quali si sgrossa l'opera^
e poi con gorbie e scarpelli d'ogni sorte
si va finendo ) , ed in ispazio di tempo la
detta pietra piglia una durezza quasi come
il marmo, e massimamente nella superficie,
cioè dove si termina i lineamenti dell'ope-
ra. Veggonsi lavorate dagli antichi ancora
certe pietre verdognole , le quali da dimolti
sono chiamate oggi brecce , e sono della
durezza dell' agate e de' calcidonj ; e percioc*
che si veggion(0 intagliate di essa pietra
figure molto grandi ^ essendo si estrema la
sua durezza, non s^è per ancora trovata
modo da intagliarle y cioè scolpirvi dentro
fignre ^ che in altra guisa per i parimenti
si lavorano col piombo «e con lo smeriglio«
Sonocì ancora i serpentini e i porfidi, pietre
t
196 CELUMI
molto note per là loro bellezza e durezza;
e neir una e nelF altra spezie usarono gli
antichi di scolpirvi dentro figure molto
grandi, ma più nel porfido, che nel ser^
pentino^ per essere alquanto meno aspro
e indomito. Il porfido insìoo a oggi da nes-^
sutfo ò statò saputo intagliare meglio, che
da Francesco del Tadda^ Fiorentino, il quale
tra F altre sue opere ha condotte molte
teste di detta pietra, hen finite quanto gli
antichi si facessero 3 la qual lode a lui ye^
ramente si dehbe, poiché egli è stato il
primo dopo gli antichi, che ha travato il
modo di spuntare colla tempera de^ suoi
ferri il perfidioso porfido. Alquanto del
porfido è più tenero il granito ^ che dr due
sorti se ne ritrova^ cioè rosso , e di un' altra
«orta^che è bianco e nero: il rosso hellisr
Simo si vede venire dalle parti .Orientali ,
e del bianco e nero nell'Elba particojar-r
mente non poco vi sene ritrova. Sono le
dette pietre belle e durabili , ma non m
uso modernamente per far figure, ma co*!>
lonne ed altri ornamenti. Nelle montagna
di Fiesole ed s^ SettignanO; luoghi vicinissimi
^ Fiorenza, si ritrovano pietre dì colore
azzurro^ shiamate serene, le quali per la
lóro bellezza y delicatezza e &cilità di lavQ-r
rare^ sono molto in uso per far coloQn^
ed altri ornamenti e figure y ma non resi-
ijitendo né all' acqua ne all' aria > bisogM
coUoc^rrle al coperto^ il che non interviene
di un' altra sorta di pietra tanè , detta mor^
ta, la quale ne' ppiedesimi luoghi $i ritrQva,,
SCtrtTtTRÀ. 1^^
Questa^ quantunque sia dolce a lavorare ^
è buona per &r figure e altri ornamenti ^
che resistono a i venti ed alle pioggié e a
ogni altta ingiuria del tempo; il che ancóra
interviene della pietra fbrte^ che è del me^
desimo colore , e sì ritrova nelle medesime
cave^ ed è molto a proposito per fare i
inedesimi lavori j siccome fig^ure ^ arme é
maschere da collocare sopra le porte j ina
siccome di quelle si ritrovano saldezze gran-
di y di questa il medesimo non i|^terviene ,
perciocché piccioli sono i pezzi ^ che si ri^-
trovano di essa. lìa parlato di queste tre
sorte di pietre , quantunque non sieno. tnar-
noi , perchè di esse si uda di far figure : ed
avvengachè ci sieno marmi misti, duri e
tèneri) che particolarmente nello Stato del
Duca di Fiorenza se ne sono ritrovati pei*
mezzo della sua reale liberalità ; non però
parleremo di essi , per non essere atti a far
figure j il che è il nostro principale intento;
Ma poiché a bastanza s^ è detto delle pietre^
verremo adesso adir brevemente del modo
di lavorarle. Quantunque da pae sieno state
fatte più statue di marmo ^ contuttociò per
brevità non intendo di far menzione se
non di una y per essere delle più difficili ^
che neir arte si facciano ^ il che sono i
corpi mortii Questa fu V immagine del Sal-^
vator nostro Gesù Cristo , pendente in Cro^"
ce y nella quale posi grandissimo studio |
lavorando in detta opera con quella dili'^
genza ed affezione , che meritava tanto sU
mulacro^ e taotopiù volentieri quanto j^
/
igS cELLUn
sapeva d'essere il primo, cbe in marma
avesse lavorato' Crocifissi. Questa fìi^dun^
que da me condotta a fioe eoa grandissima
satisfazione di chiunqoe la vedde dov* ella
è , appresso del Duca di Fiorenza , mio sin*
golarìssimo Signore e benefattore. E posi
il corpo del Crocifisso sopra una Croce di
marmo nero Carrarese, pietra molto difficile
da lavorare^ per essere durissima e fadJis»
sima a schiantare. Venendo ora al modo
dello scolpire , mi pare in prima di dovere
avvertire il lettore, cbe io bo osservatocele
tutti i più valenti artefici ebbero in costume
nelle lóro opere di ritrarle dal vivo : ben
è vero^ cbe ritrovando rare volte un sol
Corpo, cbe abbia tutti i membri proporzio*
nati e cbe sia di perfetta bellezza, perciò
bisogna, cbe l'artefice sia in prima peritisi
Simo delle misure e proporzioni del oorpo^
umano ^ e indi con esquisito giudicio vada
nel vivo riconoscendo que' membri, cbe
più paiono belli, e fatti colf proporzione
dalla natura 9 e quelli poi cercbi d'adattare
nella sua stalua si cbe unitamente corri-
spondano al tutto: e ciò a me pare,, cbe
sia il vero modo da condurre con perfezione
le statue. Con questa scorta adunque e con
questa guida governandosi il maestro, vo<p
lendofar la sua statua, principalmente debbe
fare un modello^ piccolo di due palmi in
circa , ed in quello ponga la sua inven«*
zinne ., e deliberisi delle attitudini della
figura. Poscia faccia la detta figura di ter*
ta, tanto grande quanto può uscire del
SCtLTtTlA. ig^
ttafiiio, e desiderando di condilt la atatua
* di marmo con più diligenza , cet'chi di
finire il modello grande meglio del piccolo^
e non potendo per mancamento di tempo,
come suole intervenire, conduca il detto
modello grande d^una bozza conveniente^
che ciò brevemente gli verrà fatto; e per
tal modo verrà ad acquistare assai tempo ^
mentrecbè lavorerà la statua di marmo; ed
avyengachè molti valenti artefici abbiano
usato con certa pratica e risoluzione d' entrar
€0^ ferri nel marmo subitochè avranno con-
dotto il piccolo modellino y non perciò è
che^ in cotal guisa governandosi ^ non re-^
stessero delle loro opere molto più satisfat-
ti ; perciocché noi sappiamo ( de^ migliori
moderni parlando ) Donatello nelle sue
opere essersi così governato , e nel Buonar-
roti si vidde , che avendo egli esperimentato
ttttt' e due i detti modi ^ cioè di fare le
statue secondo i modelli piccioli y e grandi^
alla fide accorto della differenza ^ usò il se*^
condo modo; il che occorse a me divedere
in Fiorenza , mentre egli lavorava nella
sagrestia di Santo Lorenzo. Né solamente
nelle statue ha tenuto il dett^ ordine , ma
ancora nelF opere d' architettura , usando
bene spesso d^ esaminare i membri degli or-
namenti delle sue fabbriche per mez^o dei
modelli , che egli aveva fatti della grandez-
za, che propriamente avevano da essere.
Poióhè r artefice si sarà soddisfatto del suo
modello^ si debbe pigliare un carbone > e
disegnare la veduta principale delk jiun
JIOO CELLIiri
statua, e ciò fare cod diligenza ^ perciocché
quando V artefice non si risolvesse bene col
disegno di detto carbone y potrd>be facil-
mente ritrovarsi poi ingannato da' ferri. Ed
il miglior modo , che fino a oggi si sia ve*
duto usare . è stato ritrovato dal Buonarro-
ti, il quale è questo^ che, poiché si sarà
disegnata la veduta principale , ^ si debbe
per quella banda cominciare a scoprire co'
ferri, in quella guisa che uno artefice fa-
rebbe dovendo scolpire una figura di mesczo
rilievo ; cosi a poco a poco , nel detto mo-
do j veniva quel meraviglioso artefice a
scoprire le figure ne^suoi marmi. I miglior
ferri da scoprire sono alcune subbiette sot-
tilissime, intendendo per sottilissime le
punte, ma non l'aste, perciocché le aste
vogliono essere grosse quanto un dito della
mano. Cosi colla detta subbia si va ap-
pressando a un mezzo dito a quella , che
si domanda la penultima pelle ; e poi si
piglia uno scarpello con una tacca in meas-
zo y e col detto scarpello si conduce la sta-
tua sino alla lima , la quale si domanda
lin»a raspa o scufiina 3 e di queste se ne
fanno di più sorti, cioè a coltello, mezze
tonde , e altre fatte in guisa del dito grosso
della mano. Queste si fanno due dita, lar-
ghe, e poi fino al numero di cinque o sei
si viene diminuendo , finché l' ultima sia
quanto una penna comune da scrivere. Pi-
gliansi poi i trapaùi^ i quali si adoperano
quando le lime, salvo se si avesse a cavare
in qualche difficile sottosquadro di panni.
SCULTURA. .^Òl
o in qualche atiitodine straTagante della figu-
ra y dove bisognasse usare i trapani grossi ,
i quali SODO di due sorte. Una, che gira
per virtù di un coreggiuolo e di un^ asta a
traverso bucata , e con questo si conduce
ogni grandissima minuzia e sottigliezza di
capelli e di panni ; V altra sorta di trapano
più grosso, che si domanda trajpano a pet-
to y M è fatto d' un^ asta di f<^rro , grossa
un dito , e lunga mezzo braccio , e il mezzo
deir asta torta , nella quale s^ accomoda un
rocchetto di legno ^ che sta lente nella det-
t' asta ; e pon quello si gira il detto trapa-
no, tenendo al petto il detto legno ^ avendo
messo le saettuzze nella sua ingorbiatura
fatta a posta per tal effetto^ cosi si adopera
in que^ luoghi^ dove il primo non puòòpe-
rar«. Come le dette diligenze delle subbie,
degli scarpelli , delle lime e' de^ trapani si
saranno usate , che per mezzo di detti
ferri si finisce la figura, si viepe al puli-
mento della figura, il quale si fa con pie-
tra pomice^ che sia bianca, unita e gen-
tile. Avvertiremo coloro, che non son troppo
pratichi del marmo , in detto luogo , cbe
vadano colla subbia , quanto possono presso
alla fine ddla statua , e questo perchè la
subbia , essendo sottilissima , nop intruona
il marmo ] perciocché non la ficcando per
diritto nella pietra , si viene a spiccare del
marmo quanto altri vuole, gentilissimamen*
te, e dipoi con lo scarpello a una tacca si
viene a unire , e con quella s' intraversa ,
come se proprio s^ avesse a disegnare } e
:20Ì) CELUNI
questo è il modo^ che tenne il Boonarroti
lavorando le sue eccellentissime statue; per-
ciocché vi sono alcuni ^ che altri modi
tenendo 9 cominciano a levare ora in uà
luogo ora in un altro , ritondando la figu^
ra^ e per cotal via si son (atti a creder^
di condurre più presto a fine le loro sta-
tue, dove si SODO accorti, molto più tempo
spendendo y . del loro errore^ e sono talora
stati necessitati a rappezzarle. Né pure io
questo disordine sono incorsi^ ma in altri ^
che sono inrimediabili 3 e perciò lodo, che
seguitando i detti modi V artefice si governi
con grandissima pazienza , cercando di ope*
rar poco e con grandissima perfezione , non
volendo essere tenuto artefi'ce di poca sti-
ma. Non avrei lasciato in questo luogo di
descrivere la forma di tutti i ferri e maz-
zuoli y che in tal arte sono necessarj , se io
non avessi giudicata superflua tal diligenza
per la trita notìzia , che generalmente se
n^ ha per ciascuno 3 e però trapassando più
avanti verremo a dire de' colossi.
CAPITOLO V.
Del modo di condurre i colossi; e del ri-
crescere i modelli da braccia' piccole a
braccia grandi^ per mezzo di una nuova
regola.
JNoN volendo lasciare di trattare di
tutte quell'opere, che da me sono state
falle; perciò vengo a ragionare de' colossi ^
scuLTtmA. ao3
] quali gli antichi d^ altezza incredibile si
dilettarono di fare y benché oggi nessuno
di questi si vegga ^ che ci possa far più
certa testimonianza della loro grandezza in-
credibile ^ di quello che in più pezzi si vede
ancora in Roma y del quale la lesta senza
il suo collo ^ essendo stata da me diligen-
temente misurata, è alta più di due braccia
e mezzo Fiorentine ; laonde per cotal misura
veniva Finterò della detta statua e colosso
a esser atto venti braccia in circa. Il con-^
durre simili opere, come ciascuno pud fa-
cilmente considerare y è difficilissima impre*
sa; onde io ritrovandomi in Francia a^servizj
del Re ( come più volte ho detto ) e im-
maginandomi sempre di far cose degne del
suo eroico animo ^ mi deliberai di fare un
colosso y d' altezza di quaranta braccia , il
quale fosse accompagnato da altre figure ^
e questa fu P invenzione : prima feci uà
modello d' una fonte , perciocché i detti or*'
namenti avevano da essere posti a Fontana
Belio ^ e il detto modello era di forma qua-
dra , e in mezzo a detta forma vi era po-
sto y pur della medesima forma quadra ,
un sodo y il quale appariva di sopra l' acqua
per r altezza di quattro braccia, e il detto
imbasamento era tutto ornato d^ imprese
fatte dal detto Re; e sopra la base vi aveva
adattato lo Dio Marte ^ che aveva da es-
sere il colosso, e sopra ciascun angolo poi vi
era una figura; le quali figure tutte insieme
venivano a dimostrare le principali arti, di
che il Re si era jgrandecuente dilettato^
^o4 CSPtLl3l
siccome arme , lettere , scaltarm y pittnni é
arcbitettara. Così aTendo latto il modello a
braccia piccole j le quali tiraaJo a inraccia
grandi, la principal figura veniva a essere
braccia quaranta , come s' è detto y e questo
mostrato al Re, e dettagli la mia inveozìo*
ne y avendo S. M. benissimo esammalo e in-
teso da me il modo, cb^ io terrei in coo^
darre co» gran macchina, restato di dò
capace, dette commessiooe, che non mi
si mancasse di casa alcuna, fiicendomi
animo a tirare inoanxi la detta impresa.
Avendo adunque £itto questo piccolo mo-
dello con grandissima diligenza, e volendone
£ire il modello grande quanto doveva es-
sere il colosso , non mi parendo possibile
di poter ricrescere con buona regola dalle
braccia piccole aUe braccia grande, sicdiè
egli fusse venuto con quella bella propor-
zione , che nel piccolo si vedeva , per que-
sta cagione adunque deliberai di £airlo grande
primieramente tre braccia: cosi lo feci di
gesso , acciocché meglio potesse resistere
alla fatica, che aveva da sopportare per le
contioae misure, che si avevano da fare
sopra di esso. E questo secondo modello cer-
cai di finir bellissimo , e con più diligenza
e studio , che nel piccolo non aveva se-
guito. Ciò fatto mi posi a ricrescer V opera
all'altezza delle quaranta braccia, tenoido
questo modo. In prima compartii il detto
modello di tre braccia in quaranta braccia
piccole, e il braccio partii in ventiquattro
parti , e conosciuto , che alla grandezza^ che
SCULTURA. aoS
bisognava y eh' io lo riducessi j questa sola
regola non m^ avrebbe servito y a questa
n^ aggiunsi un' altra da me veramente ritro*
vata. Io presi quattro legni quadri, della
grossezza di tre dita per ogni verso y i quali
erano dirittissimi e ben lavorati , ed erano
deir altezza appunto della mia figura: que^
sti adunque ficcai dirittamente colF arcbi-
penzolo in terra , tanto discosto dalla figura
quanto un uomo poteva entrare dentro
nella manica, la quale era soppannata e
vestita d^asse dirittissime, lasciandovi di dtsn-
tro un piccolo uscetto da entrare in essa.
Ciò fatto, cominciai a misurare nel pavi*
mento della stanza, dov'io era, un profilo
di tutte le dette quaranta braccia, e vedu-
to , che la regola mi riusciva giusta , mi
posi a fare un^armadura di tre braccia, la
quale io traeva dal detto otiodello; e la
detta armadura era tessuta tutta di legni ,
che si raggiravano intorno a un dirittissimo
stile, cbe serviva per la gamba manca, so-*
pra la quale si posava la mia figura. Cosi
andava tessendo la detta armadura , e pi«
gliando le misure della manica al corpo
della figura, dandole quel vantaggio^ ch^ io
voleva, che servisse per la carne da vestire
dett' armadura , cioè l'ossatura della figura^
Conseguito questo^ feci dirizzare uno stila
grande in mezzo appunto a un cortile ,
dovalo era per far la de tt' opera, il quale stile
usciva fuori della base quaranta braccia j e
dipoi v' aggiunsi gli altri quattro stili , cio^
«PO per angolo I com'erano nel modello ^^ f»
ao6 CELLlffl
gli vestii d'asse, con la medesima diligenza,
che aveva usato nel piccolo ; dipoi comiociai
a tessere V ossatura colle medesime misure
sopraddette , pigliando sempre dall' ossatura
piccola , e ricrescendole da braccia piccole
a braccia grandi , pigliando però sempre le
misure per la parete intomo della manica
al corpo della mia figura, e a tutto il di-
nanzi e similmente a tutto il di dietro , sem*
pre per la distanza delle dette pareti. Riscon-
trava ancora per V intorno y e trovava , che
8* io mifussi fidato di ricrescere da braccia^
piccole a braccia grandi^ misurando sola-
mente la figura piccola e la grande ^ che
mi sarebbono avvenuti di grandi inconve-
nienti^ dove cos) governandomi, mi riusci
alla proporzione della figura piccola. E per«
che la detta figura posava , com^ ho detto ,
sopra il piede manco , il suo pie ritto era
alquanto alzato, e aveva fatto , ohe posasse
sopra un elmo , laddove , servendomi di
quest'occasione, avevo accomodata Fossa-
tura del detto colosso , che si potesse entrare
pel detto elmo e facilmente salire insino
dentro alla testa. Finito eh' io ebbi V ossa*
tura j andai col gesso vestendolo di carne y
e colla medesima' regola in breve tempo lo
condussi alta penultima pelle 3 e come fjo.
ridotto in tal termine, feci aprire la parte
dinanzi della manica , in che io V aveva
rinchiuso , e ciò fatto mi scostai per lo
spazio di quaranta braccia, che tanto per
quella parte mi concedeva il . cortile di
poteiraii alluingare^t e veddi insieme con
^ SCULTURA. 307
dimoiti iotendenti dell' arie y che la mia re*
gola non *im aveva ingannato ; percioccbèr
insieme con essi esaminando il model pie**
colo col grande , vedemmo ogni minuzia ^
che. appariva nel piccolo, ritrovarsi nel grandet
^ suo luogo e con bella proporzione. Fui
aiutato in 'dett^ opera per lo più da ma^
novali e altra sorte di gente imperitissima
nell^arte, e questo niente importava; per-
ciocché, essendo i muscoli di tanta smisurata
grandezza in detto luogo , facevano quello ,
eh' avrebbe fatto ogn' intendente per mezzo
dell» mia regola : e la ragione è ; come ho»
detto, k grandezza de' muscoli; i quali men-»
trechè si 'lavorano^ non potendo l'artefice ve--
derli da discosto , appena quanto è due volto
lungo un uomo (perchè accostandosi colla lun*
ghezza d^ un braccio, con che T uomo mette su
la materia, e dìscostandosi poi, sebben si vede
qualche cosa , non è pero tale , che possa
servire ad avvedersi delle grandi imperfe-
zioni , che potrebbono intervenire) ; perciòi
in tali luoghi , per mezso delle dette regolo
si può V arteéce servire a lavorare di mu-
ratori e uomini non pratichi E sono d' opi-
nione , che dalle sei braccia in su doven-^
dosi fare statue, non si possano condurre
proporzionate senza il modo da me rdccon-<
tato, o altro simile. Finito adunque il detto
modello lo mostrai al Re, il quale dimo-
strò grandissimo desiderio di ve lere , che
quest' opera si tirasse a fine ; i^ercioccfhè
egli mi prese a dimandare il modo più spe-
4Uq e breve ^ ch^io terrei in finii^^lo^ ond'ia
A08 CELLINI ^
risposi, che bbognava formarlo di più di
cento pezzi ^ i quali avrei tutti commessi
a coda di rondine , la qual cosa non mi
sarebbe difficile , ogni volta eh' io facessi in
prima un* ossatura di ferro ^ dov' io avrei ac-
comodato sopra qviei pezzi , eh' io avessi get-
tato, per fare il detto colosso^ cominciandomi
dappiedi, e andando di mano in mano com-
mettendo pezzo per pezzo sino alla testa.
E sebbene io vedeva alcuna diffiicuità in
mettere insieme la dett^ armadura di ferro ^
pur mi rincoravo di superare ogn^ impedi-
mento, osservando la medesima regola, eh' io
aveva tenuto quand' io feci la prima di le-
gno. Così essendomi spedito dèi mio ragio-
namento, e il Re datami commissione , ch^ io
seguitassi 1' opera , avendo di gijà cominGÌatf>
a Fontana Belio a tessere la dett'armadura
(come poita l' incostanza dell* umane cose)
per cagione dell' importantissime guerre e
altri accidenti , che accascarono in detto Re-
gno, fui costretto di lasciare cosi grand' opera
imperfetta. Passeremo ora a ragionar bre-
vemente sopra il modo, che tener si deb«
be , del disegnare ; le quali cose quantunque
paiano, comuqissime , pur non dovranno
dispiacere agU amorevoli dell' arte , ed a
coloro , che benignamente vanno esami-»
nando 1' altrui fatiche ; i quali in guisa del-
l' industriose api , da diversi fiori vanno
raccogliendo oi^ateria, onde comporre ne pos:^
9anO|, coaai'es&e fanno, aohili^isimo layoMu
SCULTURA. :iQg
capìtolo vi.
JBreve discorso intorno alt arte del disegno ,
doi^e si conclude, che la Scultura pre^
veglia alla Pittura , e che migliori y^r-
ckiteUi dii^er ranno quelli ^ che più per-
fetti Scultori saranno.
v-iON varie materie e in diversi modi
^i costuma di disegnare , cioè col carbone^
coUa biacca e colla peona. Colla penna si
disegna intersegando una lìnea sopra V al-
tra, e dove si vuol far pii!^ ombre, si so-
prappone più linee, e dove manco, vi si
fanno manco Une^, fintantoché si viene a
lasciare la carta bianca per i lumi. Questo
modo di disegnare è dif&cilissimo, e pochi
sono quelli , che eccellentemente abbiano,
disegnato bene di penna, e mediante tal
maniera di disegni s^ è ritrovato IVintagliar
le stampe col bulino in rame: fra' quali
intagliatori il più eccellente, cosi per ca-
gioiie della finezza dell'intaglio come per la
vivacità e finezza del disegno^ è stato Al- .
berte D^iro, uomo veramente mara^glioso«
jDisegnasi ancora in altra guisa , cioè poi-
ché si sarà, fatto i dintorni colla penna^ si
pigHano i pennelli,, e, come i dipintori fan-
no^ intignendoli nell' inchiostro mescolata
con acqua, si va, secondo il bisogno , or più
chiaro pr più scuro ombrando detti disegni^
e questo si chiama disegnare d' acquerelloi.
CdUni Ben. Fol. IIL 4
2 1 CEtLIKI
Tingonsi io oltre i fogli di vai) colori, e
indi sopra di quegli si disegna coUa matita
nera per far 1 ombre , e i lumi si fanno
colla biacca j la qual biacca si adoperà al*
cune volte in pastelli grossi quanto una
penna da scrivere, e sì fanno di biacca in-
trisa con uu poco di gomma arabica. Dise-
gnasi colla matita rossa e colla nera , e epa
queste pietre certamente riesce il disegno
vago soprammodo, e meglio che esercitando
i sopraddetti modi. Queste pietre adoperano
tutti i buoni disegnatori per ritrar dal vivo,,
perciocché avendo essi, secondochè meglio
giudicano , posto un braccio o una gamba,
e risolvendosi di "^ muoverlo o più alto o più
basso , o più innanzi, d più indietro , pos-
sono ciò fare facilmente^ essendoché con
itn poco di midólla di pane tosto si cancella
il segno , che. fa detta matita , o rossa o
nera che sia ; e questo modo di disegnare
è per lo migliore approvato.
Venendo adunque a parlare del disegno,
dico, secondo la mia opinione, il vero di-
segno non esser altro , che V ombra del rì^-
lievo^ e perciò si può dire il rilievo essere
il padre del disegno , e la pittura essere ve-
raiìiente un disegno colorito con gì' istessi
colori , che dimostra la natura. Dìpignesi io
due modi : V uno é quello , che imita con
tutti i colori quello , che Y istessa natura
dimostra ^ V altro è il dipignere di chiarQ
e di scuro ^ il qual modo ^ stato risuscitato
a^ nostri tempi m Roma da Pulidoro e Ma-
turino, grandissimi diaegnatori, i quali nel
Pontificato di Leone ^ d^ Adriano e di Cle-
mente^ feciono infinite opere in detta ma-
niera di chiaro scuro, poco curando d'at-
tendere a dipingere con colori. Ma tornando
al modo di disegnere, e dimostrare quanto
m' è occorso d^ osservare negli scorci ^ dico,
che più artefici spesso ci ritrovammo a stu^^
diare insieme, e facevamo stare un uomo
'di bella statura ed, età, in una camera im-
biancata , a sedere o ritto , con diverse atti-
tudini, mediante le quali potessimo vedere
i più difficili scorci 3 di poi gli ponevamo
tin lume dalla banda di dietro, non troppo
alto, non basso, né troppo discosto da lui,
ma lo fermavamo in guisa ,< che ci mostr^^sse
il vero ; e subitòchè si vedeva I' ombra^ che
esso mostrava nel muro , facendolo star fer-
mo , prestamente si profilava la dett' om- ,
bra , dipoi facilmente si faceva passare al-
cune linee , le quali non ci potevano essere
mostrate dalP ombra , siccome nella gros-
sezza del braccio sono alcune pieghe , che
vengono nella piegatura del gomito, cosi
nella spalla dentro e fuori, nella testa, in^
alcune parti del cQrpo, nelle gambe, nei
piedi e nelle mani , le quali non si possono
vedere. E questo è il vero modo di dise-
gnare, col quale si conseguisce essere ec-
cellente pittore, siccome è stato il postro
maraviglioso Michelagnolo Buonarroti , il
quale tengo per fermo , .che non per altra
cagione cotanto abbia valuto nella Pittura,
se noli perchè egli è stato il più perfetto'
scultore; e di quella ha avuto più singoiar
S I m CELLIlf I
polizia y che nessun altro, cKe sia stato ne*
tempi nostri. E qaal maggior lode si può
dare a una bella pittura , se non dir , ch^ ella
spicchi in tal modo , ch^ ella paia dì rilie*
vo? Il che ne fa accorti, che il rilievo è
il suo vero padre ^ e la pittura sua vaga e
graziosa figliuola. La pittura è una parte
deir otto principale vedute , alle quali è ob-
bligata la scultura : e ciò interviene , che
volendosi &re un ignudo di scultura , o
qualsivoglia altra figqra vestita , parlando
dell' ignudo , dico , che pigliando V artefice
terra b cera , e cominciando a imporre la
detta figura, facendosi alle vedute dinanzi ,
prima ch^ ei si risolva , molte volle alza ^
abbassa ,_ tira innan^ e indietro , e gli svolge
e drizza ogni suo membro. E poiché egli si
sia satisfatto di quella prima veduta dinan-
zi, volgendo la detta figura per canto ( ch^
viene a essere una delle quattro wedute prin-
cipali ) molte volte avverrà ch'egli la vegga
comparire con manco grazia; laonde è ne-
cessitalo a guastar di quella bella veduta ^
)a quale nelP animo suo avea di già statuita^
per accordarla colla nuova veduta ; e av-*
viene, che ogni volta ^he egli volga tutte
e quattro le dette vedute, se gli rappresen-
tino le medesime diflScuUà. Le quali vedute
non pur son otto , ma più di quaranta , es-
sendoché ogni poco che egli volga la sua
figura , un muscolo si mostra troppo o po-
co , talché si veggono di grandissime varie^
tà: cosi per tali cagioni 1' artefice é neces-
Sriti^to di levar dalla sua figura di quella belja
SCULTURA i I à
grafia della prima veduta, per accordarla coii
tutte V altre vedute , prestandola d'ogtì^ in-
torno a tutta la figura: la qual diffìcultà è
tale, ohe non mai si vide figura ìQessuna^
ohe mostrasse bene per tutt' i versi; Per V e-
sempio di Michelagnolo ci si rappresenta an-
cora quanta fosse la diffìcultà della Scultu-^
ra ; essendoché egli conducevà un ignudo ^
grande quant^ il vivo , con tutti i débiti studj
che egli usava nelle sue opere, in termine
di sette giorni ( ed a me occorse di vedere
talora, che dalla mattina alla sera egli aveva
finito un ignudo colle diligenze, che Tarté
permette; ma non restrigneiidoaìi a tempo
così breve, perciocché molte volte égli era
tirato da certi furóri mirabili, che nel la-
vorare gli venivano , ci basterà il termine
de^ sette giórni sopraddetti) dove che la-
vorando assiduamente sopra una statua di
marmo, della medesima grandezza, per ca-
gione della diffìcultà di dette vedute ^ é
della materia ancora, non la condUceva ix^
manco di sei mesi, siccome pia volte s^ è
osservato: il che intervenne similmente a
Donatello , scultore di sommo pregio ^ il
quale dipinse bene per sola cagione della
Scultura. Potrebbeisi ancora far argomento
della diffìcultà di quest^ arte dalla quantità
dell' opere , che fece il detto Michelagnoloj
essendoché ( parlando però per proporssio-
ne ) per ógni statua di marmo ile faceva
Cento di pittura , e non per altro ^ se npd
perché la pittura non era obbligata alk
diffìcultà delle tante vedute , come s* è déùoì
:a44 eELLiirì
laonde si poò concludere , che la detta dif-
ficoltà non naisca nella scultura per cagione
della materia solamente, ma per rispetto
de^ maggiori studj , che per conseguir tal
arte bisogna fare, e per le molte regole ,
che intorno a essa si debbono osservare ;
il che nella pittura non avviene; e perciò
(sempre modestamente parlando) dico, la
Scultura di gran lunga prevalere alla Pittu-
ra. Ma perchè questa opinione mi £i con-
descendere in un' altra attenente a tal ma-
teria, perciò non giudico fuor di proposito
il raccontarla ; ed è questa j ch^ io stimo ^
che tutti quegli artefici , che meglio per ra-
gione di Scultura intenderanno il modo dì^
fare un corpo umano colle sue proporzioni
e misure, quegli ancora migliori architetti
saranno, avendo aggiunto però F altre pai^
ti , che intorno a questa necessaria e no--
bìKssima arte si ricercano : e non solo mi
muove a dir questo il vedere la convenien-
za, che hanno gli edificj con quello del
corpo umano, ma perchè e la proporzione
e misura delle . colonne , e altri ornamenti-
ancora da quello si traggono, e da esso
corpo umano hanno avuto origine e fonda-
mento ; laonde , com' ho detto ,- tutti coloro^
che eccellentemente sapranno fare una sta-
tua colle sue corrispondenze di misure e
partii questi ancora tengo per fermò > che
più eccellenti riusciranno nelF Architettura ^
perciocché io presuppongo , che con mag-
gior difficultà ' e industria lavori lo sculto-
re, che il pittore per le ragioni sopraddette.
dalle quali diffitiultà e regole acquisterà un
particolar giudicio intorno alle fabbriche
chiunque sarà esercitatissimo nella Scultu-
ra* Ma non per questo è , eh' io voglia af*
fermare , che chi non è valente scultore
non possa essere buono architetto y percioc-
ché Bramante y Raffaello e roolt' altri ^ che
pittori furono ^ si veggono aver operato con
gran giudizio e vaghezza in dett' arte ; ma
non per questo sono arrivati ( deir Archi-
tettura parlando ) a quelF eccellenza ^ che si
vede esser pervenuto il nostro Buonarroti:
il che non da altro nasce,, se non perchè
'egli meglio, che alcun altro ^ ha inteso il
modo di fare una statua perfettamente, la
Stai cosa è stata la vera cagione, che egli
bia fatto le sue opere d'Architettura con
tanta gentilezza e grazia , sicché gli occhi
nostri non si possono saziare di riguardadi^»
£ questo ho voluto ancor dire non tanto
per cagione della Scultura e della Pittura,
ma perché molti vi sono , che talora con
picciol lume di disegno , e del tutto idioti
ardiscono di operare senza i veri fonila*
menti di quest^ arte , siccome intervenne di
Mk Terzo , mereiaio Ferrarese ^ che cou
certa sua inclinazione , che egU aveva nel-
TArchitettura , e per lo mezzo d^ alcuni li*
Jbri, che egli andava leggendo, che di tal
professione trattavano , cominciando a {>er^
suadere uomini d' importanza a fabbricare^
fece di molti edificj , e in tanto ardire ven-
ne, che lasciato il primo esercizio, e da-*
tosi air Architettura ^ diceva ; che i pia
•^l6 ' CELXINI
inteDtlenti y che fussero mai stati in tal aiv
te j erano Bi amante e Antonio da S. Gallo,
e che dopo quelli non cedeva ad alcuno,
laonde n' acquistò il nome di M. Terzo ^ non
sapendo, che Filippo di Ser Brunellesco il
primo fusse stato, che con maravigliosa in-
dustria Y ayea resuscitata dopo tant' anni ,
ch^ ella era del tutto restata estinta da' bar*
bari artefici. Ben è vero ^ che dopo, Filippo
non poco acquistò ne^ teihpi di Bramante^
d'Antonio da S. Gallo , e di Baldassarre P&-
ruzzi ; ma ultimamente s' è vista salire a su-
premo grado d^ eccellenza per cagione di
Michelagnolo^ il quale colla forza vivacis-
sima del disegno^ acquistata per lo mezzo
della Scultura, racconciò molte cose nel Tem<*
pio di S. Pietro di Roma , dove i sbprad^
detti avevano operato, che per comune giu-
dizio ora manifestamente si scorge quanto
più alle buone regole d'Architettura s' acco-
stino. Ma perchè io mi riserbo altra volta
a parlare di ciò, e particolarmente della
Prospettiva, dovMo farò palese, oltre a
quello ch'io intendo di trattare, infinite os-
servazioni di Lionardo da Vinci intorno a
detta Prospettiva , le quali trassi da un suo
bellissimo discorso, che poi mi fu tolto in«
sieme con altri miei scritti 3 perciò non sarò
più lungo , ma di quanto per ora ho detto
rapportandomi sempre a coloro, che con
maggiori e migliori fondamenti sapranno
senza passione meglio parlare delle cose, che
abbiamo ragionato, farò fine. Restami solo
a dire, che e per ricreazione del lettore ^
SCUIUTUIU. * 2117
-e per non mancare ancora a me stessa
occultando quelle cose , che mi possano es-
sere cagione di grandissima lode, m^ ho fatto
lecito di por qui alcune poesie volgari e
latine, (1) che io scelsi fra molte, colle
quali si degnarono più ingegni lodatissimi
di onorarmi per cagione della statua del
Perseo di bronzo , e del Crocifisso di mar^
mo , eh' io feci in Fiorenza.
FINE DEL SECONDO TRATTATO^
mammmtmmtm
(t) Vedi alla fine del VoIoim.
FRAMMENTO ^'^
DI UN DISC08S0
DI
BENVENUTO CELLINI
SOPRA I PRINCIPI E 'l MODO d' IMPARARB
l' arte del disegno.
Infra T altre maravigliose professioni p
che ha avute questa nostra Città di Firenze ,
dove certamente ella non solo ha aggiunto
gli antichi , ma anco passati , questo è stato
nella nobilissima Scultura, e Pittura, ed Àr«-
chitettura ; e che questo sia il vero , per viva
ragione si mostrerìi <il suo luogo. Ma per*
che il mio primo intento si è ragionare del-
l' arte ^ e del vero modo de' suoi prìpcipj p
2^0 CEìXltXl
siccome meglio ella si débbe appallare, del
che fare sì è stata voglia grandissima in
questi miei maggiori, né mai si sono re-
soluti di dare principio a una tanta utile
e piacevole impresa, sebbene io sono il mi*
nore di tanti e sì sublimi ingegni, perchè
tale utile a i vivi non si perda , in quel me^
glio modo , che natura mi porgerà , mi pi-
glierò questo carico volentieri^ non senza
grati fatica^ d mostrare e dare ad intendere^
ed esprimere con pia facilità, che io sap-
pia e possa, Un tanto glorioso concetto. Egli
è vero , che volendo cominciare una tanta
impresa , molti sarieno , che in prima fa-
rebbono un gran discorso, perchè volendo
muovere una tanto smisurata macchina , è
di necessità T adoperare moltissimi stromen-
ti ; ma perchè molte volte più presto affa-
stìdisce, che e^ porga piacere il vedere fare
tante preparazioni , piglieremo questo mi-
glior modo, cioè, che cominciando a ra-
gionare di tali arti , quello che noi vedremo
di mano in mano^ secondo le occasioni, che
ci farà mestiero , lo porremo in atto in
modo , che mettendolo nel proposito do-
v'egli accaggia, molto meglio si terrà a
memoria , che se e^ si fosse con altro ordine
proposto in prima ; e cusi piacevolmente
comincieremo a dar principio a tal ragiona-^
mento; Voi Prìncipi e Signori , che di tali
arti vi dilettate , e voi artisti eccellenti ^ e
voi giovani, vche apprendere le volete, per
certo dovete sapere, cheU più bello anima-*
le , che mai abbia fatto la umana natura f
\
\
ARTE BEL DISEGNO 221
81 è Stato r uomo , e la più bella parte , che
abbia l'uomo, si è la testa, e la più bella
e luaravigliosa cosà , che sia nella testa ^
si sono gli occhi ^ in modo che volendo
Tuomo imitare gli occhi, per essere tali
quali noi diciamo, è forza', che con assai
maggior fatica vi si metta , che in altre
parti d^ esso corpo non faria ; sicché a me
pare, che e^sia stato un grande inconveniente
})er infino a oggi^ per quanto io ho veduto^
i maestri mettere innanzi a, i poveretti te<-
nerissimi giovani per li loro principj a
imitare e ritrarre un occhio umano, e per-
chè il simile intervenne a me nella mìa
puerìzia, così penso, che agli altri avvenuto
sia. Io tengo per certo, che questo modo
non sia buono per le ragioni dette di so-
pra^ e che il vero e miglior modo sarebbe
di mettere innanzi cose più &cili, le quali
non solo più facili , ma sarìeno ancora molto
più utili , che non è il cominciare a ri-
trarre uno occhio. Io so bene certissimo ^
che qualche dappoco pedante , e qualche-
duno di questi imbrattamondi mi verranno
arguendo contro col dire» che un buon
maestro schermidore mette a i suoi discepoli
ne' principj in mano le armi più gravi, per-
chè poi le vere paiano più leggieri : a que-
sto io ar^i.il campo larghissimo da poter
fare un bellissimo ragion9mento in mia di-
fesa } ma perchè non servirebbe ad altro j
che al vento , ed io sono amico delle cour
clusioni , solo mi basta di avere a quer
^U tali tagliato la strada con questo ppcQ.
;31^ CILLINI
esempio , e cosi comincierò a mostrare il mio
buon modo essere più facile, che ritrarre uno
occhio^ e infinitamente più utile. Ora per-
chè tutta la importanza di queste tali virtù
consiste nel fare bene uno uomo e una
donna ignudi > a questo bisogna pensare^
che volendogli poter far bene, e tidursegli
sicuramente a memoria, è necessario di ve-
nire al fondamento di tali ignudi, il qual
fondamento si è le loro ossa; in modo che
quando tu arai recatoti a memoria una os-
satura , tu non potrai mai fare figura, o vuoi
ignuda o vuoi vestita , con errori ; e questo
si è un gran dire. Io non dico già, che tu
sii sicuro per questo di fare le tue figure
con meglio o peggio grazia , ma solo ti
basti il farle senza errori, che di questo io
te ne assicuro. Ora considera, se sia più fa-
cile il ritrarre uno solo osso per cominciare ,
o sì veramente il ritrarre uno occhio uma-
no. Voglio, che tu cominci a ritrarre il primo
osso dello stinco della gamba, qual si chiama
.il fucile maggiore, a t^chè mettendo innanzi
questo tal principio a un tuo giovanetto di
tenera età, è certissimo, che a quello gli
parrà ritrarre un bastoncello; e perchè in
tutte le nobilissime arti la maggiore impor-
tanza , che è in esse , volendole vincere e
dominare^ non in altro consiste, che nel
pigliare animo sc^ra di loro , e^ • non sarà
cosi pusillo animo di fanciullo, che comin-
ciando a ritrarre un tal bastoncello d'osso,
che non si prometta di farlo , se non alla
prima , alle due benissimo ; ohe cosi non
ARTE DEL DISEGNO ^^2%
mteryerrebbe quando lo mettessi a ritrarre,
uno occhio. Dipoi aggiugnerai a quello l'al-^
tro fucile mÌDore , il quale si è un osso ,
che è y più che la metà , più sottile , e lo
metterai insieme col suo principale al luogo
suo. Appresso a questo , cioè sopra^ pep>
diritto j metterai fosso della coscia , il quale
è un solo ed è più grosso assai ^ che cia-^
scuno di questi due; che si chiama ...»
Dipòi metterai in mezzo la patella del gi«
lìoccbio ; e co^i gli farai benissimo recare
a memoria questi quattro pezzi d^osso in-
sieme^ rìtraendogli per tutti i versi, cioè
in faccia^ di dietro, e cosi per i dire suoi
profili; e a poco a poco gli comincierai a
dispiegare una certa parte degli ossi def
piede, li quali il detto giovane, o di qual-
sivoglia età uomo , gli verrà a annoverare ^
e se gli recherà benissimo a memoria; e ne
nascerà questo , che quando uno si ara
fatta familiare questa ossatura della gamba,
innanzichè e^ sì venga alla testa , tutti quegli
altri ossi gli parranno facili: e così a poco
a poco verrai tessendo questo bellissimo
ibtromento , il quale si è tutta la impor-
tanza di questa nostra arte. Comincierai
dipoi a fargli ritrarre uno di quegli bellis-
simi ossi delle anche, li quali fanno in
modo d^un catino, che altrimenti si doman-
dano . # , . , li quali incastrano con bellissimo
ordine in suU^osso della coscia, il quale
si assomiglia a una palla appiccata in su
uno bastone; e quell'osso detto anca ha la
lua cassa ben fatta ed ordinata, dove il
Ja4 CSLLIHI
detto osso della coscia gira per tutti i vev^
ày benché la natura ha ordinato, che e* noa
passi certi termini, che gli ritiene oo^ nervi,
e altri snoi belli ordilii, li quali si diranno
dipoi al luogo loro: da poi che tu arai ri*
tratto, e fattoti memoria di detti ossi, ct>^
mincierai a ritrarre un osso bellissimo , il
quale va in meczo alli due ossi dell'an-
che; questo osso è molto bello, e lo do-
mandano il codione, altrimenti si doman-
da ... • Questo osso ha otto buchi, per i
quali virtuosamente Ja maestra natura coi
nervi ed altre belle cose lega tutta questa
ossatura dell^ uomo insieme ^ e di bocca a
2uesto osso, in verso la terra, esQe il fine
ella stiena^.che pare, siccome veramente
eir è , una piccola codina , la quale è com-
posta di cinque ossicini. Cosi ritràlo assai
volte, tanto che facilmente ti verrà fatto
a memoria. Sappi , che questa codina in
queste nostre parti calde volge allo inden-^
tro, ma nelle parti freddissime, più sètto
la tramontana 9 il freddo la fa torcere in
fuori, e io rho veduta, che ella appari-
sce lunga quattro dita a quella sorte di uo*
mini, che si dicono gli Iberni, e paiono
cosa mostruosa , ma e^ non è altro , che
quello, che ti dico , che dove da noi ella
volge in dentro, a loro la natura del gran
freddo la fa volgere in fuora. Dipoi nove*
rerai la maravigliosa spina della stiena ,. che
si chiama . ^ . ., la quale sopra Tosso del
codione detto è composta di ventiquattro
Qssa , che sedici n,e va insiao aU^ appicca tujra
-ARTE DCL MSECIfO 335
dalle spalle, e otto ìnsino che $ì congiu-
gne colla testa, dove si chiama la nuca;
che questo osso ultìraio è tondo, come
^quello della coscia , dove la testa benissimo
gira. Tu debbi alcnno di questi ossi pigliarti
piacere di ritrarre , perchè è molto bello ;
ed ha un gran buco , dove passa il filo
delle rene , schiena che la diciamo^ Con
questa ossatura della &tiena si sono appic-
cate ventiquattro costole , dodici per banda y
che pare il corpo d' una galea ; e questa
detta costolatura ritràla assai, e fattela bene
umiliare , cosi in profilo come in faccia ,
cioè dinanzi e di dietro : troverai , che le
costole cominciano sopra 1 codione , passato
cinque ossi della schiena ^ al sesto osso si
comincia a appiccare le costole , tra le quali
le prime quattro sono spiccate , e le prime
due sono molto piccole e sono tutte di
osso , e la prima è ^piccola , la seconda è
assai maggiore, la terza ha appiccato un poco
di tenerume in cima , la quarta ne ha ap-
piccato un pezzo molto maggiore: queste
prime quattro si chiamano .... Ancora la
quinta non è appiccata all'osso dello sto-
maco, siccome sono l'altre s^tte, che sono
appiccate a un osso dello stomaco (questo
intendi , che è solo una parte del costola-*
me), il quale osso si è di tre pezzi ^ ed è
lungo ... Questo osso si è , come una pomi-
ce^ poroso, e si chiama.... Le dette sette
costole hanno qual la terza e qual la quarta
parie , di esse costole , di tenerume : che
tenerume non è altro , che uno ossa tenero
Cellini Ben. FoL ITI. i5
J26 / CALIMI
senza midollo, e meglio si pad aBSomigliare a
uno 0S80, che al nervo; avvegnaché Fosso è
frangibile e così è qaesto tenerume , ed il
nervo non è frangibile. Ora intendi bene ;
qoandotu ti arai recato bene a memoria questo
costplame, avvengachè poi tu gli porrai la
sua carne e pelle sopra, ^PP^? ^^^ quelle
cinque costole sciolte^ nel torcersi il coirpo
e nel piegarsi indietro ed iiuianzi, £iniio
apparire nella pelle molti bei rilievi e cavi ^
che sono delle belle cose che sieno nel corpo
umano , intorno al beUico ; e quelli , cha
non hanno benissimo a memoria queste tali
ossa , fanno le più diavole cose del mondo,
le quali cose io ho veduto fare a certi
pittori , anzi impiastratori presuntuosi y che
fidandosi di un poco di lor buona memo-
rinccia, senza altro studio se non quello
ch'egli hanno fatto ne' lor cattivi principj»
corrono a mettere in opera e non £ainoo
nulla di buono, e di poi si fanno uno abito
tale , che , quando e' volessero, non potreb*
bono far bene , e con quella lor praticaccia
accompagnata dalP avarizia fanno danno a
quegli, che sono per la buona via degli
stufij , e vergogna a i Principi , che , abba«
gliati da quella prestezza , mostrano al mondo
di non intendere nulla. I valeuti scultori e
pittori fanno le loro opere per molte cen«-
tina ja d* anni , è sono fatte per gloria de*
Prìncipi e v9go ornamento alle loro città:
adunque poiché elle hanno a avere così
lunga vita , perchè , tu valoroso e degno
Principe^ non aspetti^ ch'elle si facciano
ABrTE DEL DISEGNO % S^jf
bene , essendo la maggior parte della gloria
la tua 7 che dal far bene e far male non
importa due o tre anni, e considera, se lo
merita una tal opera , avendo dipoi tanta
vita. Sebbene io mi sono un poco scostato
da i segni del mio bel ragionamento , ecco
che io ritorno. Di sopra alla detta costola-
tura SODO due ossa fuori deir ordine del
costolame , che ciascuno de^ due si posa in
jBull'osso del petto, e tortuosamente vanno
a posarsi in sulFossa delle spalle. Questi
tali ossi non accade ritrarli «eparati, come
molti degli altri , qia insieme col costolame
farai d' avergli bene "a memoria : . questi si
domandano per nome jugidum. Appiccati
à questo detto osso appariscono due altri
ossi per di dietro , che paiono due palette :
questi sono belli ossi, e perchè egli hanno
certe costole, le quali si mostrano dipoi
f opra la pelle , dandogli innanzi al tuo di-
scepolo , in iscambio di uno occhio , se gli
recherà bene a memoria, perchè egU importa
assai ^ che quando un braccio fa qualche
forza , questo tale osso fa diverse e bellis-
sime azioni , - il che ( chi lo intende bene ) >
fa molto bel vedere in sulla schiena, per**
che si mostra molto sopra i muscoli di
detta stiena , ed ha nome os scapidaris. A
questo sono appiccate Fossa delle braccia |
che hanno il medesimo ordine che quelle
delle gambe , benché sieno assai minori j e
cosi questa ossatura delle braccia si debbe
mettere benissimo sicura alla memoria. Io
non ti dico, che usi il modo medesimo
appunto y che tu hai fatto nelle gambe ,
perchè quando tu sarai con gli ordini, che
io ti ho mostro y arrivato alle braccia , si*
curamente tu potrai ritrarre la ossatura di
un braccio tutta insieme colla mano , che
è cosa molto artifiziosa e bella ; bene è
il vero j che e^ si debbe ritrarla assai volte
}>er tutti i versi, e si Tuna manritta come
a mancina: ed in parte che tu conduci
queste braccia sicure a memoria , potrai
qualche volta cominciare , come per pia*
cere , a provarti alle maravigliose ossa del
teschio ; alle quali , dipoi che tu arai fatto
quel diligente ed assiduo studio in quella
sottossatura , al detto teschio , ti metterai
intorno^ e semprechè tu ne arai, per quel
verso che ti verrà fatto , ritratto qualcuna
che ti cominci a piacere , ti ingegnerai
d^ appiccargli V altre sottossa : benché que«
sto teschio vuole essere ritratto per moltiS'«
simi versi, acciocché benissimo te lo metta
nella memoria; perchè sappi per cosa cer-
tissima , che chi non intende né abbia bene
a memoria quest'ossa della testa, non pud
mai fare testa , in qualsivoglia modo né di
che sorte ella si sia , che abbia una grazia
al mondo. Sarebbe il meglio, che in mentre
che tu ritrai questa ossatura dell'uomo^ che
tu non disegnassi altra cosa di sorta alcuna^
per non ti aggravare la memoria in altro.
Innanzi che io mi scosti da questo impor-
tantissimo fondamento per entrare inaltro,
voglio, che tu sappi prima tutte le misure
di questa umana ossatura, perchè meglio
aute del disegno a2^
tu possa dipoi con più sicurtà comporci
sopra la sua carne ^ cioè i nervi , co^ quali
con tanta arte la divina natura lega que-
sto bello strumento , e i suoi muscoli di
carne, insieme colle dette ossa, da i nervi
legati. In questo mezzo ^ che tu vedrai mi-
surando queste ossa, tu ritrarrai questa os-
satura nel modo proprio , come se e^ fosse
UDO uomo vivo , cioè acconcerai la detta
ossatura^ che posi, per vedere la. gamba y
che posa, come e quanto eli' entra nella sua
anca, e il modo, ch^ ella fa a torcersi: cosi
la acconcerai ardita , che posi in su due
gambe aperte , volgendo la testa , e dando
attitudine ancora alle braccia : dipoi la ac-
concerai a sedere alta , e bassa , facendola
storcere per diversi modi ; e così facendo ti
Terrà fatto un fondamento tanto maraviglio-
so , il quale ti faciUterà tutte le gntn dif-
ficultà , che sono in questa nostra divina
arte. E per mostrartene uno esempio ed al-
legarti uno autor grandissimo, vedi le opere
di M. Michelagnolo Buonarruoti ; che la sua
alta maniera è tanto diversa dagli altri e^
da quella, che per P addietro si vedeva^ ed
è tanto piaciuta , non per altro , che per
avere tenuto questo ordine delle ossa : e che
^ia il vero , guarda tutte le opere sue tanto
di Scultura quanto di Pittura, che non tanto
i bellissimi muscoli ben posti a i luoghi loro
gli abbian fatto onore y quanto il mostrare
le ossa •.•....•«•..•
y
LETTERE, .DISCORSI
POESIE.
LETTERE
DI
BENVENUTO CELLINI
Tratte dalla
Raccolta di Lettere sulla Pittura^ Scultura
ed architettura
stampata in Roma nel 1754
LETTERA L
A. M. BENEÌDETTO TAACHI*
XER la vostra gratissima intendo come
areste piacere , che ci trovassimo in Vene-*
zia^ rispetto all' esservi un poco più como-
do } e io vi dico^ che tutti i vostri piaceri
non sono manco piaceri a me> che a voi;
e al tempo , che deputeremo , verrò in Ve-
nezia^ e in tutti que' luoghi, che vi piace-
rà : ma hene m' incresce assai , «he 1 nostro
i34 eCLLlHl
caro Loca (i) non possa venire, secondo
che ei mi scrìve. Resta per il suo piato. Di
grazia vedete se senza suo scomodo potesse
venire alla fine di questo , che anche a me
aarìi assai a proposito istare inaino al detto
tempo; perchè allora viene Àlbertaccio del
Bene a studio a Padova, mio carissimo ami-
co : talché alla fine di questo monteremo a
cavallo, e vogliamo andare a Loreto insie-
me ; e se non ve lo troveremo , lasceremo,
che , quando toma , gli sia fatto V ìmba-
sciata.
M. Benedetto mio caro^ voi mi dite, che
il nostro M. Pietro Bembo si lascia crescere
la barba , che per certo assai mi piace ; che
faremo cosa con molto più bella forma. Ora
per dirvi la cosa come ella sta , avendo que-
sta «fantasia di lasciarsi crescere la barba,
vi fo intendere, che in due mesi non sarà
tanto grande, che stia bene, che non sarà
più che due dita lunga • sarà imperfetta ,
a tale che facendo la sua testa, in meda-
glia , in questo modo , quando la barba venga
poi al suo dovere , la mia medaglia non so«
miglierà, e radendosi, manco somiglierà la
detta medaglia con la barba corta. Ora a
me parrebbe, che volendo fare cosa , che
stessè bene,' dovessimo lasciare venire la
(i) Luca Martini, di cui si & menziona nelle Rime
del Berni, nelle Notizie delVAccad. Fior., e ne^Fa*
sti Consolari del Canonico Salvino Salvird. Vedi il
▼oU f. a pag. 5 IO.
barba al suo dovere (i)^ e qtiesto sarà ìn-
fino a Quaresima^ e faremo cosa più lauda-
bile. Questo non pensiate, che io dica per
mettere tempo in metezo y che vi giuro , che
a tutt^ ora ^ che con un minimo verso mi
avvisiate, subito monterò a cavallo, così vo-
lentieri, quanto cosa che io facessi mai, e
così vi do mia fede. Se ei.vi pare, che que-
lita cosa ìstia ben così, e a proposito fusse
iscriverne a S. Signoria, e se ei vi pares-
se , che io iscrivessi , così male , un verso
di questo mio parere a S. Signoria, avvisa-
temi, e tanto faròj e state senza sospetto
del mio venire, che sono in tutto paratis-
aimo a i comandi vostri.
Il mio da bene vecchione Piloto (2) a
quest' ora dee esser morto , secondo che mi
scriye il mio Luca. Per certo, che m^ ha
dato assai dispiacere: pazienza. Non dirò al-
tro. Sono alli comandi vostri. Istate sano,
che Dio vi guardi.
Di Roma a d) 9. di Settembre i536.
Vostro Benvenuto Gellini orefice.
(i) Così fece il Bembo ^ e i suoi ritratti sono con
luDgbissinui barba. Il Vasari ne fece uno , cbe è in,
casa Valenti in Roma, ed è stato inciso da Gio. Gior-
gio Seuter; Tiziano un altro « che è inciso da Bar-
tolozzi; ed il Gellini, per quanto ci pare, lo ritrasse
finch'esso in medaglia con lunga bafba, come si è
detto nel voi. I. a pag. 545.
{%} Il Piloto, orefice famoso, di cui parla il Va-
sari nelle Vite di Ferino del Vaga, del Bandinello^
e del Buonarroti. Vedi il nostro voi. I. a paj[. i94«
e i55.
236 CKLLVn
LETTERA IL
iixo rrasso.
Virtuosissimo e gentilissimo ^
Magnifico M. Benedetto f^arcM,
molto mio Onorando (i)
jyioLTO meglio saprei dir le ragioni di
tanta valorosa arte a bocca, che a scrìver-
le j si per essere io male (3) dittatore , e
(1) Agitandosi aDora la questione intomo alla pre-
minenza fra la Scaltara e la Pittura, il Varchi ne
interrogò il Vasari, Agnolo Bronzino, il Puntormo,
il Tasso legna] uolo , Francesco da S. Gallo , il Tri-
bolo, il Cellini ed il Buonarroti, e pubblicò le let-
tere avutene in risposta, in fine della sua Opera stam-
pata in Fiorenza pel Torrentino nel i549> ^ tito*,
lo; Due Lezioni di M, Benedetto parchi, nella prima;
delle quali ji dichiara un Sonetto di M^ Mtchela»
gnoh Buonarroti, nella seconda si disputa quale sia
più nobile arie^ la Scultura o la Pittura ^ con una
tetterà di esso Michelagnoh e più altri eccellentis'^
sinU Pittori e Scultori , soppa la questione soprad-
detta. Noi abbiamo quindi tratta da questo libro la
presente lettera, la quale, per essere ivi stampata
alquanto scorrettamente fu, per nostro avViso, con
eccessiva libertà aggiustata nella Raccolta di Lettere
sulla Pittura ec. , essendovisi levati non solo gli er-
rori di stampa e d' ortografia , ma ben anche gli idio- '
tismi più comuni al Cellini; la preminenza por della
Scultura sulla Pittura fu dal nostro autore sostenuta
anche in altre occasioni , come può vedersi nel Ca-
pìtolo VI. del Trattato sulla Scultura, a nag. aio.,
e nei due Discorsi ^ che stanno ' dopo xe presentì
Lettere.
(2) Male per malo, vedi voi, a. p. 3o2.
ItTTCRC 237
peggio scrittore (i)- E pure , quale io so-
no, eccomi. Dico^ che Tante delia Scultura
infra tuttcri' arte (3), che s' interviene dir
segno, è maggiore sette volte; perchè una
statua di Scultura deve avere otto vedute ^
e conviene che le sieno tutte di cgual bon-
tà ; il perchè avviene , che molte volte lo
scultore manco amorevole a tale arte si con-
tenta d'una bella veduta, insino in dua, e
Eer non durare fatica di limare di quella
ella parte ^ e porlo in su quelle sei non
tanto belle, gli vien fatto molto scordata la
sua statua ; e per ognuno dieci gli è bia-
simato la sua figura, girandola intorno, di
quello che alla prima veduta la s' era di-
mostra (3) : dove qui si mostrò V eccellenza
di Michelagnolo per aveie osservato quanto
tale arte merita. E per mostrar maggior-
mente la grandezza di tale arte , oggi si vede
Michelagnolo essere il maggior pittore, che
mai ci sia stato notìzia né in fra gli Àati'
chi né in fra i Moderni , solo perchè tutto
quello, che fa di Pittura, lo cava dagli stu<*
diatissimi modelli fatti di Scultura ; né so
(i) Si e per così come, vedi voi. ^. pag. 3 18. e 245.
(2) Arte per ^rti\ e quindi in questa stessa lette-
la , composizione per composizioni , simplice per sim*
plici , tale per ra/ì, raccomandazione per raccomanm
dazioni sono idiotismi « come quelli di notte per not"
tij re/ir per reni ec,, già osservati nella Vita. Vedi
voi, 2. p. 523.
(3) Cioè gli è biasimata la statua , girandola,
dieci volte più di (juello che meritava alla prima
veduta^
y
^38 cELLon
conoscere chi più ^ appressi oi^gi « tale Te*
rità d'arte, che il virtaoso Bromino (i):
veggio gli albi immo^ersi ìnfira fioralisiy ^
di vederli (3) eoa molte composizione di
▼arj colorì, qual sono uno ingamiacoatadi*
ni (3). Dico, per tornare a tal grande arte
della Scultora , che si vede per isperìenza^
se voi volete &re solo ona coloana o à
veramente un vaso, qual son cose molto
simpUce, ^cendole disegnate io carta con
tutta quella misura e grazia, che in dise-
gno si può mostrare , e poi vedendo da quel
disegno colle medesime misure fare o la co-
lonna o il vaso di Scultura, diviene opera
non a gran pezzo graziata, come mos^va
il disegno, anzi par falso e sciocco; ma ia-
cenila il detto vaso, o colonna, di rilievo,
e da quello, o con misure o senza, met-
terlo in disegno, diviene soprammodo gra-
ziatissimo. E per mostrarne uno grand' es-
sempio, allegherò il gran Mìchelagnolo ( non
avendo mai avuto in tale arti maggióre mae-
stro), che volendo mostrare ai sua squa-
dratori, con i scarpellini, certe finestre, si
messe a farle di terra, piccole , innanzi che
venisse ad altre misure col . disegno : non
dico o di colouna o d^ archi e d'altre molte
belle opere, che di suo si vede , qual son
(1) Agnolo Allori, detto il Bronzino,
(2) Qui sembra otnmessa qualche parola , per eseiQ:
pio. -•=: e parmi di vederli ec.
(5) Ingannaconiadini , parola composta come im'
hfanamondi.%, pag. U2i, ingannamacti , e simili.
tETTEAE 2^g
tutte fatte prima in questo modo. Gli altri^
che hanno fatto e fanno professione di ar-
chitetto y tirano (i) le òpere loro da un
piccol disegno fatto in carta, e di quello
fanno il modello ; e però sono manco suf-
ficienti di questo Angiolo. Ancora dico, che
questa maravigliosa arte dello statuare non
si può fare y se lo statuario non ha buona
cognizione di tutte le nobilissime arte; per-
chè volendo figurare un. milito con quelle
qualità e bravure , che se gli appartiene ^
convien , che il detto maestro sia bravissi-
mo, con buona cognizione dell'armi; e vo-
lendo figurare uno oratore y cpnvien , che
sia eloquentissimo e abbia cognizione della
buona scienza delle lettere ; volendo figurare
un musico, conviene, che il detto abbia
musica diversa, perchè sappia alla sua sta-
tua ben collocare in mano uno sonoro instru-
mento; che gii sia di necessità Tesser poe-
ta^ di questo penso, che il valente Bronzino
ve n^arà scritta a pieno. Ci saria molte ed
infinite cose da dire sopra tale grande arte
della Scultura ^ ma assai basta a un tanto
(i) Nella Raccolta di Lettere sulla Piuura ec. que^
ito tirano viene spiegato per ricavano^ e viene detto
franzesismo appreso dal Celimi nella dimora fatta
in Francia. Potrebbesi però dire»' che tirano non
istia qui nel significato di traggono o ritraggono^ o
ricavano , ma ih quello di conducono a termine o
a perfezione i giacché parlandosi di lavori, /«raro
vale appunto condurre a fincn
2^0 CELLINI
gran ^nrtaoso, qaal voi siate (i), Tarei^ele
attenuato una piccola parte ^ per onanto può
il mio basso ingegno. Vi ricor<u> e dico,
come di sopra ^ che la Scoltnra è madre
di tutte l'arte, dove si interviene disegno;
e quello y che sarà valente scultore e di buona
maniera , gli sarìi fiicilissimo Y esser buon
prospettivo e architetto e maggior pittor
1>iù che quelli y che bene non posseggono
a Scultura : la Pittura non è altro , che o
albero o uomo o altra cosa , che si spec-
chi in un fonte.
La differenza y che è dalla iScuItura alla
Pittura À tanta, quanta è dalla ombra e la
cosa , che la V ombra. Subito che io ebbi
la vostra lettera, con quel puro ardore, che
io vi amo , corsi a scrivere questi parecchi
scorretti versi, e cosi in fona fo fine e mi
vi raccomando. Ftfò le raccomandazione
vostre. State sano, e vogliatemi bene;
Di Fiorenze il di a8. £ Gennaio i54&
Sempre paratissimo ai comandi vostri
Benvenuto Cellini.
(i) Siate in laoga di siete è idietUmo fioreotiuo,
cui Tedremo usato anche dal Lasca in uaa sua Ma«
drifaleva al veno 6a«
LETTERA III.
A H. W. (l) t^
n
rk poi che lo 111. ed Ecd. mio Signore
e Padrone mi comanda, che io debba do-
mandare e porre pregio alla mia opera del
Perseo , la quale per insino del mese d^ A-
»rile del 1 55 4.9 nella Loggia della Piazza di
'^ua Ecc. lasciai scoperta e finita del tutto ^
Iddio laldato (2) , con intera soddisfazione
dello Universale j di che mai T altra opera
di qualsivoglia maestro per insino a questo
di non v' è notizia , nò di tanta soddisfa-
zione né da pressò : (3) y di gran lunga : dì«
co^ che umilmente io priego Sua Ecc., che
cui doni delle mie &tiche di nove anni totto
quello, che di suo ^aqtissimo e di^oretissimo
giudizio pare e jbidce ; e- quale e' sia , venendo
coir intera sua boona grazia > sarò contentisi
simó, con^ maggior mia soddis&zione, che,
domandando (4), se bene io ne avessi molto
più che la mia domanda.
' • t
iiii»! iiha 11— ^«.^«axt^^ii» k n mi
(i) Nella Raccolta di Lettere sulla Pittura ec. aus*
sta lettera è intitolè^ta a N. N. ; ma da quanto leg-
gesi nella Vita dei Celimi pare diretta a Jacopo Guidi
da Volterra, segretario del Duca Cosimo 1.
(apDfiaafé^è *V5b% *^£intiquata in luogo di laudare.
(3) iV^ da presso, cioè ne poco minore.
(4) Cioè qualunque sia il premio j io ne sarò pia
contento, che se, domandando, io ricadessi pia della
mia domanda,
calmi Benv, Foh III. 16
s
^À2 Cd^LlHI
Ora per non mettere più tempo in mezzo
(che troppo è stato per il passato), sic-
come sforzato da quella, per ubUdire di-
co y che avendo a fare una tanta opera a
ogni altro Principe, io non la farci per fl
valore di quindici mila ducati d' oto, e qual
si voglia altro uomo non la saprebbe guar-
dare , non che fare. Ma per essere divoto
ed amorevole vassallo e servo di Sua lU;
Ecc., sarò conlentissimo, quando a quella
li piaccia di donarmi cinque mila ducati
i^ oro in oro contanti e cin(|ue mila nel
valsente di tanti beni immobili; perchè que-
sto resto della mia vita io mi sono resoluto
di vivete e morire al servizio di quella, e
90 io gli ho fatto una prima e co^ bella
opera , quest' altra spero di &rla maravi*
guosa (i), e di lasciarnli e gli Àniicfai é
i Moderni indietro, quanto, dal mondo io
sarò giudicato: di che tutlo ne proviene
immortale e laldabile gloria- a Sua 111. Ecc.
Solo io la scongiuro per il valore e ppten*»
zia di Dio, che prestissimo mi spedisca,
che tenendomi cosà mi ammazza; e si tU
cordi siccome io gli ho sempre detto di vo«
largii dare in serbo quel resto del mio po«
vero sussidio, che era rimasto del mio
felicissimo stato, io che io mi trovavo, vo-
lendo contento correre seco la sua felicissima
I
(i) L^ altra opem, che il Cellìni doveva allora fare
al Duca, eran probabilmente i basa rilievi di bronzo,
per Santa Maria del Fiwe, de' quali parlasi nella Vita^
LEXTSaE 2^^
fortuita. GoQSideri ' Sua Ecc. se. io inaino
a questa di con le comodità grandi ^ che
io avevo, con quei Bar}>ari , che gran quan-
tità d^ oro- io vivrei messo insieofe. Non
ostante questo, io mi. contento molto più
d' uno 9cndo con Sua Ecc.j che di cento
d^^ ogni altro Principe ^ sempre ppregando
Iddio y che felicissima la conservi.
I .■'!..,
Firenze i554. . ;
Benvenuto Gellini.,
LETTERA IV.
1.
M molto Magnifico e ^Virtuosissimo
M, Ben/^Uo V'archi y
mio . Osservandissimo.
IViAGTfipico Iti. Beoedetto e molto mio
Osservaudis^ioio ,' vói avete b sa|)ei'e come
ìq ho perduto un mio unico figliuolo^ quasi
allevato; né mi pareva 'mai avere avuto, in
tfttta il tempo ddlla vita mia, cosa, che più
del mondo mi piacesse. Ora me Io ha ru-
bato la morte in quattro giorni ; e potette'
taale in me il duolo ^ che io credetti sicu-
ramente andarmene seco, perchè egli mi
pam essere privo di non isperare mai più
un tale tesoro per le cause evidenti. £ per*-'
che egli mi. è piaciuto fargli per mio con-
tento un poco di lume, ho avuto grazia da^
344 COAJMl
Frati della NonÉiaU, che mi hanno con*
ceduto , cV io faccia nn Deposito dì lai ìd«
aioo a tanto 9 ch'egli piaccia a Dio^ che
io me ne vada a dormire a^ canto a lui in
un poco di sepoltura^ quale pot!à farsi
dalla povertà mia a quel tempo. Intanto io
voglio far dipignere questo Deportino con
due Angeletti con le faci in mano , e in
mezzo a essi uno epitaffio, quale io mostro
con questo mio rozzo modo 'e inetto; che
io so, che voi con quelle vostre mirahili
virtudi molto meglio direte quello , che io
vorrei direj e piacendovi farlo latino o to-
scano, tutto rimetto al vostro infallibile ju«
dicio : ^ se io vi affatico a questa volta per-
donatemi , e comandate a me ^ che sono per
servirvi sempre paratissimo*
Di Firenze agli XXII. di Maggio i563.
Il concetto mio, che io desidero, che
sia espresso da voi si è tde:
Giov9n Cellini , a^Benveuuto solo
Figlio , qui jaqe. Morto al mondo il tolse
Tenero dranni. Mai le Parche scipite
Tal speme in fil dairuno all'altro Polo (f)«
Sempre parati^mo alli aervfej di V. S.
Benvenutp Cellini (a)
mrmm
(i) Intorno a ciuesto Giovanni^ 6glio di Benvenu*
to, vedr i Bicorài 22. Magj^o i56o. , t. Dicem«
bre i56i., e 19. Febbraio 1S62.
( I ) Un' altra lettera del Cellini al Varcìhi fii da nai
più opportunamente messa in fronte alla Vita di es-
so, ed un frammento di un'altra a I^a Atartìm
fu inserito a pag. 34'* del voi. f»
34$
DISCORSO
« • »
j ,
DI
BENVENUTO CELLINI
DEIX' ARCHITETTURA,
Tratto da un Codice MS. detta R. Biblio-
teca di, P^enezia, e pubblicato per la prima
volta dal chiariss. Sig. Cav. Jacopo Mo-
relli nella sua opera F CODICI MANO-
SCRITTI rOLG ARI DELL i LIBRE-
RIA NANIANA. Fenezia 1776.
L7 -
AKdfiTBTTiimÀ A è arte airuomo di
graDcliasiiSia necessità, siccome sua vesta e at-
madara^e ancora per i bei suoi ornamenti
la diviene cosa mirabile , e perchè ancora
essa è figliuola seconda della grande Scul-
tura : di modo che quelli che saranno grandi
scultori , tanto con maggiore ragione fa-
ranno utHe e bella T Architettura* Gli è
bene il verO; che Tè tatito piùlacile della
2 46 «ELLINI
Pittara • aaaoto è differfUte la^ detta Pittura
dalla sua gran madre Scultura. E che sia
il vero di questa sua Cicilità , io nou voglio
ascondere J mondo uè mi voglio ritenere
di non dire^ che òi sono stati alcuni fuor
delja pvof|ps9ioBQ^del, 4if^P0, € untandosi
inclinati a questa degtia 'arte delV Archi-
tettura ^ ci si sono messi a operare di essa «
e con buona lor ioftupa, da ^r^ Signori
sono stati messi in opera. 1B per mostrare^
che questo è il vero, attempo del Duca
Ercole., Duca di Ferrara ^ nel mille cinque-
cento trenta cinque , si risentì ih . Ferrara
un. suo vassallo^, il q^àle era méròiajo, e
r arte sua • propria si era il fare bottoni
moreschi e co^i cose apparteneatì alla, mer*
ceria, e siccome io dicct, sentendoci chiamare
da questa arte^ e con il leggere e eoa
l'operare qualche poco in disegno mostran-
dosi air Eccellenza del Duca, sua Eccellen"
za , amatore delle virtù, volentieri lo messe
in opera , dandogli grandissimo animo ; per
la qual cosa fu tale e tanto, che si vede
dell opere sue assai. Il detto venne in
tanto ardire , ch^ ei si accomodò di un aome^
con il quale lui oontimiamente si faceva
chiamare: il nome, che lui sì faceva chia-
mare , si era Macero Tierzo; Essendo do-^
miandato perchè si fiicéva domandare Mae*
skro Terzo, disse non aver coooscsuto in fra
i Moderni il maggiore architetto di Mae*-
stro Bramante, e per il secondo, Maestro An-
tonio da San Gallo; talché lui veniva a es-
sere il teroo. Co:^ ho conosciuto moU4 altri
ÀRCHlTEtTURA tà^J
itomtni di bassa arte , i quali si sono dati al-
l' Arciiìtettura , e di quella hanno dimostro
quatclie cosa : e qMsto avviene perchè F arte
à piacevolissima , siccome seconda figliuola
della sopraddetta Scultura; di modo che la
viene a essere la terza arte* Noi troviamo
altrimenti , che non disse Maestro Terzo ;
perchè da poi che h fu smarrita dagli An«
tichi' quella vera e bellissima maniera fatta
dà quei maggiori scultori virtuosi , eorse per
li niondo una maniera di Tedeschi, siccome
01 v«*de per tutta la Italia, non tanto la
Francia e la Spagna e la Germania; e in
Firenze, mia patria, si edificò per le mani
di costoro il nostro gran tempio di Santa
Reparata , principal Duomo della città ^ nei
quale sì è speso presso a dua milioni d'oro;
dà sorte che , avendo a coprire con la sua
gran tribuna il detto Duomo, in questo
tempo sì era cominciato a risentire nella
detta città alcun bello ingegno, i quali ab*
borrivano a quella secca maniera Tedesca:
e il pri^lO , che si destasse con virtuosissimo
ardire, si fu un nostro eccellente scultore,
il quale, si domandava per nome Pippo di
Ser* Brunellesco; e siccome egli aveva la
bella maniera nello scolpire, cosi piacevol-
mten te cominciò a mostrare a quegli uomini ,
che erano operaj in quel tempo di tal gran
macchina , come quella maniera non era
secondo il bel modo degli Antichi , anzi era
cosa barbara e discosta da ogni buona re^
gola : di modo che questi uomini da bene
gli deltono animo e lecionlo operare j e
34^ CEtLINl
con i belli sua . m<>deni invaghì tanto quei
nobilissimi cittadini , che subito lo messero
in opera ; qual fu causa di . fare quella bel-
lissima tribuna al tempio, che oggi si vede;
e appresso a questa con i sua^ modelli si
edificò San Lorenzo e. Santo Spìrito e il
tempio di f^ippo Spana , . il quale è cosa
maravigliosisstma; ma fu lasciato imperfetto.
Questo fu il primo architetto dagli Antichi
in qua ^ e siccome io dico , era eccellente
scultore. Da poi si destò Bramante, il quale
era assai buon pittóre. Questo uomo fa
messo in opera da I^apa Giulio Secondo nel
mille cinquecento. Il detto Papa Giulio gli
dette grandissima e bellissima occasione^
perchè gli fece , dar principio a una gran
muraglia, la quale ancora oggi si vede in
essere, a Belvedere di Roma. Ancora messe
mano nella gran chiesa di San Pietro con
tanta bella maniera degli Antichi , sì per es-
ser lui pittore , e sì per vedere e conoscere
le belle cose, che ancor si veggono, degli
Antichi, benché gran parte rovinate. Questo
uomo veramente fu il secondo, che aperse
gli occhi al vero bello dell'Architettura. Venne
a morte , e non avendo possuto finire la
sua bella tribuna di. San Fietro (sebbene
aveva gittato tutti gli archi) e per non si
vedere resoluto modello di detta tribuna ^ e
avendosi fatto un discepolo , il quale era
divenuto valentissimo uomo , questo fu ado-
perato; e questo si fu Maestro Antonio da
San Gallo, nostro Fiorentino. Ma per non
essere stato né scultore uè pittore^ anzi
ARCHITETTURA ^49
maestro di legoanie solamente \ però nion si
^ide mai di lui nelle sne opere di Architettura
una certa nobil virtù ^ come s' è vista nel
nostro vero Terzo, .qual si può doman*^
dare primo di tutti, Michelagnolo Buonar«^
roti , al^ quale fn dato ordine di far la tri-
buna di San Pietro^ e così messe mano con
quella forza della sua mirabile Scultura ,
racconciò parecchie <^ù^e del gran Bramante,
e assai di Maestro Antonio detto , con uà
tanto virtuoso modo , die per essere V arte,
deir Architettura , siccome io ho detto dH
sopra, la terza arte> questo detto uomo F ha
tanto maravigliosamente agitata e messa in
opera, che non tanto ch'^egli abbia trapasr
sato tutti quei grandi uomini nioderni , che'
io ho detto , ancora le virtù sua mostrano^
ch'egli ha trapassato gli Antichi. Perchè T Arr
chitettura richiede tre parti, le quali sono
queste 4 la infinita bellezza^ che chiami gli
occhi degli uomini a vedere , anzi gli sforzi ;
la seconda , che la dimostri che cosa elF è ,
senza avenae a. domandare , con le sue co*
modità, che si appartiene a un tempio, o
a un palazzo , o anfiteatro , o fortezze , o
città , e cotai e6se , che ce ne saria assai da
dire y la terza si è , che sia fatta con arte e
con quella vera regola, che si appartiene
ai tre principali Ordini datici dagli Antichi ,
e' quaU Antichi ancora ne aggiunsono un
altro, il quale si domandò Composito, cioè
fatto un mescuglio ovvero una oompoi»zione
virtuosamente deir Ordine Dorico , Ionico^ ,
e Corintio : questo nostro Michelagnolo quasi
j5o CBLLiia
in talte le sue opere si è semto di <|ttel
quarto Ordine , cioè del Composito , il qiial
Ordine si è veramente fatto da lai slesso
differente da tutti gli altri degli Antichi ; e
questo si è tanto bello, tanto- comodo e tanto
utile 9 quanto immaginar si possa al mondo j
di modo che questo è il maggiore architet*
to j che f jsse m<'ii ^ solo perchè egli è stato
il maggiore scultore e il madore pittore.
6ià Lionbatista degli Alberti , nostro Fio«»
rentioo, scrisse degli Ordini deir Architettura>*
dati dal mirabile e studioso Vitrùvio , inge«
gnùsissimameAte e discretamente, non Le-
vando nulla dalli belli Ordiui dati dal detto.
Vitrùvio, ma sì bene accrebbe di molte
belle e utilissime cose di più, che non aveva
detto Vitrùvio, le qiiali sono veramente
mirabili ; e uno che vuol fare professione
d'Architettura^ gli è di necessita il vederle,
imperò vegga il libro del detto Lionbatistai^
che lo troverà utilissicnfo e bello. Dipoi si è
scoperto il Magnifico Mes^r Dameiio Bar-
baro, Patriarca d'Aquilea: questo ifobilissimo
e virtuosissimo gentiluomo ha comentato
Vitrùvio con tanta virtuosa ubbidienza ,
che tutte le cose difficiU , che a molti si tro-
vavano oscure, questo ' col suo virtuoso in**
gegno Pha mostre chiare e aperte, e non
b^ atteso ad altro , se non a cementare pu-
ramente Vrtruvio, e scoprirci le belle e mi-
rabili sue fatiche in questo nostro idioma.
Baldassare da Siena , eccellentissime pitto-
re, cercò della bella maniera dell'Architet-
tura; e per meglio chiarirsi qual fosse la
ARCHITBTTURA 2^1
migliore^ si sottomesse a ritrarre tutte le
belle maniere, ch'egli vedeva , delle cose
antiche in Roma , e non tanto in Roma ,
eh' ei cercò per tutto il mondo dove fusse
delle cose antiche , con mezzo di quegli ucm
mini . che si trovavano in diversi paesi : e
afendo ragunato una bella quantità di que**
ste diverse maniere , molte volte disse , che
conosceva, che Yitruvio non aveva scelto
di queste belle maniere b più bella, siccome
quello, che non era né pittore né scultore,
la qual cosa lo faceva incognito del più bello
di questa mirabile arte. Il detto Paldassare
aveva per strettissimo amico suo un Bolon
gne^e , che si domandava Bastianino Serlio^
Questo detto Bastiano era maestro di legna*
me, e per essere tanto intrinseco di BaldasK
sare,' quasi più del tempo si trovava seco
a ritrarre le sopraddette opere; e. avendo
il detto Baldassare assai ragionamenti con
il detto Bastiano, mostravagli per chiarissime
ragioni, che Yitruvio non avea chito la re^
gola a quel pia bello delle cose degli An-
tichi } di miodo che in su quelle fatidie co-
piate dagli Antichi il detto Baldassare aveva
fatto una scelta , secondo il suo buon giudi-
zio , siccome eccellente pittore ; e avendo
messo tutto in ordine , sopravvenne la morte
al povero virtuoso; qual fu gran danno al
mondo : e restando queste fatiche in mano
al sopraddetto Bastiano , egli le fece stam*^
pare ; <;be sebbene le non sono cpn quel
virtuoso ordine^ che voleva dar loro il detto
Baldi^sare , a ogni modo se ne cava
/
y
V
j5a CCLLUII
grandissimo (rutto , massimamente da qaegU
nomini, che jianno buon disegno e cogaizione
dell' arte. Il detto Bastiano protHesse cinque
libri al mondo sopra gii Ordini deirArchi-
tettura , e ancora sopra le regole delia- Pro*
spetti va: infra i cinque libri egli ne fece
uno in fra gli altri al senrizio del Re Fran*
Cesco nel mille cinquecento quarantadua,
doVe io ero al servizio del detto Re. E per*
che io m' affaUeavo volenlierì^ aiicora io
avevo ritrovato alcune belle cose^ fra le
3uali era un libro scritto in penna , copiato
a uno del gran Lio nardo da Vinci* Il netto
libro avendolo un povero gentiluomo, egli
me lo dette per quindici scudi d^ oro. Que«
sto libro era di tanta virtù e di tanto bel
modo di fare^ secondo il mirabile ingegna
del detto Lio nardo (^il quale io non credo
mai , che maggior uomo nascesse al mondo
di lui ) sopra le tre grandi arti Scultura \
Pittura e Àrchitettu]:a. £ perchè egli era
abbondante di tanto, grandissimo ing^no,
avenclo qualche cognizione di lettere latine
e greche , il Re Francesco , emendo inna-
morato gagliardissimaa>ente di quelle sue
gran virtù ^ pigliava tanto piacere a mentirlo
ragionare, che poche giornate deiranno si^
spiccava da lui; qual fumo causa di aoo
gli dar facoltà di poter mettere in opera
quei sua mirabili studj , fatti con tanta di-
sciplina. Io non voglio mancare di ridire le
parole , che io sentii dire al |%e di lui ^ le
Jiali disse a me , presente il Cardinal di
errara e il Cardinal di Loreno e il Be di
ARCHITETTURA !25$
Navarra: disse, che nou credeva mai, che
altro uomo fusse nato al mondo ^ che sa*
pesse tanto quanto Lionardo^ non tanto cti
Scultura, Pittura e Àrobitettura, quanto eh' e-
gli era grandissimo Filosofo^ Or tornando al
libro ^ che io ebbi, del detto Liouardo, in
fra le altre mirabili cose , ch^ erano in su
esso , trovai un Discorso della Prospettiva^
il più bello che mai fusse trorato da altro
uomo al mondo: perchè le regole della
Prospettiva mostrano solametite Io scortare
della longitudine, e non quelle della lati«
tudine e altitudine^ Il detto Liooardo aveva
trovato le resole , e le dava ad intendere
con tanta bella facilità e ordine, che ogni
«omo, che le vedeva^ ne era capacissimo:
e siccome io dico disopra, mentre che io
servivo quel Re Francesco y essendovi il so*
{)raddetto Bastiano Serlio , avendo lui vo-
ontà di trar fuora questi libri di Prospet-
tiva , mi richiese , che io gli mostrassi quel
miral>ile piscorso del gran Lionardo da Vin«
ci , il quale io fui contento ; e il detto ne
messe in luce un poco, tanto quanto il suo
ingegno potette capire j e • io , che taoto ero
occupato nelle Opere , che io facevo al Re,
non pensai mai, che mi avesse a venir vo*
{;lia , o di aver comodità di potere scrivere:
a quale , Iddio sia ringraziato , che di poi
che io ebbi finita V opera in piazza di Sua .
Eccellenza^ cioè Perseo, e fatto un mio Gru*
cifisso di marmo, grande quanto il natura-
le, sebbene ei mi fu più voile. dato inten-
zione di mettermi in grandi opere^ noa
^
jl54 CÉlJtlNI
Tenendo poi a fine di cotal cosa , per don
stare in ozio affatto , non avendo potato
ayer licenza da Sua Eccellenza Illustrìssima ,
mi sono messo a scrivere questo poco del
discorso di queste arti; in fra le quali io
spero di questa Prospettiva mettere in lu«
ce 9 secondo i capricci del gran Lionardo
da Vinci , pittore eccellentissimo , cosa chd
sarà utilisJsima al mondo; ma voglio che sia
libro appartato da questo, perchè non vo-
glio mescolare tante cose insieme^ e questo
voglio che basti. Ancora non voglio man-
care di dare grand^ animo a tutti quegli, che
con grande studio si dilettano di operare;
avvengachè nella fine del mio Perseo, quale
io aveva fatto con tutte quelle maggiori di*
scipline di studio , che per me si possette^
e il maggior desiderio, che io avessi al mon-
do, e il più glorioso premio, che io ne de-
sideravo , si era il piacere più che per me
si poteva alia maravigliosa Scuola Fioren-j
tina^ e trovando l' opera mia messa in mezzo
di quel mirabile Donatello e di quel mara-
viglioso >ficheIagnolo Buonarroti, conosciuto
le grandissime loro virtù: non già che io
aspettassi , che la detta Scuola mi sgraffiaisse
il viso tanto quanto T aveva fatta airErcole
e al Caco del Bandinello; ma sì bene aspet-
tavo qualche punzecchiata , siccome s^ nsa
nelle grandi Scuole, sebbene un'opera s'ac-
costa al meglio , alla Scuola non manca mai
che dire : imperò a me avvenne tutto il con-
trario ; perchè non tanto i valorosi e dotti
poeti m' empierono la basa di versi latini e
AKCHITETTURA i55
volgari , che ancora quei più eccellenti di
mia professione^ scultori e pittori, scrissono
tanto onoratamente in lode della detta ope*
ra^ che io mi domandai satis&ttissimo lo
averne' ri'lratto il magjgipr premio / che io
desideravo, (i)
t I » ^
> • >
i"* ■
fi) Poco per altro fu Icxlato il Perseo dal BaDdl«>
BeBo, amico acerriiao del Cellini, non meno cht
dal poeta satin* p Alfonso de' Pazzi ^ di cui leggonsi
n; i Terzo Libro delle Opere Burtesche del Bemi. cc;
i seguenti versi:
Corpo di vecchio e gamhe di fanciulla
Sa. il nufivù Perseo^ e tutto insieme
Ci può bello pfirer , ma non vai nulla.
DISCORSO
DI
M. BENVENUTO CELLim,
CITTADIKO FIO&EHTIHO;
SCULTORE ECCELLENTE^
Sopra la differenza nata ù^a gli Scultori e
Pittori j circa il luogo destro stato dato
alla Pittura nelle Essequie dd gran Mi^
chelagnolo Bonarroti.
Tratto dal libro intitolato :
Orazione o s^ero Discorso di M* Giovan
Maria Tarsia ^ fatto neU* Essequie del
disino Michelagnolo Buonarroti, con al'
cuni sonetti e prose latine e volgari di
Dispersi y circa il disparere occorso tra
gli Scultori e Pittori. In Fiorenza ap-
presso Bartolomeo Sermartelli M DLXUU.
in 4- (0-
X UTTE le opere, che si veggono fatte
dallo Iddio dt\\a Natura in cielo ed" in ter-
ra, sono tolte di Scaltura^ e per jpoierae
(i) Nel detto libro veramente si legge Discorso di
M* Benvenuto Ce*\rdni\ ma questo è senza dubbio
uno dei tanti errori di stampa, che nel medesimo sìr
ritf ovano. Vedi le Notizie deU^ Accademia Fiorentina»
il Negri Scrittori Fior., ed i KUratti ed E^i di
Illustri Toscani.
IN LODE DELLA. SCrjLTURA !^Sj
pia presto venire alla dimostras^ione di que-
sta arte della Scultura , lasseremo il raglo—
nare dei cieli, e solo ragioneremo di que*
hte cose terrestri, fatte dal medesimo Dio^
che fece i cieli. La più mirabìl cosa^ che
ai vegga in questa bella macchina della Ter-
ra^ si è r uomo; il quale fu fatto, nel moda
che si Tede , di rilievo tutto tondo , che si
chiama Scultura : cosi sono tutti gli animali^
tutte le piante e tutte T altre cose, infinite,,
come sono i fiori, Y erbe e i frutti : ci di-
mostra la Natura , d' aver fatto ija prima
acerbe tutte queste co tali belle opere ^ e da
poi per dimostrarle con più vaghezza e Ta<-
riate V una dalF altra , ella dette loro i co^
lori ; e cosi si domandano sculture colorite.
Non è da passare di non dire quei no*
mi , che si ha preso la Scultura , che vuol
dire scidpire veramente ; qual voce noo con-
tiene altro che mostrare Tessere opere ton-
de, palpabili e visibili. La Pittura non vuol
dir altro che bugia , perchè il nome suo vera
6Ì è il colorire , e colorire si aria a doman^
#]are; ma questo mirabile Uomo ha fatto una
Jbugia si bella e sì dilettevole^ che certa-
mente pare la verità, e sebbene questa è
Jbugia, questa è cosa laudabilissima. Perchè
l'è grandemente bella e grandemente dilet-
ta ^ essendosi dilettata e compiaciuta troppa
a sé stessa, di sòrte che (i) dagli occhi
\ (i) Questa di sorte che è pleonastico ^ o vale a^
àfdi sorte, come nella Vita^ voi. a. pw 'in^.
Celimi Bew. Voi. Ili. 17
^58 CELI.I9I
ignoranti ella ai è volata fare madre e pa-
dre j solo per la ignoranza di qtiesti tali y che
r hanno favorita. Egli è ben il vero^ che
sono i veri pittori , come è stato Donatel-
lo , Lionardo da Vinci ed il maraviglioso
Michelagnolo Buonarroti , questi in voce «
con gli loro scrìtti ancora , hanno chiarito^
che la Pittura non si^ altro che V ombra
delia sua madre Scoltura : e per essere stati
questi tre grandi uomini li maggiori scnlto-
rì , di che ci sia notizia nei Moderni , da
quella gran virtù della Scultura hanno tratto
tanto bene quella bugia della Pittura, che
mai altri uomini non si sono potuti appres-
sare a loro y per non essersi prima fatti dot-
tissimi nella Scultura.
Ora si verrà a mostrare certe chiare ra-
gioni , che una parte di esse potranno in-
tendere quelli non professori di tali arti , e
r altre parti intenderanno quelli pentitimi
di tali arti 3 di sorte spero non dare loro
campo di potere contraddire nulla. Io m^ in-
gegnerò^ quanto sia possibile^ di essere bre-
vissimo , avvenga che la venta dalla bugia
troppo da se stessa, senza il mio ajuto y chia-
ramente si difende.
Tutte le pitture, che fanno questi vir-
tuosissimi pittori, con grandissima sommes-
sione le copiano clalla loro gran madre
Scultura ; e per dar loro poi quelle mag-
gior lode , vien detto a quelli , che le veg-
gono; questa co tal pittura veramente pare
di rilievo. Oh debbes^egli cercar di asao-
xnigliarsi con tante e si grandi difficoltà a
IN LODE DCLLA SCULTORA 250
ttna cosa^ che sia da manco di quella^ che
egli opera, yolendola far maggiore di ogni
altra cosa tale ? Questa ragione sola dove-
ria bastare; ma per non voler mancare di
dar piacere a que* Virtuosi , che sono di di'*
verse professioni^ ci stenderemo in più chiare
ragioni , tal che , con questa insieme , ave-
remo speranza di soddisfarli affatto , facen-^^
doli di un cotal dubbio chiarissimi e certi.
Un pittore eccellentissimo^ siccome un
Jbugiardo , s^ ingegna di somigliare la verità.
Volendo , che la sua bugia sia più bella e
più piacevole ; '-^cosi questo pittore con la
sua mirabil virtù farà una figura con tutte
c[aelle discipline e studj, che se le perven-
gono, in otto giornate; e s' intende una fi-
gura ignuda, o mavStio o femmina, che a
fare egli si metta : a questo un eccellentis-
fiimo scultore, simile nella sua professione
al pittore, volendo egli fòre una figura , cioè
nno ignudo, o mastio o femmina, volendo
che sia ben fatto , ne porta ,. o di marmo
o di bronzo, tino anno intero di tempo.
Ancora si vede, che una pittura vive
molti pochi anni^ e quella di Scultura è
quasi eterna.
La Pittura è solo obbligata a una sola
veduta, e con un piccol profilo,* con gran-
dissima facilità accresce la sua opera di
bellezza infinita e la purga di ogni spiace-
volezza , che potesse avvenire agli occhi de*
riguardanti : la Scultura si comincia ancora
ella per una sol veduta; di poi s* incomincia
a volgere a poco a poco ^ e trovasi tanta
a6o CELtìNI
difEcuità in questo Tolgersi^ che quella prima
Teduta^ che arebbe contento in gran parte
il valente scultore^ vedutola per P altra par*
te j sì difnostra tanto differente da quella y
Spanto il bello dal brutto ; e cosi gU viea
atto questa grandissima fatica con cento
vedute o più, alle quali egli è necessitato
a levare di quel bellissimo modo, in che
ella si dimostrava per quella prima veduta^
ed accordarlo con quello altro modo brut-
tissimo, per ingegnarsi, eh' ella faccia il manco
male, che sia possibile, unitamente per tutti
ì versi che la si dimostri, e dtieste sono cento
vedute o più ; dove quelle della pittura sono
solamente una e non più: e di questo ne
possono essere tanto capaci i professori ,
quanto i non professori di tale arte,
Concludiamo alla 6ne,che la Pittura sia
veramente 1' ombra della Scultura con dili-
genza pulita ed assettata. E se bene noi
sapremo dire molte ed infinite cose bellis-
sime , conosciuto che questa verità da per
sé stessa tanto mirabilmente si difende e
prova , per non imbrattarla lasceremo la
fatica a quelli , che vogliono dire contro di
lei; li quali dicono, che volendo fare un^o-
pera di Scultura , agli scultori essere di ne^
cessila il farla prima in disegno* A questa
cicalata rispondono gli scultori , che quando
essi hanno scolpito , come valenti e sicuri
nomini nell'arte, quello che e'voglion fare,
pigliano per esprìmere il loro concetto terra
o cera , e con quella più facilmente e eoa
più brevità sì purgano delle difEcuità delle
vedute sopraddette.
\ •
IN LODE DBLLA SCULTURA. ^6l
Siccome io dico disopra, a mille loro
false proposte io potrei rispondere, e chia-
rirle ; ma perchè noi abbiamo tre voci di-
verse Tuna dair altra; delle quali tre (i) io
non mi voglio servire se non della prima,
la quale si è il ragionare ^ cioè dar la 'ra-
gione di quello^ che io ho voluto dire.
L' altre due voci sono favelli/Lre e cicalare :
r una si è dir favole *, e cicalare si è il ci-^
golare degli uccelli, il quale non ha tuono
jiessuno né con nulla si accorda , sebbene
e' non si discorda ; questo si è un mormo-
rio, il quale sebbene non consuona^ ancora
non dissuona: di modo che quelle sono fa*
Tole, cioè favellare y e questo cicalare è
una armonia di sogni. E con queste due
armi io so, che questi difensori della Pit-
tura , cioè della bugia , lungamente si dila-
teranno. Prestisi fede alla verità, sotto la
quale io mi ricopro , e con essa mi difendo*
i/"-?-' - 1 II I I I • ìli I Hill \\ t \' I II t" ' ' I I ri ' III- •• ì II iiiini li""' ' '
(t) Cio^ ài queste f>*e, giusta k iklànibi^ ^itl
tolU u|ata anch^ pieQa Yittit Y^di vqI i» pag. 2$3»
u62 rosa»
RISPOSTA
DEI. LASCA.
jL UTTE quelle ragion, ch^ accolte e sparte
In lode avete voi della «Satura,
Chi rettamente guarda e pon ben cura,
Vengon dalla materia, e non dall'Arte :
Al marmo il duro e '1 tondo , e d'ogni parte
Le sue vedute, dona la Natura:
Ma se cosi, come fa la Pittura,
Va le cose imitando a parte a parte,
Yeggìam chi meglio f più agevolmente
L'imita tutte, e consegue il suo fine;
£ quella ara Tonor meritamente:
Queste son le scienze e le dottrine y
Che la Filosofia dà finalmente
All'anime leggiadre e pellegrine:
Chi non vede alla fine;
Che la Pittura è più ampia e maggiore,
E più somiglia il ver, dando il colore?
Ella fa lo splendore
Del ciel , del sole , del fuoco ' e degli occhi,
E discerne le botte dai ranocchi:
Lasciate omai , capocchi,
Lasciate omai questa vostra perfidia.
E sia r onor d'Apelle , e non di Fidiiir
POESIE. St6ì
REPLICA
DEI CELLINI (l).
>••«••«
O .oi, ch.,v.U,„„„., pendo. s..ne^
Parole al vento ^ a far che la Scultura
Sie meo della sua ombra , abbiate cura^
Che chi non sa ^ nulla può dir delPA^rte.
Quelli, che poco sanno, piglian parte j
E quest ha l'Ignoranza per natura.
Ha solo una veduta la Pittura;
L^ altra è suggetta a più di cento parte.
Queir opre , che si fanno agevolmente ,
Soa poco degne , perchè presto han fine^
L'altre han gran lode più meritamente.
Chi pensa saper tutte le dottrine
^È filosofo sciocco finalmente^
Fuor del seggio deir alme pellegrine.
Non sa principio o fine
Quel che non riverisce il suo maggiore 3
Tal non discerne il cieco alcun colore ,
' E privo di splendore,
Cosi d^ ogni giudizio ha spento gli occhi ,
Simile a talpe ^ a lombrichi, a ranocchi.
Via, pedanti capocchi,
Che r ignoranza ha in voi cotal perfidia :
Poco è U saper d'Apeile a quel di Fidia, (d)
^4 POE818
(i) n sonetto precedente del Lasca , slampatd
anch' esso colla Orazione del Tarsia , fa riprodotto
fra le Rime di AntonfranceMCO Grazzini detto il
Lasca y pubbKcate in Firenze nel 1747*9 ^^ ì^ ^^
annotazione al medesimo, fa inserito ancbe il se-
l^iiente sonetto del Cellini , tratto da un esemplare
della Orazione suddetta , appartenente al Doti.
Anton Maria Biscioni , nel quale rìtroTasi manoscritto
con altre poesie del Boschereccio sullo stesso argo-
mento. -JNoi l' abbiam qui aggiunto, essendo cosa
notissima , che il Cellini stesso chiamavasi talor per
burla il Boschereccio , come può vedersi nella Pre-
fazione deir Editore fiorentino dei due Trattati.
(2) In questa lite di precedenza non sarà dis«
caro al lettore di sentire quanto scriveva al Varchi
il gran Buonarroti nel i546. Egli nella sua lettera
inclinava alla prima a dar la maggioranza aOa Scul-
tura , forse perchè in essa egli era più eccellente ,
dicendo : la Pittura mi par piti tenuta buona quanto
pih va verso il rilievo , e il rilievo piìi tenuto cai'
tivo guanto pih va verso la Pittura ; e però a me
soleva parere ^ che la Scultura fosse la lanterna
^lla Pittura y e che daW una all' altra fosse quella
differenza , che e dal Sole alla Luna : poi si cor-
resse, proscrivendo da grande ai^sta questa inutile
gara eoi dire, che la Pittura e la Scultura e una
medesitna cosa . . « e che venendo Vuna e P altra
da una medesima intelligeniut , si pub far fare loro
una buona pace insieme , e lasciar tante dispute ,
perchè vi va pih tempo che a far le figtare. Vedi
Lettere Pittoriche voi. i* p. 7.
MADRIGALESSA
PI Antonfbangesco Grazzini y
DETTO IL Lasca ^
Contro le dipinture fatte nella cupola di
Santa Maria del Fiore da Giorno Va^
sari di Arezzo e da Federico Zuccheri
di Castel S. Angiolo in Vado ^ tratta
dalle Ilime del medesimo , ediz. del 17471
V. i. p. :25i.; nella quale si fa onore-^
vale menzione del CellinL
X\iNGRAziàTO siaU Ciel^ pur s^è yeduto
La cupola scoperta
Più e più giorni stare :
£ quel tempo è venuto,
Ch^ ognuno a suo piacere
L^ ha potuta vedere ,
£ ben considerare^
£ dirne apertamente il suo parere«
Io voglio il mio tacere 9
Ma ben quel raccontare
Del popoi tutto, che generalmente^
Torcendo il grifo , dice , che- gli pare,
Che al mondo non si sia
Mai fatto la maggior gagliofferia,
£ i due pittor non resta dMngiurìare.
Pure il secondo non si può imputare^
Né dee da nessun esser oiasmato ,
Sondo stato chiamato
Queir opera a finire^*
Che, scambio d' abbellire ,
266 90ESIB
La cupola abbruttisce, abbassa e guasta.
Io parlo per ver dire ,
Non per odio d'alcun , ne per disprezzo ;
Ma ben Giorgi li d' Arezzo ,
Giorgin, Giorgin debb' essere incolpato:
Giorgin fece il peccato,
Che del guadagno troppo innamorato ,
O dall'invidia o dall' onor tirato,
E come architettor poco intendente^
Prosontuosamente il primo è stato
La cupola a dipingere,
E mensole e comici ivi entro a fingere
Senz^ ordine e misura j
Acciocché Gialle mura
Non cadessero in Coro
Quelle sue figuracce d' oro in oro.
E dopo ha per ristoro
Quegli ottangoli guasti o rìturati
O dipiilti o impiastrati,
Che , sendo larghi abbasso ,
S' andavan ristringendo appoco appoco^
Tanto che passo passo
Si conduceano al terminato loco ,
Che alla lanterna poi si congiugneva y
Con tanta grazia e tal proporzione,
Ch^ ognun 7 che. la vedeva,
Gli occhi e '1 petto s'empieva
Di meraviglia e di consolazione.
Or pare alle persone.,
Sendo tanto abbassata^
Ch'ella sia diventata
Un catinaccio da lavare i piedi,
O una conca da bollir bucati.
Dove son or quegli uomini lodati;
FOESIB 26'J
Che per bontà d^ ingegno
Già primi fur nelF arte del Disegno ?
Di quant' ira , ohimè ! di quanto sdegno
S' accenderebber contro all'Aretino?
O Michele immortale^ angel divino y
Lionardo^Andrea^oPontormo^oBronzina
O voi tutti altri degni d' ogni pregio,
Perchè non siate or vivi? -
Pur fra color, che son di vita privi |
Vivo vorrei Benvenuto CeUini,
Che senza alcun ritegno o barbazzale
Delle cose malfatte dicea male,
E la cupola al mondo singolare
Non si potea di lodar mai saziare;
E la solea chiamare^
Alzandola alle stelle,
La maraviglia delle cose belle:
Certo non capirebbe or nella pelle,
In tal guisa dipintala veggendo;
£ saltando e correndo e fulminando^
S'andrebbe querelando
E , per tutto gridando ad alta voce ,
Giorgin d' Arezzo metterebbe in croce,
Oggi universalmente
Odiato dalla gente
Quasi pubblico ladro o assassino:
E 1 popol fiorentino
Non sarà mai di lamentarsi stanco ,
Se forse un di non se le dà di bianco.
/
a6d ' ME8IE
SONETTO
Dt H. Bbhvemuto CBLLim
▲ n. Laura Battiferra
Moglie di Bartolommeo Aramaimatì^
tratto dal
Primo Libro delV Opere Toscane
di M. Laura Battìferra de^ AmmannatL
Firenze appresso i Giunti i56o.
vJON quel soave canto e dolce legno
Ne corse ardito Orfeo per la consorte ^
Gerber chetossi , e le tartaree porte
S* aperser j che Platon ne lo fé' degno,
Poi gli rendette il prezioso pegno j
Ma d* accordo non fu seco la Morte.
Voi , gentil Laura , quanto miglior sorte
Aveste' al scendere al superno Regno!
Lassù v'alzò il Petrarca, e dietro poi
Ne venne a rivedervi in Paradiso j
Sete scesi in un corpo ora ambidoi (i).
Felice Orfeo, s'avea tale avviso
Cangiar la spoglia , aria fatto qual voi,
Gh^ amor , vita e virtù non v' è diviso.
<i) Suppone ingegnosamente, che M. Laura
Battiferra sia la celeberrima Laura del Petrarca re«
diviva e resa una sola penona col Petrarca medesioia*
\
POESIE ^69
RISPOSTA
belljl medesima^
tratta C0me sopra.
V OLE88E pure il Ciel y eh' alF alto segno
Ove giugneste voi per piane e corte
Vie, che sono ad altrui si lunghe e torte ,
Giugnesser V ali del mio basso ingegno.
Che^ come paurosa e debil vegno
A dir di voi , sicura allora e forte
Yerrei , né punto temeria di morte
L' ultimo assalto^ cV or te^mer, ccpiyegno.
E direi come in un. sceser fra noi
Pirgotele e Lisippo , onde conquiso
Fu '1 vanto ^ prisca Età , degli onor tuoi;
E perchè 1 sacro Apollo mai diviso
Da' più eari.non v^ebhe amici suoi;
. Tal eh' io co^ più perfetti ip voi m^ affisa
?7^
rOKSIE
SONETTO
Bjsi. Varchi al Gellihi
tratto dai
Sonetti Spirituali del Varchi ^
stampati in Fiorenza nel i573.
JDentenuto il tempo è, che queste cose
Basse lasciamo a chi dopo noi viene ^
E tutta ergiamo al Ciel la nostra spene:
Restan le spine sol , colte le rose.
II ver, che iofino a qui colui m^ ascose ,
Che i più dentro sua rete^ avvolti tiene,
M' aperse Lui , che *n tanti strazii e pene
Il viver nostro al suo morir prepose,
A me , dotto Cellin , prose né carmi
Per far del Regno Glorioso acquisto y
A voi non gioveran bronzi né marmi.
Pigliar la croce addosso e seguir Cristo
Bisogna , se vorrete , od" io salvarmi :
Pigliam dunque la croce e seguiam Cristo.
POESIE ^7 1
RISPOSTA
DI M* Benvenuto Gelltki,
Tratta come sopraé
1 JENBDETTO ^el dì j che r alma varchi (i)^
Lasciando ornai la spoglia ^ di lei sazia 9
E reverente a Dio renda ogn' or grazia
D'essere scarca di si grevi incarchi.
Se ben con doglia par di lei si scarchi ,
Quanto maggior, s'a Dio fusse in disgrazia.
Saria la pena ! eh' or , del ben non sazia ,
È pur cagion, che manco uom sirammarchi.
Vostre alte prose, vostre dolci rime^
Che voi fra tutti gli altri han fatto solo.
Al Ciel per dritta via sen vanno prime;
E voi ven gite a Dio col maggior volo^
Che fesse uom mai, e con più ricche stime^
Chiaro dalFuno infino a P altro polo.
2^2 possn
(f) n Vatdii fnA primo Terso àA suo toaetl»
lia ttanipato Benvenuto in ima sola parola, e quan*
tonqne dopo di està abbia ommessa la vìrgdb , non
si può assicurare, che abbia voluto introdurre il
doppio senso di Benverutio e ben venuio ;, ma il
C Jnni in questa sua risposta si è manifestamente
sta<fiato éi fin* entrare il nome e cognome di Se*
significato
parole
- # — - -g - — —
etimologico. Questi inopportuni giuochi
annunàavano all'Italia la vecchiaja dell'aureo
eolo XVL e la mÌBanta del mab^nrato XVIL
POESIE
TOSCME E LATINE
SOPRA IL Perseo^ statua di bronzo^
E IL Crocifisso^ statua di marmo ^
FATTE
I
DA MESSER BENVENUTO CELLINI,
Tratte dalla prima edizione dei due
Trattati dello stesso Autore^ jatta
in Fiorenza nel i56&
Cellini Ben. Fol IIL i8
5^74 POESIE.
DI
MESSER BENEDETTO VARCHI.
X u, che vai, ferma 1 passo^ e ben pon mente
Alla grand' opra , che '1 buon Mastro feo^
Ch^ oggi non sol Medusa , ma Perseo
Fanno di marmo diventar la gente :
Onde colui ^ che per ira ed ardente
Invidia di Giunone e d^Euristeo
In terra Caco uccise , in aria Anteo y
Sospirar tristo e lamentar si sente }
Ma U Pastorel , che fra si cruda e tanta
Turba iiemica ^ in Dio sperando ^ solo
Con pibciol sasso il gran Gigante uccise^
C quella casta , che tra V empio stuolo
ÌJ orribil teschio al fier busto precise ,
D' aver degno vicin sì pregia e vanta (i).
POESIE 2'jB
(i) Qaesto sonetto, nel cjuale , come in molte
altre delle poesie seguenti , si allude all' Ercole del
Bandinello , al David del Buonarroti ed alla Giu-
ditta di Donatello, presso cui trovasi il Per^o, fu
stampato la prima volta tra i Sonetti del Varchi^
in Fiorenza presso il Torrentlno nel i555. , colle
seguenti varietà : il primo verso dice : Sacrosanto
Signor I chi ben pon nunte ; il terso : Oggi non
sol ec. ; il settimo : In terra Caco vinse ec*; il
decimo : Schiera nemica ec. ; e P ultimo: jy aver
degnp vicin s'* allegra e v€Ma,
Nel manoscritto Naniano poi, indicato a pag. 245. ,
trovandovisi fra molti altri &1 presente sonetto del
Varchi col primo verso : Tu che vai , ferma il pas'
so j ec. , il Gel lini stesso vi pose sopra una cartuc-
cia , scrivendovi invece : Sacrosanto Signor ^ chi ben
pon mente y ed aggiunse la seguente postilla, che
fu copiata e a noi gentilmente comunicata dal dot-
tissimo bibliografo Sig, Bartolommeo Gamba: Così
dicieua il priopio sonetto di . ms. Benedetto uarchi
pero se errato a chi mela scritto. Da questo auto-
grafo del 041ini vedranno i lettori qual fosse vera-
meiite l' originale dettatura ed ortogr^afia del mede-
simo : egli , per altro conoscendosi ^ fece sempre rr-»
vedere da qualche amico i suoi scrìtli«
^mQ P0E3I£!
DI
PI MICHELAGNOLO VIVALDI
V «
VTiA la fera troncasti orrida testa
Della superba Gorgonea sorella ,
E y per piet^ 4* Andromeda ^ la fella
B^lva uccidesti ^ micidiale e infesta.
«
Or altra più spietata e più rubesta
Torto ti mira /e questa parte è quella^
Livida, il core , assale , e con rubella
Lingua d' aspe crudel y ti punge e infesta^
]3en è ragion, se le fort^armi, fide
Di Mercurio tu porti^ e di Minerva
Lo scudo cristallin per far tuo scbermo;
E F un parente ^ Danae , t^ afide ,
£ Giove y V altro y ne minacci fermo
y invida di punir gente proterva^
poBSit:) a^y
DI
M. PAOLO MINI.
xNuovo Mìron^ che con la ciotta tnaao
Le maraviglie antiche a^secol nostri
Sculpìsci in bianco marmo ^ e in bronzo
moistri
Quanto il prisdo operar ti sia lontano 3
Perseo e Medusa , Y un con volto umano ^
L' altra co' crin di venenosi mostri ,
Fan, come scrisser già più chiari inchiostri^
Oggi per te'l sudor di Pirra vano.
i
Onde T Greco non pur , non pur V Ébréd)
Stupido r un ^ r altro sdegnoso re&ta 3
Ma cosi bei vicin Judit ammira ,
È dice t poich^ in brons^ò ancor 1* un spità
Valor 5 e. V altra a crudeltà pai» désta ^
Ben venuto è dal Ciel chi qU9stÌ fe§*
a^S pOBSis
DEL BRONZINO
PITTORE ECCELLENTISSIMO (l).
vjrioviN altier ^ che Giove in aurea pioggia
Ti yeggia nato , alteramente ir puoi y
£ più per gli altri e gloriosi tuoi
Gesti , a cui faina altrui pari non pog^a;
Ma ben pari o maggior fama s^ appoggia
Alle tue glorie or che rinato' a noi
Per così dotta man ti scorgi, e poi
Sovra tal riva e 'n così ricca loggia
Più che mai vivo ; e se tal fusti in Terra^
Uopo non t' era d^ altrui scudo o d' ali j
Tal y con grazia e beltà^ valor dimostri :
Ma deh ricuopri 1 vago a gli occhi nostri
Volto di lei , che già n' impetra e serra^
Se non chi fuggirà si dolci mah?
(i) Àguolo di Cosimo Allori*
ro£ai& A*jQ
DEL
MEDESIMO.
XiiRseA Venere bella , e lui ch^id pioggia
D' oro cangiasti , Amor^ che tanto puoi ^
Chiedeva: ond' egli . aMolci preghi tuoi
Le scese in grembo; ov' ogni grazia poggia»
Ha com'avvìen s'a fuoco esca s' appoggia^
O qual di neve al sol, quaggiù fra noi
S'accese e strusse al caldo seno, e poi
Seco s' unio vìe pia che pietra in loggia :
Starete , disse , ornai , Minerva , in Tèrra i
£ fe^ d' entrambi un sol Giovin ^ ch^ all' ali
£d al tronco Gorgon , Perseo dictiostHy
£ quinci appar divina a gli Occhi nostri
L'opra> ch'il bene e la bellezza setta ^
Suprema gloria de^ tuoi dolci miAu
2S0 MCSIE
DI
M. LEUO BONSL
»••♦••'
JL òsciÀ che da vostr'opra, eh' ogn^ avara
Vista 9 ogD^ alto giudizio appaga , e tanto
Tutt^ altre vince d' eccellenza , quanto
Degli altri avete ^oi virtù più rara.
O di quanto '1 mar bagna e *1 sol rischiara;
Glorioso Cellin, perpetuo vanto ^
Tal vien soggetto altrui^ cVio non mi vanto^
: Ne quei. che fama e ventate han cara.
Pur una lode dir^.ch^al gran Perseo ,
Ond^ avran TArno e i bronzi eterna gloria^
Non vada^ e lungo spazio ^ al ver lontana;
Baste che nuovo fiorentino Orfeo
Chiara v^ abbia di lui tessuto istoria
Più. di tutt' altre vera e più sovrana.
POESIE. 281
DI
DOMENICO POGGINI
OKEFICE E SCULTORE.
>•#♦••<
i^iccoHE U cìel di vaghe stelle adorno ,
Delle quai più V una delF altra splende;^
Con maggior forza sua virtù discende.
A queir amico suo mortale intorno;
E fa per lui la notte chiara e U giorno ^
E con r immortai alme al Ciel ascende^
E in sé pròpria il trasferisce ^ e rende
Un altro spirto a far qui poi soggiorno:
Così voi qui , Cellin , la propria stella ^
Che con bei rai di virtù mostrate
Quant' abbia forza la Natura e F Arte ,
Nel grande statuar leggiadra e bella
Opra, che Dio serbò a quest' etate;
Ed 9^ voi serba il Ciel, la destra parte»
^8^ POESIÈi
DI
MESSER PÀOLO DEL BOSSO ,
Cavalier di Rodi^ V
Sopra la Statua del Crocifisso di marmo.
iVliRANBO in croce affisso il Redentore
Marmoreo vostro y e quasi al ver presente^
Nel primo aspetto, oon del tutto spente
In lui pensando le virtù del cuore y .
Subito mi fu marmo il mio di fuore,
E '1 di dentro di lacrime un torrente y
E gridar volli , e tacqui ; alzò la mente
Il grido j e disse : ecco il sospiro , or muore*
E potet' oggi sovra Apelle e Fidia ,
Cellin, dar senso a' color vostri e a^ marmi^
E nascete perchè non immortali ?
Pors' avrest' anco un giorno illustre iavidia^
Com' a Natura , al Ciolo , e con altr' armi
Vorresti farvi a chi T governa eguali-
poesie; 2BÌ
DEL VARCHI
Sopra la medesima Statua,
\
A
MESSER BACCIO VALORI
V ALOK , del gran C^Uin 1' alta opra vìsto^
Rimasi tutto d'ogDÌ senso privo;
Ch^ io non credea , cV un marmo e morto
e vivo
Esser potesse ^ e si pietoso e tristo.
Quant^ha^I saper con la natura misto,
Tant^ ivi appare ; e meo del vero scrivo^
Ch'io tengo certo, e 1 mostrerò s'io vivo,
Che tal languisse in su la croce Cristo.
Quant' al gran Duce nostro onor s' acquista,
Quanto s' accresce al nobil Arno gloria
Per cosi raro arnese, anzi pur solo.
La cui si dolce e mansueta vista
Pregai , eh' al sacro Signor mio vittoria
Contra l'empio donasse audace stuolo.
^84 ^OESl£i
DE
STATUA AEREA PERSEI ,
IN LAUDEM ARTIFICIS.
/
\fVoD ^tiipeant homines , nso occìsore
Medusae ì
Non est yipereum quodgerat ille caputa
Sed manus artificìs , quae tot jam saecula
nobis ,
Mortila quae fuerant corpora^ viva
facit.
Igne lutum potuit sublato animare Preme"
theus j
Sajoaque cum cara conjuge Deucalion :
Persea Cellinus ; sed si qùis comparet ^
unus
Hic vivit PerseuSy mortua sunt reli'-
qua.
FOESIE.
285
IN CELLINUM.
JLjitis quicqmd erat peritiorum
Inter artificum manum ^ MjrqniSy
Scopae Praxitelisque Phidiaeque ^
Lysippi i quot et antea Juerunt
Insignes paria yluculleoque
^argento , osse , ebore , aere j gemma et auro
( Quis esset meliorque , doctiorque ,
Forum ut sfatuae loquantur , hahent)
Cellinus modo sustulisset unus ,
Uno in Inachide, yingelus nisij allo
E caelo s^nìensy locum occupasset (i);
Sed primo ut sit ab angelo secundus
Plus esty quam s^eterum fuisse primum.
{t) Midbelagnolo Buonarroti^
jé8 POfiUB
IN EUNDEM.
±BiBiACA , CelUne , mona spirare metalla
Dum facis et vìtam das tibi perpetuami
Persea deduois caélo y tibi Jbrsìtan inter
Ursam et Ericfdhonium quaeris habere
locum.
DE EODEM.
>••♦♦<
Iyatura Artis erat ; sed postquam Persea
Judit
Cdlinus, Nat{trae Ars erit archetjrpus^
POESIE. 287
IN E UN DEM.
>«#»#•'
l\uNc Natura parens spectahat Persea^
et una
Contemplabatur Gorgona et Andromeden:
Et summe adndrans^ et laudans singula: vieit
'Me manus artificis^ dixit; et eruhuit.
IN EUNDEM
>«•♦«♦<
JlIoc y quodcumque sndesy Persei memora^
bile signum
Ereptum nostro credimus esse Polo.
Vel sic aetemo magni sub nundne Cosmi
. Cellini mira finxerat arte manus j
Ut y seu materìamseu tu mirabere formarne
Signa equidem coeli deteriora putes^
288 POESIE.
IN EUNDErM.
>••♦•*•
Uescendens olim siiperis Cellinus ah astris
Vidity et hoc sfisum Persea mente tiiUt;
Quem mox cwn^ jussu Cosmi Ducis incljti,
in arte
Finxisset , quot sint quot fuerint superata
Aspice ut Uh , ferum complexus , porticu
in alta
Fulgeat ;. et modo non se movet oc loqmtur.
^IN EUNDEM.
XJ-SPicis ut tor^o miratur tumine Perseum
Alcides y truncamque comam^ sfictamque
Medusam?
Non sua , quod magno superarit gesta
labore
PerseuSy sed magno quod sint discrimim
et arte
Disparili caelata tuisy Fior enfia , alwnnis.
Herculea hae^ (vereor ) post hac si ere-
s^erit ira,
Clava cadet , lentaque manu laxatus abibit
Cacus, et inde malo rapiet male parta
magistro. (i)
(i) Si allude alle molte ricchezze stccumulate
Aal BandiueUi autore dell' Ercole.
289
SOMMARIO
DELLE COSE CONTENUTE
IN QUESTO FOLUMÈ.
JT.WÌSO delV Editor Milanese. pag. v
Prefazione al due Trattati del Celtini^
ristampati in Firenze nel 1731. . ix
Dedica e Proemio dei due Trattati
suddetti , . . . , xm:
Celliìii Benv. VoL II L 19
«9©
TRATfATO PRIMO.
BELLA OREPICCRU.
Caf. I. DelV arte del gioiellare ; della
natura delle gioie fini , e delle pie*
tre finte ; delle loro legature , e Jb^
glie; della tinta de'* diamanti: del
modo di far lo specchietto; e di
molte altre particolari avsfertenze
intorno a dette gioie i
Cap. II. DelV arte • del niellare ^ e del
modo di fare il niello 3i
Gap. ih DelV arte del lavorare di filo)
del modo di fare la granaglia , e
del saldare 3n
Gap. IV. DelV arte dello smaltare in
oro e in argento , e della natura
d'alcuni smalti 44
Gap V. DelV arte del cesellare j del ram-
marginare j saldare j arrenare ^ ca-
mosciare , brunire , sgraffiare , e cO'
lorire i lavori di piastra d* oro e
d\ argento, ........ 5S
Gap. vi. DelV arte dtl lavorare in ra-
vo.^. d'oro, d'argento e di rame;
nella quale si contiene il modo di
fare 4 suggelli de- Cardinali e rf* aU
tri Principi. * . ^ • • . • 8i
^
Gap; vii. DelVarte di lavorar di ca^^Oy
in acciaio , le stampe delle monàe :
doi^e si tratta del far le pile e tor-
selli y e le madri . o punzoni per
incavar dette stampe; e della dif.
ficultà , che in ciò ebbero gli Jn-
- tichi, non avendo trovato V invew-
zione, che i Moderni hanno intor*
no a detta arte. ...... 03
Gap. vili. Del modo, che tennero gli
antichi artefici nel far le stampe
.delle medaglie ; di quello , che
. ^frat moderni s*usa; e come si fhc^
ciano i trasselli di dette medaglie. loi
Gap. IX. Del modo di stampare le me^
daglie a conio ; e delle misure delle
staffe e de* conj. . . • . • . 106
Gap. X. Dello stampare le meda^ie a
vite; de* masti, delle chiocciole ^
e de^ pani di esse vite. . . . • ioa
Gap. XI. DelV arte di lavorare di gros-
seria, d'oro e d argento y figure
e vasi; e del modo di fondere a
• vento y a mortaio, e a tazza; e del
far le staffe da gettar le piastre
d^ detti metalli .111
Gap. XII. Del modo di tirar vasellami,
d'oro e et argento ; e de^ varj modi
di formare e gettare i manichi e
piedi loro. Del rasoio da rader
le piastre; del raderle e batterle;
e della forma de' ceselli di ferro y
ancudine y e caccianfuorL . . • 116
7g2
Caf. XIII. Delle figure j che si fcàmo
^ argento j maggiori del nafyiraiey
delle loro far me ^ saldature y e bian-
chimenti I3Q
Gap. XIV. Seguitano alcune cose atte-
nenti (die dette arti dell' Orefice-
ria; e prima del modo d accon-
ciar V oro da dorare ^ e del modo
. che si tiene nel dorare i38
Gap. XV. Per far colori per colorire
do\'e sarà dorato i/^\
Gap. XVI. Per fare un altra sorte di
colore per colorire V opere dorate. i\Z
Gap* XVII. ler fare un colore per le
dorature y che sieno abbondante^
mente cariche d'oro] e per far cera
per dorare i44
Gap. xviii. Modo di fare un altro co^
lore per colorire il dorato. . . i45
Gap. XIX. Modo di fare un colore alle
dorature diverso dai sopraddetti. . i^Q
Gap. XX. // modo^ che si dcbbe tenere ^
volendo lasciar bianco Inargento in
alcuni luòghi 147
Gap. XXI. Modo fiwilissimo e bellissi^-
mo per fare acqua da intagUaj*e
le piastre di rame^ invece di far
col bulino. '. . ... . . . .148
Gap. XXII. Per far acqua da partire. 149
Gap. xxiii. Per fare il cimento reale. i5o
2qZ
TRATTATO SECONDO.
DELLA SCULTURA.
Gap. Ir Z)e^ \>arj modi di far le statue •
di terra per gettarle di bronzo ^
delle loro camice di cera^ toniche
€ coperture distagniM>lo ; del prepa^
rare la terra , di che prima si fanno
dette statue j e qual sia più a prò-
posilo; rfd' caw di gesso $ dell' ar*-
madure di ferro ; degli sfiatatoi; e
del modo di cuocere le forme. . 1 53
Gap. m. Del modo di metter le forme
nella fossa ^ e delle misure di essa
fossa; del porre gli sfiatatoi ^ e del
riempiere la detta fòssa ; del por
le spine; del murare il canale;
delle diligerne da usarsi in prepa-
rare il bronzo) e del riparare a
diversi decidenti, che in simili casi
possono intervenire 17:2
Gap. hl Delle fornaci da gettar bron^
ziy e loro parti e misure; delle
- qualità delle terre da murarle e
intonacarle) e del modo di strug-
gere il bronzo i83
Gap, IV. Della qualità di diversi mar-
mi atti a fare statue; del fare i
modelli di terra; e del rnodo^ die
si aebbe tenere per entrare a la-
trare co' /erri né detti marmi. 192
Cip. V. /?rf modo di condurre i oolos--
si; e del ricrescere i modelli da
braccia piccole a braccia grandi y
per mezzo di una nuova regola. . 202
Gap. vi. Breve discorso intorno all'ir-
te del Disegno y dove si conclude y
che la scultura prevaglia alla Pìt"
tura; e che migliori Architetd di*
verranno quelli y che più perfetti
Siultori saranne. .*..... 209
Frammento di un Discorso di Benvenur-
to CelUni sopra iprincipj e 7 modo
d'imparare VArte del Ùisegno • ^19
LetterCy Discorsi, e poesie di Benvenu-
to CelUni. '. 33i
Poesie Toscane e Latine sopra U Per-
seo e il Crocifisso di Benvenutù
Cellim. . • . \ . • i . 27J
09^
OPERE
DI
BENVENUTO CELLINI
CHE SI TROYilNO RACCOLTE
m QUESTI TUE VOLUMI.
La lettera A. B. C. indicano il primo ^
secondo e terzo volume^
ed i numeri le facce delle carte.
PROSE,
propria Vita . . • A. B,
Bicòrdo intorno al tnodoy con
cuiju scritta la suddetta ope-
ra ....... A. xxviu
Bicordo^ intomo ai due Irai-
tati C. XVII
Altri Bicordi B, 489 C xu »xi
ogd
Dedica e Proemio ai due Tratr
tati sopra VOr^ceria e la
Scultura C.
Trattato sopra F Oreficeria C i
Trattato sopra la Scultura C. i53
Frammento di un discorso sopra
i principi e il modo d impa-
rare Urte del Disegno. C 319
Luterà a Benedetto P'arcfd inr
tomo alla meda^Ua da farsi
al Bembo (i536) . . C. a33
Frcmmento di lettera a Luca
Martini sull'argomento sud-
detto (i536) .... >f. 341
Lettera a Benedetto Varchi so-
pra la preminenza della Scul-
tura sulla Pittura ( 1 546) C. :iZ6
Lettera a N. N. intomo al prez-
zo da farsi alla statua del
Perseo (1S46; . . . . C. 2^1:
Lettera a Benedetto Marchi in-*
tomo alla propria Vita da
lui medesimo scritta {i5Sq) A. xxy
Lettera allo stesso^ perone gli
faccia uno epitaffio pel suo
figlio Giovanni (i563) . C a43
Lettera al Principe D. France-
SCO de Mediciy offerendoci i
suoi due Trattati (i565) . C. xxv
Discorso sopra t Architettura C. 34^
Discorso sopra la preminenza
della Incultura sulla Pittu-
ra C. 256
297
POESIE
Sonetto^ che serve di Proemio
alla Vita A. xxtii
Sonetto al Castellano di Ca-
stel S. Angelo . . . . J. 439
Sonetto al Lasca sulla premi-
nenza della Scultura sopra la
Pittura C. 263
Sonetto in lode di Laura Bat-
ti/erra ...... C. 26S
Sonetto Spirituale al Marchi. C. 37 1
Capitolo a Luca Martini in lode
della Prigione . A. i^2Ò 43 2 44?
45ii . ...... B. I
Epitaffio a suo figlio Gios^an^
ni C. 344
Scritti del Céllini tuttora inedi--
ti . . . C. XVII. XXXVI. a xLn
MANOSCRITTI
DELLA VITA
91
BENVENUTO CELLINI
MS. autografò y siato in mano
al f^archi. d. xxv. xxvia. C xv
MS, di Lorenzo Maria Capala
canti e poi di Francesco Re-
di^ citato nel f^ocabolario deh
la Crusca. . 4. XiX. xjl C. xit
MS. di Andrea e poi di Ales^
Sandro Cavalcanti , diverso
dal precedente , stato in ma-
no al Baldinucd . B. 85 C. xr
MS. della Libreria Medicea Pa*
latina j cioè del Palazzo Grafu
ducale di Firenze, il quale
ora sta nella Biblioteca Leo-
poldina Laurenziana . . C. xf
MS. della Maglia bechiana di
Firenze . . A. xx. xxvui. 5u3
Edizioni sHirie della d'tta Vi-'
ta A. XIX. XX. XXI
^99
MANOSCRITTI
t>EI DUE TRATTATI
DI
BENVENUTO CELLINI.
MS. originale ^à posseduto da
Antonio Magliaoechi. C. xx. xxi
MS. della Biblioteca Naniana
ed ora della Marciana di p^e-
nezia C. xzii
n
Edizioni varie dei detti Trat^
tati ....... C. V
36o
OPERE
D'OREFICERIA b SCULTURA
DI
BENVENUTO CELLINI
Delle quali si parla in questi tre volumi ^
colla indicazione del tempo e del luogo
in cui Jurono fotte.
iSiQ. loerrame di una cintura da uo
mo, d* argento j con puttini,
maschere e fogliami di basso
rilievo. In Firenze . . y/. 34
Saliera cf argento ^ ritratta dal
Cassonetto di porfido , che sta
dinanzi alla porta della Ro-
tonda di Roma , con ma*-
schere ec. In Roma . . -^. 3 7
l5aa. Chiavacuore, j cioè cintura da
donna d* argento y largo tre
diia^ di mezzo rilievo con
3oi
qualche figura tónda. In Fi--
renze À» J^o
1624. Candellieri pel P^escow di Sala-
manca. In Roma . . . ^. 5i
GiojeUo di diamoììti , in forma
di giglio^ con mascherine^ put-
tiniy animali e smalto , fatto
per Madonna Porzia Chigi. In
Roma ... . . . À. 54
Acquereccia , o Vaso grande da
acqua ^ in. forma d^uovo, di
argento ^ fatto sul disegno di
/ Glo. Francesco Penni al Ve-
scovo di Salamanca. In Ro-
ma , . . ... -^. 61 C. 118
Altro s^aso maggiore ^ della sud-
detta forma ^ pél Card* Inno-
cenzo Cibò. In Roma. A *^Z C. 1 id
Medaglia d^ oro^ da portarsi ntl
cappello y rappresentante Le-
da col Cigno , fatta per Ga-
briello CesarinL In Roma. A. «^4
Suggelli Cardinalizii fatti a ga-
ra con Lautizio Perugino, In
Roma ...... A, ^S
Due vasetti bizzarri , diversi Tu-
• no daW altro, et argento ^ fatti
per Giacopo Berengario da
Carpi. In Roma . A. 86 B. 36
Anelletti df^acdajo, intagliati e
commessi d*oro . . . A. 101
Medagliette d^orOy scolpite ^ da
portarsi nella berretta . A. 122
302
1537. R^^^iàrio pel Sangue di Cristo,
fatto in Mantova . . . A. i^i
Sudilo pontificale pel Cardi- .
naie Ercole Gonzaga. In Man^
tosHt . . . . A. \^^ ,C. 83 91
i5a8. Medaglia d^oro, da portare nel
cappello, rappresentante Er-
cole che sbarra la bocca al
Lione y fatta per Girolamo
Mazzetti,, o Mar retta, Sanese. -
In Firenze . ..A,. i^S C. 62
Medaglia cesellata di piastra,
t con cristallo , ìàpislazzuli e ^
ìnoito, rappresentante Atlante
cól mondo addosso, fiuta per
.Federica Ginori in Firenze,
£ quindi^portata da Ltdgi Ala-
manni ah' Re Francesco I.
,' in Francia k A. i^g i58 C. 64
a 67.
i53o. Battone del Pisciale del Papa,
itorp, con gioie, e sculture
cesellate. In Monta. A. i53 a i63'
173 183.184 ^^ 3^6 3^^ G. xtvi
. 67 A 75
Monete di Papa Clemente VII,
V una col motto £cce Homo ,
r altra coi ritratti del Papa
e dell] Imperatore , che alzano
la Croce. In Roma, A. i63. B. i63
Cxxvii. 93 100 io4-
Ferro chirurgico per Giacomo
BasteUi.. In Roma . • A. iQ^
Moneta di Papa Clemente VIL
3o3
eoi motto Quare Dubitasti?
In Roma . . . . . /^. i^i
Disegno y modello y e parte d^un
calice per Papa Clemente VII,
In Roma. . . A. 196 a aaa 320
i533. Disegno di ornamenti per un cor-
no di Liocorno j da donarsi
da Clemente VII al Re Fran-
cesco I. In Roma . • y/. aio
i534. Medaglia rappresentante la testa
di Clemente f\JL , con un n>
svescio rappresentante la pace.
In Roma . . A. aaS a3i a47
, Medc^lia colla testa suddetta e
col rovescio rappresentante
Mosè quando percuote la pie-
tra. In Roma . . .■ . A. 2S1
l535. Monete per Papa Paolo III. col-
la testa di S. Paolo ^ e col ,
i770^/o Yas Electionis. In Ro-
ma ....... A. a6i
^- Conj per le monete del Duca
Alessandro de* Medici ^ cioè
la testa d'I Duca ricciuta , S.
Cosimo e S. Damiano ^ una
Croce contornata da piccioli
Cherubini y Varme de* Medici
per lo Scudo doro e il Bari-
le y la stessa pia piccola e la
testa di S. Giovanni j in fac-
cia ^^ pel Mezzo Giulio y e S.
Giovanni intero pel Barile. In
Firenze. A. d@o ^^.44^ ^* ^^vn 94
3o4
i536. Bitratto del Duca Alessandro
« suddetto^ in cera ed in accia-
iOy per farne una medaglia.
In Firenze, . A, 282 285 3ia
Croce d oro , con figure alte un
palmo j rappresentanti la FedCy
la Speranza e la Carità, ed
altri ornamenti^ modellata in
-cera^ ma non eseguita. In So-
ma. A. 320 B. 44' ^' XXVI. ij
Coperta d' oro per un uffiziolo
della Madonna regalato da
Paolo III. a Carlo V. in Ho-
ma. Ivi .' . A. 322 333 C. 18
Anello per Papa Paolo III. ,
e tinta data al diamante di
esso , stato regalato da Car-
lo V. in Roma. Ivi. A. 323 326
a 33i C. 18 24.
1537. Ritratto del Bembo in imo sca-
tolino di stucchi bianchi ^ per
fiirne una medaglia. In Pa-
dova . . A. 3^1 C. XXI. xzxiv
Rovescio della suddetta meda-
glia rappresentante il Cavai
Pegaso in mezzo ad una ghir-
landa di mirto . . . A. Z^it
Bacino, e boccale o vaso ova*
to, d^ argento, dorati, pel Card.
Ippolito da Este, dati poi al
Re Francesco I. A. 387 363 38 1
B. IO 27 37 40 58 64.
1539. Disegno fiato con un carbone so-
vra un marmo della prigione
3o5
di. Castel S. angelo , rappre-
sentante Dio Padre adorno
di jàngeli, ed un Cristo resu^
scitante . . . . A. ^2q /^'ii
Disegno e scultura d'una visiO'-
ne y pure in prigione - • A, J^^o
i54o\ Suggello pontijicale del Cardina-
le d^Este, Arcis^escovo di Mi-
lano ^ con due storieite inta-»
gliate. In Roma . B. ii C. 82
Saliera Jtoro^ ricchissima, con
bellissime intenzioni, ordinata
dal Cardinale suddetto ^ e poi
fatta pel Re Francesco I.
^. Il 65 71 80 i3o ec. C. 78 79
Medaglia , in un tondo di pietra
nera , col ritratto della testa
del Duca di Ferrara^, Erco-
le II. , e col rovescio rcmpre-
sentante la Pace. In Ferra-
ra B. 3o
Benvenuto y avendo avuto l'or-
dine dal Re Francesco L di /ti-
re d^ argento le statue di sei
Dei e di sei Dee, dell' altezza
di tre braccia ciascuna, fece
in cera i modelli, di due terzi
di braccio, delle statue di Gio-
ve. Giunone, Apollo e Vul-
cano. In Parigi . B. ^g C. i5j[
Modelli di terra, in grande y
delle statue suddette di Giove,
P^ulcano e Marte. Ivi* . B. 58
Benv. Cellini Foh HI. 30
3o6
Statua suddetta di Giove , d' ar^
gerito. In Parigi B. 5o 58 Sq 8o
i3o i32 i38 143 lifia i54 C. i35
Vaso d' argento , alto un brac-
cio e mezzo j con due mani-
chi j con motti piacevolissimi
e assai figure. Ivi. -B. 7 1 80 1 33
i38 iSg.
Busto di Giulio Cesare^ grande
più del naturale, gettato in
bronzo. Ivi. . . . B. rjZ 80
Busto di una bellissima fanciul--
la, gettato in bronzo. Ivi. B. ^S 80
Base della detta statua di Giosuè
(f argento, gettatadi bronzo, do^
rata, con bassi rilievi rappre-
sentanti il Ratto di Ganimede
e Leda, col Cigno. Ivi. B. 80 i48
Base per la statua di Giunone ,
gettata di bronzo. Ivi. . B. 80
Figurette d'oro, di mezzo brac-
cio. Ivi. ...... C. i5i
Vasetto d'argento, dorato , fat-
to per donarsi a Madama
itEstampes, e poi dal Cellini
donato al Card. Giovanni di
Lorena. Ivi. . . . B. 80 a q^
Modelli di ornamenti di bronzo
per la porta del Palazzo di
Fontainebleau. Ivi. B. 84 « 90
Modello di un Marte colossa-
le , per una Fontana di Fon'*
tainebleau. Ivi. . . j?. 84 85
3o7
90^93102131^29130 143 i54
166 &. 2o3^ 208.
1 544 Ornamenti di bronzo^ per la por-
ta suddetta^ giusta i suddetti
modelli. In Parigi. B. i3o i36 i38
i56 169 161 C. i56 a iGi.
i545 Due F'asi d argento. In Pari-
giB. i59 170 172 173 176 C 117
Modello dMa statua di Perseo ^
alto un braccio in circa, di
cera gialla. In Firenze . ^191
a 193.
Modello della statua suddetta,
in grande , di terra coli' ul-
tima pelle di cera, perfarn^ la
formfl. In Firenze . B. 199 2o5
268 274*
Modello j di terra j della Medu-
sa, per la statua suddetta. In
Firenze \ B. 206 220
J^asetto d'oro, per bes^er acqua,
tutto las^rato di basso riliè-
vo, per la Duchessa Eleonora
. moglie di Cosimo /. d3^ Medi-
ci. In Firenze. . . 5. 209 236
Cintura d'oro, con gioje, ma-
scherette ec, per la Duchessa
suddetta. In Firenze. B. 209 236
Ritratto del Duca Cosimo I, in
un busto di terra. In Firen-
ze ........ B. 209
1 546. Ritratto suddetto, in bronzo^ man- t
dato all'Elba. In Firenze. B. 2Ìi
232 269 49^*
3o8
«)
Figura di Medusa y gettata in
bronzo col modello di terra
suddetto. In Firenze. B. aSa ^33
24S a68 370.
Pendente , o giojello da porsi al
petto , con un gran diamante^
per la Duchessa suddetta,
stato poi rijutto da altro ore*
fice. In Firenze. . . B. ^36 340
Vasetti Jt oro , cesellati , con
istorie di figurine di basso ri-
lies^o. In Firenze. . . . B. ni^i
Disegni di s^asi pel Duca Cosi-
mo I. In Firenze. . . B. ^43
Vasetti et argento , piccoli come
pentolini di due quattrini di
valore, con mascherine, al-
V antica , per la Duchessa
Eleonora. In Firenze . . B. ^44
anello con un diamantino, con
quattro puttini tondi y quattro
mascherine j e frutte e legatu*
rine smaltate y per la Duches-
sa Eleonora y e poi \ da essa
mandato al Re Filippo II.
In Firenze . . . B. 249 aSo
Ganimede antico, di marmo y
restaurato pel Duca Cosimo I.
In Firenze . B. aSa 265 369 497
/[pollo e Giacinto , gruppo di
marmo. In Firenze . . B. 265
Narciso, di marmo • In Firen-
ze Zf. a65
Forma della statua del Perseo^
3og
sul modello di terra e cera
sovra nominato. In Firenze. B. 274
a 277 280 285 286.
Statua di bronzò , rappresentan-
te Perseo colla testa di Me-
dusa. In Firenze . B. 288 a 291
3oi 3o3 321 323 33o 332 a 33g
345 363 391 4^7 49^- ^' XXVII*
^ a XXXII. i55 161 173 179 180 ec.
Ritratto di Bindo d* Antonio
Altovitiy in un busto di bron-
zo. In Firenze, B. 292 293 agS
296 3oo 3o2 3o7 309.
1554 Fortificazioni della Porta al Pra-
to^ in Firenze, B. 'il ^ 3i6 a 320
Fortificazioni della Porticciuola
d Arno, in Firenze. B. 3i4 3 16
319 320.
Statuette di bronzo^ antiche, tra-
vate nel Contado di Arezzo,
restaurate. In Firenze. B^Z:iii 32$
326.
Figurette, in bronzo, di Giove,
Mercurio, Minerva, e Danae
col bambino Perseo in brac-
cio, commesse nella base del
Perseo. In Firenze j8. 327 a 329
Modelli dei Pergami di S. Ma-
ria del Fiore. In Firenze. B. 369
370
iSSc). Modellettì di una statua colossa-
le di Nettuno, da farsi in
marmo per una fontana neU
3i0
la Piazza Ducale. In Firen-
ze B. 377 a 280 396 4i2 426 5oa
C. xxti.
Crocifisso di marmo bianco so-
s^ra una Croce di mmrmo ne-
ro. In Firenze. B. 378 879 384 367
423 4^4 4?^ 47*' ^- xxviii.
a xxxiii. 1^7 282 283.
\ 56o. Modello di terrà in grande y deU
la statua di NtUuno suddet-
ta. In Firenze. B. 38 1 390 391 3g4
a 399 4o5 408 409 4^< 4^^ 4^^
471.
Opera d* oro con tre figurine
rappresentanti la Fede, Spe-
ranza e Carità y con tre pat-
tini ^ un cane, un festone e
tre medaglini d*oro, probabil-
mente la stessa, della quale
parlasi nel sfolume primo a
carie 196 e 32o. . . . B. 44^
Adamo ed Eva in hassorilies^o
di cera . . . B. 49^ ^' *^^"'
Modellino di un Ercole, che
soffoca Anteo . . . . B. Sai
Altro modello di Ercole , in ce-
ra, ma^iore del predetto. B. 5oi
Opere e modelli, che trovaronsi
nella bottega e casa del Cel-
lini alla sua morte. . * C. Xhui
3ii
^ VIAGGI
DI
BENVENUTO CELLINI,
De' (juaU egli parla nella sua Fita.
i5i6. JDcL Firenze a Siena , Jii^endo
dal padre; e di nuovo essen-
do statù confinato per sei me*
si a motisfo (Tirna rissa. A. 19
Da Siena a- Firenze, avendo ot"
tenuta la grazia per mezzo del
Card. Giulio de Medici .A. 2 a
Da Firenze a Bologna , per im-
pararvi la Musica . . A. ao
Da Bologna y dopo sei mesi a
Firenze A. 21
i5x7» Da Firenze, facendo dal padre
per andare a Roma, va a
Lucca e a Pisa . . . A. 26
2S18. Da Pisaj dopo un anno ^ a Fi"
rénze A. ' :k5
i5ig. DfL Firenze, fuggendo dal padre.
3l2
va a piedi a Siena ^ e quindi
a cavallo a Roma , . A. 34
1622. Da Romaydppq due onni^aFi*
renze A. J^o
1 533 . /?<! Firenze , fu^ndo per una
ferita data, va a Siena e
quindi a R<ma. . . . A. So
1S27. Da Roma a Firenze^ ove ricom-
pera il bando . . . A. iJ^o
Da Firenze a Mantova A. i\i
iS^S. Da Mantova a Governo e a Fi-
renze ^.144
i53o. Da Firenze a Roma, chiamato-
vi da Clemente VII. . A. i5a^
i533. Da Roma, per paura di avere
commesso un omicidio , a Pa^
lombara , a Monte Casini e
a Napoli ^.328
Da Napoli alla Selciata^ ad Ada-
nanni e a Roma . . . A. 244
i535. Da Roma, per paura di essere
castigato della uccisione di
Pompeo orefice y a Firenze A. 266
Da Firenze a Bologna e Fer-
raruy e quindi per acqua a
Venezia A. 269
Da Venezia a Firenze ^276
Da Firenze con un salvocon-
dotto di Paolo III. a Roma A. 287
Da Roma a Firenze , per rista-
bilirsi in salute . . . A. 3o6
i536. Da Firenze a Roma^per ischiva^
re le calunnie del Vasari e di
Ottaviano de' Medici . *^. 3i2
3i3
1537. Da Bonuty per essere malconten"
io di Paolo III., a Firenze,
Bologna, Venezia e Padova
in casa del Bembo . . A. SSq
Da Padova ai Grigionij a Wal-
lentstadty a Lachen , a Zuri-
go, a Soletta, a Losanna , a
Ginevra^ a Lione , alla Pa-
lice^ a Parigi, a Fontaine-
Ibleau . . . . A. 344 a 356
Da Fontainehleau a Lione^ col
traino del Re Francesco I. A. 356
Da Lione^per essere il Re oc-
cupato nella guerra^ e per es-
sere Benvenuto alquanto antr-
malato^ viene pel Sempione
e la Faldivedro a Ferrara^
a S. Maria di Loreto e a
Roma . . . .A. 667 a 362
iSSg. Da Roma, essendo stato libera-
to dalla prigione, va a Ta^-
gliacozzo a prendervi il lavo-
rante .A Scanio .... 5. g
i64o. Da Roma, recandosi a servir
Francesco I. va a Monterò-
si, Viterbo^ Comollia^ Stag-
gia , Firenze , Ferrara . B. 17
Da Ferrara pel Monte Cenisio
a Lione, a Parigi e a Fon-
tainebleau . . . . . B. 3g
Da Fontainebleau , dietro alla
Corte , nel Delfinato ec. , e
poi a Parigi . . . B. 4^ ^9
3i4
Da Parigi a S. Germain-^n-
Laye ^. 94 a g6
Da Parigi a Fontainebleau. B. lai
a 126.
Da Parigi a Fontainebleau. B. 148
a i54-
1 545. Da Parigi ad argentari. B.' 1 70 a 1^3
Da Parigi a Lione, a Piacen-
za, a Firenze e al Poggio a
Cajano . . . . B. 178 a 186
1 546. Da Firenze a Ferrara e f^ene-
zia B. 224 a 23o
Da Firenze a Fiesole . . B. 246
i5S2* Da Firenze a Pisa . . B. ago
Da Firenze a Boma. B. 294 a 3oo
1554. Da Firenze, in pellegrinaggio^ a
f^allombrosa y a Camaldoli^
all'Eremo, a S, Maria delle
Grazie, a Bagno, a S. Fran-
cesco d^Alverma . . . B. 345
1S60. Da Firenze a Vicchio . B. 399
Da Firenze a Trespiano e di
nuovo a Vicchio^ . . . B. 399
1562. Da Firei^ze a Li\>omo* fi. 4^4 ^. 4 * 7
i56a Da Firenze a Pisa . . B. 4^2
3i5
QUESTIONI, ZUFFE
E FATTI d'arme
DI
BENVENUTO GELLINI.
i5i6. jLtissa in di/èsa del fratello. In
Firenze ^ ^/. 19
1 5 32. Fiere minacce contro il Firenzuo-
la , ore/ice , perchè lo pagas-
se. In Boma . . . . j4. 3q
iS 23. Hisse coi Guasconti ^ orefici. In
Firenze J. /^i a 4?
1524. Grande contesa col Vescovo di
Salamanca j e rissa coi ser^
mtori del medesimo. In Ro-
ma .... - y^. 68 £« 74
Bissa e duello con un soldato di
Benzo da Ceri. In fioma. A. 76
a 78,
3i6
Zuffi terribile con Luigi Pulci
ed altru In Roma. 4. 108 a 114
1627. Uccisore del Contestabile di Bor^
bone e di altri Imperiali, dal-
le mura di Campo Santo, in
Roma ^. 118
Minacce ardite contro varj Car-
dinali , e particolarmente con-
tro i servi del Cardinal Far-
nese , ed il Sig. Orazio Baio-
ni. In Castel S. Jngelo. A. ia6
a 128.
Uccisione di molti Imperiali, e
. specialmente diun Colonnello,
tagliato in due pezzi, dal Ca-
stel S. Angelo. A. 129 a 182 i38
Archibusata data al Principe
dOranges^ dal Castel S. An^
gelo A. i36 374
Archibusata data Gio. Barto-
lommeo di Gattinara, Mini--
stro Imperiale, dal Castel S.
Angelo A. 474
1 53o. Fiife questioni con Michele , in-
tagliatore di corniole, e con
Pompeo, gioielliere milanese.
In Roma A. i5g
Rissa colla Corte del Bargello, ed
uccisione di un Caporale di
essa. In Roma . . -^ 176 182
i532. Contesa col Card. Saziati per
un ealice di Clemente VIL
In Roma . . . A. ;aoa a qo5
3i7
Contesa ccn Clemente VII. pél
calice suddetto. In Roma. A. 2o3
a 232.
i534 Questióne con Ser Benedetto ,
Notajo fiorentino y malamen-
te ferito dal Cellini. In Ro-
wa ...... -^. 233 246
Zuffa con molti assassini di stra*
da, alla Selciata presso Na-
poli • . A. 244
]^issa con Pompeo ^ gioielliere ^
ed uccisione di esso. In Ro-
ma A. 25i 255
1435. Contesa con un sicario di Pier
Luigi Farnese. In Roma. A. 263
Contese e zuffe co* Fuorusciti
fiorentini in Ferrara ed al
Po ...... A. 270 273
Vile vendetta contro un oste in
vicinanza: di Chioggia . A. 2']6
Resistenza alla Corte del Bar-
gello, in Roma ... A. 290
\^Z^. Busse ad A Scanio y suo lasforan-
te, e fiere minacce contro il
medesimo y perchè ritornasse
a servirlo. In Roma. A. 335 338
Minacce ai compagni di i^iaggio
ed a* bàrcaruoli sul lago di
fVessen .A. 348
Zuffa con una banda di ventu-
rieri y alla Palice, fra Lione
e Parigi . \ . . . A. 353
Minacce ad una Guida indiscre-^
\
3iS
ta di yàUUvedrOj presso il
monte Sempione . . . A. 36o
i538. Contese ardite con quelli che lo
esaminarono in Castel S. ^/i-
gelOyOverapri^one. A.Z60 a ZqS
Viva disputa con Frate Pallavi-
cini, compagno di pri^onia
in Castel S. Angelo . .A. 879
Aspre parole con Giovanni da
Prato y che lo serviva in Ca-
stel S. Angelo •, . . .A. 44?
i54o. Zu^ col Maestro delle Poste
di Comollia, presso Siena ^
rimasto ucciso da Benvenu-
to . . • . . . B. ig a ^3
Contesa con Alberto Bendidio^
in Ferrara . . B. 3i a 34
Contesa col Card. d'EstCy per la
scarsa provvisione per lui pro-
posta al Re Francesco I. In
un castello del Velfinato. B. 4^
Fiere minacce al Sig. di Mar-
magne. Jn Parigi . . A 56 $7
Zt^^ y di notte , contro quattro
ossassinL In Parigi. B. 68 a 71
Violenta espulsione dal palazzo
del Pieciol Nello di un Mae-
stro di Salnitri , e di un altro
in alloggiato. In Parigi. B. 100
a 103.
Idte col secondo dei suddetti, ter^
minata da Benvenuto col fe-
rire di nòtte gli avversar/ In
Parigi^» • . . iP. 104 (t 108
Minacce ebassealsuo lai^oran^
te Paolo Miccerij alla concu-
4 bimi, Caterina , ed alla madre
di essa. In Parigi, B. ii3 a ii5
Ardita comparinone e difesa da-
vanti al luogotenente CrimU
naie del Re. Ivi. . B. ii6 a lao
Aspre lagnanze e minacce con-
tro del Primaticcio , perchè
gli ai^esse usurpate alcune ope-
. re a lui prima commesse. In
Fontaineoleau, B. ÌH2 a 126 139
Vendette e violenze orribili con-
tro Paolo Micceriy e la Ca-
terina sunnominata. In Pari-
gi . B. 126 a i3o
Violenze contro uno stillatore di
acque odorifere, per iscacciar^
lo dal Picciol JVellOy ove di-
i morava . per favore di Mada-
ma dUEstampes. ' In Parigi B. 1 47
Viva questione con Pier Fran-
cesco de^ Ricci, Majordomo
del Duca Cosimo I. In Firen-
ze . é . . . B. aoQ a 204
Disputa col Duca Cosimo /• in-
torno al valore di un certo
diamante* In Firenze, i?. 2 1 7 a aao
1 546- Parole ed atti terribili contro la
Gambetta j meretrice, e Cen-
<^i^ > fis^o di essa. In Piren^
ze . . • B. 222
Parlata ardita al Duca Cosi'-
mo L^ onde averne i soccorsi
3ao
necessari pé suoi labori j e
perchè non credesse cC suoi
nemici. In Firenze. B. :t34 a 340
Imprecazioni dette a Lattanzio
Gorini^ Pagatore dd Vaca
*'■ Cosimo /., perchk gli avesse
sospesi i pagamenti , non ere--
dendo che fisse per finire il
Perseo. In Firenze . . B. 2^5
Ingiurie dette alBandinéllo in--
contrato per viaggio , presso
Firenze B. 2^6
Nuove ingiurie contro del Ban-
dindio e Francesco di Mat-
teo Fabbro^ allievo di esso.
In Firenze ..... -B. 2^S
Disparer ey e ifuindi lite acerrima
col BandindlOy in presenza
dd Duca Cosimo L In Fi-
renze . . . . B. 253 a 263
Disputa col Duca Cosimo I.^ in-
torno al gettare in bronzar la
figura del Perseo. In Firen-
ze B. q68 a 273
Sospetti ed ingiurie contro quel-
li che V assistevano nella fu-
sione del Perseo. In Firen-
ze . . ..«••* i?. 282
i^^J^. Disputa col Duca Cosimo /., in-
tomo al modo d' affortificare
. le porte di Firenze. Ivi . -B. 3 1 6
Lite con un Capitano lombardo
per lefortificaùoni della Por-
ta al Prato. In Firenze, i?. 3 1 7 3 2
\
\
321
Parole e punacce contro Bemar-
done Baldini, in una pubblica
strada di Firenze . . ^ B. 33q
Contese con Jacopo Guidi, «Se-
gretario del Duca Cosimo I. ,
e poi col Duca stesso y circa
il prezzo da farsi al Perseo.
In Firenze ... -6. 348 a 353
. Contese col Tesauriere Ducale
Antonio de' Nobili, pel ritar-
dato pagamento del prezzo
del Perseo. In Firenze . B. 355
i556* Questioni j prigionia, e tregua per
un an^o fatta da Benvenuto
con un suo nemico. In FJi^
renze B. J^5i
i56i. Cause contro Piermaria d^ Ante-
rigoliper rompere un contrat-
to. In Firenze. B. 4i3 4i8 a ^22^
472.
(Syo. Causa contro Antonio Sputasene
niy perchè non fosse pia con-
siderato figlio adotti^ di Ben-
venuto. In Firenze* B, 487 a 49^
Cellini Bemf. f^oU IIL 21
332
MALATTIE
DI
BENVENUTO C E L L I N I.
i5i8 Jr ebbre in Pisa^ per la catUv^'a^
ria A. %%
i5:i7. P^^cossa nel petto y e svenimenlo p
per un colpo d'artiglieria. In
Castel S. Angelo . . . A. 122
rS^S. Febbre quartana. In Mantova. ^ i44
i535. Scesa agli occhi e mal venereo.
In Roma . . .A. 2o3 a 309
i535. Spavento e febbre con frenesia
provenutane. In Roma. A. 290 394
1537. Cattivo stato di salute y ejebbret"
ta. In Lione ... • • A. ZSj
1 538. Rottura di una gamba nélfu^r
re dal Castel S. Angelo. A. 397
i54o* Indisposizione di salute per la
cattiv^ aria. In Ferrara 4 B. 38
3a3
l^45* F^hbre istantanea y per eccesso
di rabbia. In Parigi. B. 127 139
1545. Male alle reni, per eccessivo la-
voro. In Firenze . . . B. 20S
Occhio ferito da una ss^erza d ac-
ciaio. In Firenze . . • B. 567
i552. Febbre efimera, per P eccessiva
fatica nel gettare di bronzo
il Perseo. In Firenze. B. 279 281
i56o. Sospetto di veleno , dissenteria e
. malattia di un anno e più. In
Firenze . , . . B. 4^5 a 410
1571. Morte di Benvenuto atti i3 o i5
Febbrajo. In Firenze . B. Boi
AlklORl^ DISSOLUTEZZE^ MATR^AfONIO
E FIGLI
J)I J8ENVENVT0 CELLIM. ^
ji. 54 55 58 59 — 91 97 io3 io5 a ii4
— 167 170 171 — 186 207 — 223 224
226 201 a4^ ^4^ ^43 ^44 •- ^44 ^ ^4^
-ÌB. 73 — HI a ii5 126 i3o — i37 — 246
- 442 457 467 472 484 485 499.
c. 243.
3a4
INDI CE
DELLE PERSONE NOMQD^ÀTE
NEL TESTO
O NELLE ANNOTAZIONI.
A
ocolti Card. Benedetto A, is5, B. 38.
Adriani Gio. Battista B* ifiS 436.
Adriano Imperatore A. 92.
Adriano VI. Papa (Adnano Fiorente di Utredit)
^. 89 98 ii4 124 294* O. 35 aii.
Affò Ireneo B. c|8. .
Agnebò id^). Vedi Annd>aat.
Agnolo da Cesi A, 354*
Agostino, satto- ddi Duca Alessandro de* Medid
A. òli. ^
3a5
Alamaiwi Lui^^i A. i5o i58 iSg 169 45i. B, 10
a 14 44 ^4 97 9^ 117 <3i7 180. C. 67.
» • • Maddalena^ Lena od Eiena» moglie di
Xaiigi. Vedi Buonajati.
• • . Battista f di Luigi B. 180.
Alba (d') Duchi A. a4i. ^.189. V. Toledo.
All)erìiii Francesco B. 4^9*
Alberti (d*) Francesco , di Yillanuova A. 44 6<
i3o i55 167 179 276 307 349. iff. 5 8 35 70
ii4 197 aoo 217 a53 a58 %6\ 277 a8o 4o3.
Alberti (d^li) Lionbattìsta C, aSo.
Albertini Fraocesco B. aoo.
Alberto Masno C a.
Albizzi (degli; Girolamo, di Luca B, 35 1 55a 353
357 445.
Albizzi (degli) Eleonora B. 249.
Albonesi Atranio B, 3q.
Albret (d') Gio. , Re lì JVavarra ^.61.
Albret (A*\ Enrico IL, figlio di Gio., ^. 60 a 65
i5i 170. C a53.
Albret (d') Giovanna, figlia di Enrico II., moglie
di Antonio di Bourbon, e madre di Enrico IV. ,
Be di Francia j9. 61 62 4a7. .
Aldi B, 146.
Aldobrandi Bettino A. i^5 i^3 174 17S 179.
Alencon (d*) Duca Carlo ^. òi 170. ^
Alessandri (deg^i) B, 4'^*
Alessandro VI. Papa (Roderico Boriga) A. Sa 4^
117 40S. B. 29.
Alfieri Vittorio B. 4S7.
Alicorno Trajano A, 160 i6a 212 a57 afiS.
Alighieri. V. Dante.
Allegretti Antonio A. 169 291 297. C. XLVI.
AUemant (l*) Francesco B. 56 Sn i63.
Alliotti Pier Gio., Guardaroba Pontificio j^. 211 o
216 258.
Allori Angelo di Cosimo, detto il Bronzino A. %i.
B. 335 536 357 359 498. C. a36 258 239 267
278 279.
Allori Alessandro, detto il Bronzino , nipote del sud-
detto B. 535 356. C. xi.vt.
336
Abneni Sforza & ^49 5ot 359 344 '4^ S^» 44».
Altoviti Biodo di Antonio À. 4^1. B. 202 a 207
Soo 3o2 44^ 44' 44^ 449 4^^ 4S< 4^3 494-
Altoviti Antonio di Bindo^ Arcivescovo di. Firenze
B. 297 45o.
Altoviti Cassandra, maritata Salviati ^. 568.
Amalfi /d') Duca. V. Piecolomini.
Ambra (d'^ Francesco B, 296.
Ambrogio (Santo) B. w.
Ambrogio (B.) Generale de* Camaldolesi. Vedi Tra-
versano.
Ambrogio (mesier) V. Recalcati.
Amerìgni Amerigo A. 80. C. Lvn<
Ammannati Bartolomeo, d'Antonio B, 191*372 585
386 389 390 394 396 409 4t<> 4< ^ 49^- C- TsxsBL
368.
Ammannati Laura. V. Battiferri. ^
Ammirato Scipione A. ino 3i3 556* B* a 14 352
414 455 436.
Amoretti Cav Carlo A. 3o.
Ancona (d") Pasqualino , Arcbitetto. V. Pasqualinow
Ancre (d') Maresciallo di Francia B. 4<7*
Andrea pisano A. 5n^,
Andrea del Sarto. V. Vannucchi,
Angelica siciliana A. 225 227 23 1 :^3.
Angelico ^'ietro da Barga G: xlvi.
Angiò (d*) Duca Enrico. V. Enrico III.
Angouleme (d*) Carlo. V. Carlo d' Orleans.
Anguillara (Conti dell'). V. Cibo, ed Orsini.
Anguillara da Stabbia Flaminio » detto anche Orsini
e Conte dell' Anguillara B. 81, -
Anguillara da Stabbia Maddalena^ moglie del pre«
detto. V. Strozzi. •
Anguillotto da Lucca, giovane soldato A. 173 174.
Angutssofa Giovanni Francesco ^ di Piacenza B. i85.
Angulo Andrea C. xlvi.
Annebaut (d') Claudio , Ammiraglio di Francia
B. iSo 143 144 157 169. .
Anniballe V. Annebaut.
Anselmo (Padre) i?. 5o 55 67 77 I2r 157.
Antea^ cortigiana A. k85.
32^7
AnterigoH ((T) Filippo di Vespasiano A 697 % a
4o4 4Ò6 407 4^0 4>i 4^^ 474*
Anterìgoli (d') Piermaria di Vespasiano detto Lo
Sbietta B> 5q6 a l^oo 4o5 204 4o6 4on 408 4i2
4i5 4i5 4i6 4"8 a 4^5 fyj% a 475 490.
Antinoo A. oa.
Antonio di i^ndro, detto Marcone^ orefice in Fi-
renze A. 16 39 40.
Antonio da Goretta B. 4^4
Antonio di Bourbon Duca di Vendome e Re di
Navarra B. 4^7-
Antonio da Bologna C. lix.
Antonio da S. Marino A. 3q.
Antonio 3 celebre suonatore ai Bologna A, 20.
Antonio, uno degli Otto in Firenze A. 5i 62 lio.
Apa (dell') B 164.
Aragona (d') Ferdinando V., Re B. 61.
Aragona (d') Maria, maritata d*Avalos A. 32^
Archinti Monsig. Filippo A. 44^*
Aretino Guido. V. Guido.
Aretino Leone V. Leoni.
Aretino Leonardo. V. Bnlni.
Aretino Pietro. V. Pietro^
Argelati Filippo A. 260.
Ariadeno. V. .Barbarossa.
Ariosto Lodovico A. 87 12S 224 ^^^- ^* 4^ ^^^
275.
Aristotile C 2.
Arrigo. V. Enrico*
Arsago Paolo^ orafo milanese A. 38 a ^o.
Ascanio di Giovanni da TagliacozKO , fattore del
Gellini A. 533 a 359 347 » 55o 55n 578 485
386 387. j9. 9 a 57 ICQ ii5 i5i i55 174 178
176 i8r 204 2q5 211 460.
Ascoli (d*) Aurelio o Eurialo , Poeta A* 96.
Asti (d) Rinaldo B. 114.
Atanagi IMonigi ^.169.
Avalos (d') Ferdinando Marchese di Pescara A. i33
329.
Avalos *(d') Alfonso Marchese del Guasto ^.529
53o. B. 87 i4o.
3^8
Amlot (d') Maria d'Aragaaa^ moglie dd %uài
V. Aragona.
Apatia Niccolò B. ni.
Avilcr (d*). V. DavUer.
Aurelio d'Ascoli ji. g6.
Austria (d*) Carlo V. Imperatore.
• . . Margherita bastarda del suddetto.
• . • Fermnando I. fratello del suddetto*
. . . Eleonora sorella del suddetto.
. . . Maria sorella del suddetto.
, . . Giovanna figlia di Ferdinando I.,
di Francesco I. de' Medici. .
. « Giuseppe I. Imperatore.
Massimiliano II. Imperatore.
V . . Vedi Carlo 9 Margherita ec.
B
Baccio d'Agnolo B. 364 365 596.
Baccio di Dernardone. V. Baldini.
Baccio di Montelupo, scultore A. 5*j^.
Bachiacca. V. Libertini.
Baglìone Gio* Paolo A, 119.
Baglione Orazio A. 119 126 a 139 i35 iSg a i4i*
Bagno (da) Cesare. V. Cesare.
Bagnocavallo (da) Gio. Battista, B» io5.
Balbo Girolamo, Vescovo di Gorizia A* loS i^6^*
Baldassare da Siena. V. Peruzzi.
Baldini Baccio ^ intagliatore in rame B, 33 1 53a.
Baldini Bernardone» orafo A. 283. B» 114 ii3 220
a36 a 241 3o9 a 3i2 33o 338 389.
Baldini Baccio di Éernardone^ medico ^. 33i 3132.
Baldinucci Filippo i^. 85 88 90 107 121 149^ <S2
192 332 382 383 585 3»5 590 396.
Baldovino , figlio naturale di Filippo « il Buono y di
Borgogna B> 57.
Balducci Jacopo A^ loo loi.
Bandinella Micìielagnota. V. Michelagnolo.
3:20
Bandioelli Baccio di Micbelagiioloj che si chiamo
prima Di Brandini A^ i5 16 iq4 i^5/ B 191
197 1^8 3o4 a ao8 235 a34 235 a44 ^4^ ^47
%Ìj^ 2$4 a 257 a59 a 265 5i4 353 336 557 538
548 558 559 36o 362 563 364 566 367 571
. 572 375 576 377 382 a Sgoi 409. C. xxT. xxx..
zxxviii. i55 235 254 255 275.
BandinelU Clemente di Baccio j9. 387^
Baodini Giovanni A, i84*
Bandini Gio. Battista B* 358.
Baadini Angelo Maria B. S^ l^.
Barea (da) o Bargeo. Y. AneeS^o Pietro.
Barbarella Giorgio da Castelfranco, detto il Gioì;-
gione A, 170 B, 226.
Barbaro Daniello , Patriarca. d'Aquika C. 25o.
Barbarossa IL, detto anche Cheredino o Ariadeno;
Be d'Algeri ed Ammiraglio di Solimano II.
B, 81 228 25i.
Barberino (da) Francesco A^ 328.
Barbieri Francesco ^ detto il Guercino da GenU
^.247.
Barbieri (del) Domenico B. io3.
Barca (della). V. Sciorina.
Baretti Giuseppe A, vii. ui.
Barozzi Jacopo da Vignola. ^.^ i55 i56 395.
Barthe (de la) Paolo, Signore di Termes B. 3iS..
Bartoli Daniello A. 224.
Bartolini (de") Onofrio B. 36 1 562 365.
Bartolommeo (Maestro) B. 487*
Bartolommeo scultore , . marito di Liperata Cellini
A, i4i 146 B. 188.
Bartolozzi Francesco C, 235.
Bartsch Adamo A. i5o.
Bastiano del Piombo, veneziano A. 170 195 197
199 200.
Battiferri Laura , di Gio. Antonio, maritata a Bar-
tolommeo Ammannati B, 589 390 C xxxviir
XEXtL. 268 269.
Bayle Pietro ^.81.
Beatrice pistoiese, serva A, 3o2 3o3 3o4- >
Beatrice Siciliana A, 240 ^43 244*
J3o
Bellaci (de') Mona ^ di Andrea A* 14$.
BeHarmato Girolani0 ^. i5] i58. '
Belli (de*) Valerio A^u
Bellini Giovanni B, 236.
Bembo Cardinale Pietro A. 88 laS 254 ^^ >^
181 307 539 • 344. H. alò 266. C. xa. xtti?«^
234*
Bendidìo Alberto ^. 88. i9. 3t a 38.
Bene (del) Pietro A. 116
Bene (del) Albertaccio di Pietro A. 253 254 255
35q 340. C. 234.
Bene (del) Attmo di Pietro A, «53. B. 460.
Bene (del) Alessandro di Pietro A. 116 a~~fi9 235
\ 255.
Bene (del) Riccardo A. 355. B, i38.
Bene (del) Baccio B. 4^7 4^^ 43<> 4^' 4'^-
Benedetto (Ser) Notajo A. 233 234 a35 246 2^7.
Benedetto da Cagli o da Galli , Giudice de'Malefizj
A. 369 418
Benedetto da Ravazauo B. 296.
Benedetto (Fra) da Fojano A. 4^ 4^^-
Benintendi Niccolò A, 269 a 272.
Benintendi Pietro, fratello del saddetto A. 269»
Benivieri Andrea di Lorenzo B. 4^7 499 ^^^*
Benvenuto da Imola B. 107^1.
Benvenuto parigino, cameriere di Papa Clemente VII.
^. 110 a ii3.
Berengario Jacopo da Carpi, cerusico A. 85* a 89»
B. 36 37,
Berlinghieri Berlìngbiero A. 177.
Bernardaccio , .orafo. V. Baldini Bernardone.
Bernardi Giovanni da Castel Bolognese , intanatole
A. 232.
Bernardino, medico. V. Lilj
Bernardone. V. Baldini.
Berni Francesco A. 161 296 3io. J?. 178 264 3i7
418. C. 234 255.
Bertoldo, scultore A. 3o 149- '
Bertoldi Pier Francesco B. 397 598 446 447 45Ì
455 476*
Bettini Baccio, fuoruscito fiorentino A* 3 18 3 19]
33 1
Beuch Jacopo B» 5gi.
Beverini Bartolommeo jff. 38t.
Bevilacqua ^•77.
Bìard Pietro B. 4^0.
Btbietia (da). V Pagolo di Gio. Battista.
Biliotti (de') Zanna jt. 188.
Biècioni Antonio Maria C. 264*
Bizseri <de') Suor Mattea B, 447 44a
Bobadilla (de) Francesco , Vescovo di Salamanca
ji, 5i 61 65 67 a 74. C. 118.
Boccaccio Giovanni •^•^g 72 ^4 99 '<^ 198* B. 5
46 g2 106 107 ii4 3iaai5 916 aio aia a57
^74 a86 5q5 3i4 5ao 53o 35? 369 406 407
419 C. XL.
Boccarino Bernardino A. a6o.
Bocchi Francesco C, xwiiu
Boiardo Matteo j?. 172.
Bologna 9 pittore. V. Primaticcfo.
Bologna Giovanni, fiammingo B. igi 3gi Sga.
Bologna (da^ Antonio* V. Antonio.
Bona (di) Biagio, mercante Raugeo C. 3o»
Bonanni Filippo A- a32 147 a5i.
Bondone (di) Ambrogiotto o Giotto A, 37. B. 106
107 108 341.
Bonfadio Jacopo A. 2^.
Bonsi Lelio C. xlti. a8o.
Borbone. Vedi Bourbon.
Borghini Raffaello B. 387.
Borghini Vincenzo A, 3. B» 197 atS a45 3g4 4^^*
Borgia Roderico. V. Alessandro vi. Papa.
Borgia Cesare di Roderico , Duca di Valentino
A. 55.
Borgo (dal) Raffaello A. 53.
Borgo (dal) a Buggiano. V. Vanni.
Borgogna (di) Principi. V« Filippo 7/' buono , Duca
di Borgogna; Baldovino^ figlio naturale del'det^
to ; Giovanni Baldovino , figlio naturale di Bai,*
dovino ; e Giovanna di Borgogna , Regina di
Francia.
Borromeo S. Carlo B. 4^1.
Bossi Cav. Giuseppe A. 196. B^ 69 377 56 1.
33a
Bottani Giovanni A. \fyi*
Bottari Giovanni B. i56 a6o 4^5 4S0. C. xsua..
Botticello Sandro B. 3>3.
Bourbon Carlo , Contestabile di Francia e ribelle.
. . • Antonio , Re dt Navarra e padre di Euri*
co IV- Re di Francia.
. • . Luigi, fratello del precedente e primo Prin*
cipe di Condé.
... Francesco, Conte d' Enghien e fratello dai
suddetti.
. . . Francesco, Conte di S, Paul.
• . • Vedi Carlo» Antonio ec.
BoiirdeiUes Pietro, abate di BranUmie ec. ^« 5i 78
81.
Bozza, servitore A. 892 SgS 4^4^
Bracciano (Signori di). V. Orsini.
Bramante. V. Lazzari.
Br^ndini. V. Bandioelli.
Brantorae. V. Bou^di^iUes.
Briart o Biìard , scultore B. 4^^ 4^1* ^
Bronzino. V. Allori.
Brosse (de) Giovanni B. 6or.
Brucioli Antonio A* 169.
Brunelleschi. V. Lapi.
Bruni Leonardo, aretino A* ^*
Bugatto Gasparo A» i3a.
Bu^giano. V. Vanni.
Buegiardini Giuliano y^. 149 iSo
Builait Isacco B* i36.
Buonaccorsi Giuliano A. 355 556. iS. 2ta aa^^
Buonagrazia Zanobi di Silvestro ^ 4^'-
Buonajuti Maddalena, o Lena od Elena, maritata col*
l'Alamanni i?. iS^.
Buoncompagni Ugo. V. Gregorio XIH.
Buonaparte Jacopo ^. 1221 1 35.
Buonarroti Micbelagnolo , seniore y^. 16 29 3 1 Ss
S'S 45 5^ 55 85 ga io5 io4 *47 * '^ '7^
258 266 2^5 5o8 3i8 574 443. A. i65 192
197 iq8 209 235 2*^5 255 285 292 a 209 3o2
555 3*^7 341 352 559 365 37Ò 38o 387 38g
390 391 4'^9 49^* ^* 3ULKVIII. aX. XLI. XMI.
333
65 i54 i55 195 199 211 3i5 ai5 216 229 a35
a 258 249 2 'io 254 25b i5d 264 267 275 285.
Buonarroti Miche lagnolo , funioi'e A. 5o. B. lifi
216.
Buondelmonti Andrea B. 4^^*
Buòninsegni Domenico di Lionardo, storico A, 3,
Buoninsegni Domenjco^ tesoriere di Clemente VII.
B. l'jG,
Buontalenti Crìstofano B. 4oo 4^4*
Burbacca o Busbacca^ corriere A^ 345 546 549 *
552. B. 458 459.
Burlamacchi Francesco B. 227 298,
Burmanno Gaspare A. 8g.
Busbacca, V. Burbacca.
Busini Miniato C xlti» ^
Butì Cecchino B. 4<>3 4^4-
Buti (da) Francesco C. zl.
Cacciaguida^ trisavolo di Dante B. S60.
Caccianimici Francesco B. io5.
Cafferelli Jacopo C xa.
Cagli {daìjf Benedetto. V. Benedetto.
Calcagnini Celio B. òg.
Campana Francesco B. 364.
Cancellièri, famiglia piste» jese B, 188.
Cappello Bartolommeo B. 44^ 44^*
Capponi Niccolò, Gonfaloniere A. i47*
Capretta , beccajo , e sua moglie Ginevera B, 285
284
Capua (di) T Arcivescovo. V. Scbomberg.
Caracciolo Murino o Martino, Card. A, 260.
Caradosso. V. Foppa Ambrogio.
Cario V. imperatore A. 16 18 98 ii4 a 117 121
125 147 202 257 259 260 282 520 a 526 S29
555 575 400 445 448. B. i5 24 25 29 60 61
65 77 85 86 87 ii6 159 140 142 i56 i58 169
334
i84 t85 189 iia6 aaS zt^ »5o ^St 29^ 5 12
5i5 5i4 559 562 58o 417. C. 17 x8 iSo,
Carlo Vili., Re di Francia jÌ. 44*
Carlo IX. ^ Re dì Francia B 4^7*
Carlo d'Orleans, Conte d'Angouleme e Duca dì
Valois , padre di Francesco I. Re di Francia
i5. 90.
Carlo Duca d'Orleans, figlio di Francesco!. B. i4o.
Carlo di Bourbon, Contestabile di Francia e ribebe
A» mi, 116 a 119 157.
Camesecchi Pietro A, ^4^ ^49*
Camesec'^hi Giovanni di Giovanni , detto il Lena
B. 495.
Caro Annibale A. 52 169 256 291 297 Sto 399 449
450. B. 275 3oi ^9. C xncni.
Carpi (da) Jacopo. V. Berengario.
Carocci Bartolommeo B. 555.
Carocci Jacopo xia Pontormo B. 555 5S6« C, sui*
256 267.
Casa (della) Cecchino A» lìn "^*
Casa (della) Giovanni A. 24Ó C xzi zxii.
Castel Bolognese (da) Giovanni. V. Bernardi.
Castel del Rio (da) Mona Fiore , serva di Benve-
nuto. Forse quella stessa che fu poi sua mo-
glie e fu detta Mona Piera B, 281 287. V,,
Cellini Piera.
Castiglione Baldassare A. 55 98 259.
Castoro Francesco ^ orafo in Sena A. 19*
<■ Catani Francesca da Montevarchi , medico A. Sog.
B, 4^9 4'^*
Catena Gìo. Battista 2^^ 58i.
\ Caterina da Siena (Santa) B. 4Si«
Caterina, amasia di Benvenuto B. ili a i36.
Cavalca Fra Domenico B. 594.
Cavalcanti Alessandro B. 85. C xv.
Cavalcanti Andrea B. 61.
Cavalcanti Lorenzo Maria A. xn. B. 85. G. xa.^
Cavalierino di Qemente VJI. V. Vespucct Niccolò.
Cavalletti Scipione > miniatore A. 20.
Cecchi Giammaria 2?. 257 276 5i8 53o.
335
Gellini di Ravenna e Pisa ^. 3 i8it
Cellini Luca ^. 4-
Gellini Cristofano, bisavo di .Benvenuto ^.256
i8i. C, XLvn.
. . Andrea di Cristofano» ,avo di Benvenuto
^. 2 6 9 1.5 i4 i8i. B. 484 48^
. • Girolamo di Andrea^ ùo paterno ^i Benve*
nuto ji, 6. \
.« . • Bartolommeo dì Andrea , sio patWno di
Benvenuto A, 6.
• • Francesco di Andrea ^ zio paterno di Ben-
venuto j4, 6.
^ . Giovanni di Andrea/ padre di Benvenu^
^. a 6 IO i6 19 ec. 4^ 62 65 66 i4o
i4i 14^ 1S7.
« M Rosa di Giovanni, sorella madore di Ben-
venuto, probabilmente la stessa, cbe è in
seguito ehiamata Cosa jì. 8.
, . Cosa di Giovanni , forse deve dirsi Rosa ,
cioè la stessa che , la . precedente A* t^S %6
141 «46« , .
• • Liperata di Giovanni 9 sorella minore di Ben-
venuto, maritata a Bartolommeo scultore^ e
quindi a Raffaello Tassi A, a5 28 i4i i4^
146 3oo 5oi 307. £. Il'] 186 187 188
203 207 223 224 23 1 2TO.
• » Francesco di Giovanni, fratello di Benve-
nuto A. 17 24 i4o '4^ 14^ 172 ^ >S4*
« . • Piera Fiore , serva , q>osata da Benvenuto
verso il i56o , la quale probabilmente cbia*
mavasi prima di Castel del. Rio £, J^
485 490 Ago.
~. . Gostanza, ^glia naturale di Benvenuto e di
Gianna detta iScozzoiui, nata in Parigi nel
i544. B. 157. '
• . . . • figlio naturale di Benvenuto, nato
e morto in Italia tra il j548. e il iSSa»
B.. 246 266.
. • Iacopo Giovanni, figlio naturale di Benve*
nuto , nato alli 27* Novembre del i554"
i^. 442 445.
536
GeOim GmvanBÌ, figlio naturale di Benvenato» nato
alli 32. Maggio del i56a. , legiltimato nel ^
i56i., morto nel i563. B. 4^7 4^3 4^7
c. 244.
^ . Maddalena » figlia legittima di Benvenuto ,
quella medesima per quanto pare, che di*
cesi nata alli 5. Settembre del i566. B» 472
4B4 485 490 a 495 499 5oo.
. • Lìperata o Reparata ^ figlia legittima di Ben-
venuto, nata tra il i56i. e il ;i568. B, 4^4
495 490 ^ 49^ 497 S<^-
. . . Andrea Simone, figlio legittimo di Ben*
venuto, nato nel Marzo del 1569. B. 4^4
490 a 493 499.
« • Nutino o Benvenutino, ^lio adottivo di
Benvenuto. V. Sputasenni Tonino»
Cellino (da) Fiorino A. 5,
Cencio^ servo di Benvenuto A, 2216 288 289 292
5o2 SoS.
Cencio, fattorino, figlio della Gambetta B. 206 220
a 224.
Genuini Bastiano A. 284. C. Lvm.
Cennini Benvenuto C 256.
Contano Andrea, Vescovo. A. 4^i ^12.
Ceri (da) o Ceres Renzo o Rentio» V. Lorenzo.
Cesano Gabriello A. io a 14.
Cesare (messer) Guardaroba di Coiimo h de' Me*
dici B. 570.
Cesare da Bagno , lavoratore di Benvenn to GdEni
B. 345 C. stvi.
Cesari Antonio B, 114 197.
Cesarini Gabriello A. 74*
Cesena (da) Gio. Jacopo. V. Giovanni Jacopo.
Cesi (da) Agnolo A. 354*
Chalons (di) Filiberto, Prìncipe d'Oranges A. i55
i36 137 147 i5i 199 374.
Cbaste (de) Giacomo, Signore de la Faye B. 121
i65.
Cbaste (de) Francesco, di Giacomo B, 122.
Chateaubriand (de Foix) Francesca B, Sg.
Cberedino. V« Barbarossa.
337
Cherubino 9 maestro d* oriupli B. i*] 2± ti 26.
Chiaveiuzzi Pietro uè. 4^5.
Chigi Agostino^ Gismondo e Porzia A. Si a 61
7 4 ^ip.
Chioccia Bartolomtneo .ff • no ii3 127 ia8.
Chiostra (della) Ulivieri A. 26 28.
Qacchi Bernardo A, 44*
CiacoDio Alfonso A. 89 256. B: 3^8 4^*
Ciho Gio. Battista. V. Innocenzo Vili. , Papa nel
t484.
« .> Francesco y Conte d' Angnillara e figlio del
suddetto B. 80.
. , Innocenzo di Francesco, Cardinale ed Ar-
civescovo di Genova A, ']S 268. C 118.
« . Gio. Battista, Arcivescovo di Marsiglia e
fratello del suddetto A. 268.
. . Lorenzo, Marchese di Massa e fratello dei
suddetti A. 268.
. . Ricciarda, moglie di Lorenzo. V. Malaspina.
Cibo Alberico , Signore di Carrara ^. 385.
Cicerone M. T. A. 54©
Cimabue A. 27. B, 108.
Cinelli Giovanni A, 543. B, xviii. xx..
Cinonio. V. Mambelli Marc' Antonio.
Cipriaao.de Bore. V. Bore.
Cisti, capitano ^.173.
Claudio, fiammingo, giovane di BenvenOto C. 117.
Clemente V. Papa nel i3o5.' \Bertrando de Goutb)
B., 107.
Clemente VII. Papa. ( Giulio de' Medici ) A, t6
18 20 45 5i 52 57 65 66 22 73 8c 86 87 90
98 no it4 a 119 122 a 109 147 i5i à 172
182 a 223 23 1 a 239 247 a -252 256 2DÌB
285 286 294 3o8 3i3 320 324 325 33o 33 e
370 373 374 4^9* ^' 39 ^^ 1^ 77 ^'^ ^4^ 3^^
255 256 294 341 359 362 370. C. XII. xxvi;
jBvn. i5 3o 55 67 a 70 75 93 100 104 no
194 211.
Cocchi Antonio A. vn. xiv. xvu. xix. B. 4^7 4^^*
Cola Jacopo C. 3o.
Coligny (di) Gasparo B. 427.
B€nv. CellirU FoL III. m
338
Colonna Pompeo , Cacdtnale A* 88.
Colonna Prospero A. i35. B, a5i.
Colonna Sie&no , dei Signori di Palestrina B. aSx
266.
Comesio Lodovico A. 194*
Comodo 5 Imperatore B. iS4«
Concion Bartolommeo C. 417 4^^ 4^^ 4?^* ^« JXa^
Conegrano, Cavaliere £. 58i.
Contialonierì Gio. Luigi, di Piacenza B, i85.
Contocci Andrea da Mont^ a S. Savino, scultore
A. 238 267. B. 197.
Conversini Benedetto, Vescovo A. 369 a 372.
Corbinelli Jacopo ^. i38.
Coretta (da) Antonio. V. Antonio^
Corìda, serva A, 109.
Cornaro Caterina, Regina di Cipro A, ^S*
• . Giorgio , fratello della suddetta A> 73.
. . Cardinale Marco, figlio di Giorgio A^ 'fl 256.
. . Cardinale Francesco, fratello del suddetto
A. 256 258 259 274 5o5 584 401 4oai
4o3 ^\i a 4^1 4^1*
• . Cardinale Andrea, fratello dei suddetti A. 256*
Cornaro Pietro , Mazziere pontificio' A. 196.
Cortez Tommaso da Prato, Datario ponti^cio A* 164
166 169.
Cortona \da) Giorgio. V. Giorgio.
Costantino, Imperatore ^. iSf*
Cresren?! Pietro j5. 170^.
Crespino, bargello ^."567 368.
Cristo Luteriano. V. Luteriano.
Croce (della) Baccino A, 172 173 223«
Croce (Santa). V. Santacroce.
Crocini Maddalena Margherita , figlia di Aplonio
-^* 47* 499
Custodi Cavali^e Pietro A. 345, B. 338 497 49^
5oo 5oz.
339
«
Daniel Gabriete B, 157 17O:
Daniello da Lucea Br 36 1.
Daniello da Volterra. V. Ricciarelli.
Dante Alighieri . ji. 224 296. B. 92 106 108 23o
282 297 36o 36i 392 4o5 4^7 4'^* ^' ^
Danterigali. V. Aoterigoli (d*).
Danti Ignazio B 895.
Danti Vincenzo B, 892 395.
Dafdinghelli Lorenzo. B» q86 487»
Dardingbelli Giuliano di Lorento B^ ^96 487»
Davaloa. V. Avalos.
Davanzàti Bernardo^ Cassiere dei Capponi B. 4^7*
Davanzati Bernardo, Storico B. 324 ^3*
Daviler Agostino Carlo B. i55. .
Delfino di Francia, di cui parla il CellinL V. En-
rico IL
Delfina di Francia, moglie del predetto. V. Medici
Caterina.
.Dempstero Tommaso ^. 32i*
Diego (Don), spagnuolo A. 335 a 338.
Diego , ragazzo spagnuolo A. 92 a 97 io3.
Divo Raffaello B. 454.
Domenichi Lodovico C. xlvi.
Domiziano (messere), Simigliare di (Cosimo L de' Me-
dici B. 468 469.
Donatello,, scultore A. 3i B. 192 198 23i t^n
2S5 337. C xsxn. Lvi. i54 i55 199 2i3 254
258 275.
Doni Ant. Francesco B^ 2i4 ai 5.
Donnino da Parma, orafo A. 102 193.
Dorbino Giovanni. V. Urbino (d ).
Doria Andrea A. i36 443. B. 25 i85 228.
Doria Filippino A, i33.
Duprat Antonio B. 53.
Duranti Durante A. 524 ^26 44 1 a 44^. B. 8.
Duro Alberto fi. 535« C lix. 209.
Sii
EoMBO Battista B. i4S-
Sonora d'Austria, sordla di Cario V. B. 86 tS8L
EmaDaek Filiberto » Duca di Savofa B. i5f.
Engbien (d^ Conte. V. Francesco.
Enrico Vili. ^ Be d* Inghìltenra ji. ag. B. i^o i^
25o.
Enrico II. , Delfino e poi Be di Francia B. i5 6x
loi i4o i5i i57 i58 aa8 ag6 5i3 3fo 4^7
428 429.
Enrico III., prima Dnca d'Angii, poi Be di Po*
Ionia , poi di Francia ji, 57& B. 68 4^
Enrico IV., Be di Francia B. 61 63 4^-
Ercole del PifTero , orafo bolognese A. 20.
Esse (d*). V. Montalembert.
Fstampes (Madama (d*). V. Pìsselen.
Este (d'; Alfonso I., Dnca di Ferrara ^.8687 124
a5a 356. B. a8 29 35.
. . • Ercole 11. » Dnca di Ferrara e figlio del
snddetto ^. ;269 272 36i 363. B, 28 a 54
3o8. a 82 2J6.
• • • Ippolito II. detto il Cardinale di Ferrara ,
figlio di Alfonso I. ji, 556 Ò5n 365 a 566
Sdì 449 "^ 4^'- ^. 9 a 18 27 27 5o a 5o
57 58 59 64 a 66 80 87 159 a i44
169 167 171 a 176 181 214 5i5 4ii*
a 82 255.
• 7 • Don Francesco , figlio di AlfooM I. B, 29.
• . , Alfonso II. , Duca di Ferrara , figlio di
Ercole II. i?. 58i.
. . . Anna e Lucrezia, figlie di Ercole O. B. 3^.
Estooteville (di) Giovanni B. 55 55.
Enrialo d'Ascoli ji, 96.
Ezcbaipiet di Lucerna A. 266^
34i
Ta ide la) Guglielmo J. laf.
Fabbro Francesco di Matteo B. ^^8 2^Q 26^
Fabbrucci Stefano M. ^•97-
Fagiolo Girolamo J. ai 3.
PalgaDo (da). V. Gio. di Matteo
Falloppio Gabriele y#. 86.
Fano (da) V. Lodovico,
Fantini Alamanno. B. 44^*
Farnese Alessandro, Cardinale e poi Papa. V. Pao-
lo HI.
. . Costanza, figlia naturale dì Paolo III., mari-
tata con Bósio Sforza, conte di S. Fiora
jÌ. 333 408.
• • Pier Luigi, figlio naturale di Paolo IH., e Du*
ca di Panna ec. A. 169. 170 262 a 266
289 367 368 375 407 408 409 419 440
45o 4^3- S' 7 182 a 186. C xxvni.
• • leronima, mogue di Pier Luigi, nata Orsini.
V. Orsini.
^ « Alessandro juniore, figlio di Pier Luigi e
Cardinale A, 170 44^*
,,. • Ottavio di Pier Luigi ^ Duca di Parma
A, 400 ^01. B. i85. ^
• • Margherita, figlia naturale di Carlo V. Tm-
Seratore , . maritata col Duca Alessandro
e' Medici, poi con Ottavio Farnese. V«
Margherita a'Austria.
^ • Cardinale Rannuccio di Pier Luigi A, 170.
Fasciiel Onorato A, 34 1>
Fattore (il). V. Penni.
Favilla Angiolo. C. xi.vi.
Faustina , moglie di Marco Aurelio Imperatore
A. 64.
Faustina, ftagazsa, sorella di Paulino A. 64*
Fay e. Faye (du , de e de la). B. I2t.
Faye (Signore de la). V« CUaste.
U2
TtXhieù AndrM B. i55.
Fdibicii Dom Bfidide di Andrea. B. Sa 55 lai
^.
Fdke. V. Guadagni
Fdtro (da Monte) Goidobaldo, Doca d'Urbino
jÌ. 134-
Ferdinando V.^ Be d'Aragona B- 6i.
Ferrari Gaudenzio , pittore A. 55.
Ferrucci Girolamo B. 45o.
Ferdinando 1. d'Austria^ fratello di Carlo V. B. 77
339.
Ferrara (Cardinale di). V. Esle Ippolito IL
Fiamma Gabriello A. i52.
Fianmiiogo Giovanni. V. Bologna»
Fiammingo Lionardo. V. Leonardo.
Fiammingo Martino. V. Martino.
Fiaschi Cavaliere Aleanndfo B. 58o 38i.
Fieschi Gian Luigi B. i85.
Figi, sanesi A. 353.
Filelfo Gio. Mario B, 106 107 io8.
Filippo IV. detto il Belio, Re di Francia i?. 5r.
Filippo V. detto il Longo, Be di Francia ^. 5t.
Fflippo IL d'Austria , figlio di Carlo V. e Re -di
Spagna ^.87 i85 ao8 229 aSo 5 14 '4^ ^^
4^5 4^8 4^^- ^* 3axn.
Filippo il Buono ^ Duca di Boif^ogna B, 5^.
Filippo di ser Brunellesco. V« Lapi.
Finiguerra Maso C, lvii. 5r. .>
Flòra' o Fiore (Conti di Santa). V. Sforza.
Fiore (mona) V. Castel del Rio e Celliai Piera.
Firenzuola Agnolo A. 106. 202. B, Si 598.
Firenzuola di Lombardia, orafo A. 36 a 4<>-
Flaminio Marcantonio A. 248 44^-
Flimanto C a.
Floravantes Benedetto A. i65 171.^
Florent Adriano di Utrecht. V. Adriano VL Papa.
Fogliano Giacopò B. 5g.
Fogliani Lodovico B. ^.
Fojano (da) Fra Benedetto. V. Benedetto (Fra),
Foix (de) Odeto» Signore di LaujUrec B, a5i.
343
Foix (de) Chateaubriand Francesca^ sorella del sud*
detto. V. Cbateaubrìand.
Fontana Domenico » giujeliiere ^.241»
Fontani Francesco B. ^j^,
Foppa Ambrogio , detto il Caradosso A. 79 80
ioa i58 i()a. C 54 a 67 % 61 62 68 €(9 76.
Pracastoro Girolamo A. 44^*
Francesco (S.) B. I^oq,
Francesco I. (di Valois), Re di Francia A. xin. 18
75 76 114 a 116 i56 if>i i58 210 260 520
338 355 355 356 562 564 565 566 576 578 58|
587 44^ 449 ^- ^^ '^ ?7 ^^ 5* ^7 40 a 67 74
a 112 116 119 121 a 2o5 210 a 214 228 229
242 245 265 270 54 e 342 562 38o. <7, XII.
soLVii. 4o 4^ 44 67 7^ ^i 11^ '^4 ^^o l32
i5i i55 i56 182.205 208 252 253.
Francesco 9 Delfine « primogenito di Francesco I.
J5 62.
Francesco di Bourbon ^ conte d'Eng^ìen B, \Sfì,
Francesco di Bourbon, conte di S. Paul. B, 167 i63.
Francesco da Barberino A> 328.
Francesco, orafo spagnuolo A. 333 a 357.
Francesco di Piero , lanciajo B, 44^*
Francesco da Buti C. xl.
Francesco da Norcia. V. Fusconi.
Francesco d'Orleans,, dipintore i9. io5
Francesco da Vicorati , soldato valentissimo A» 4*
Francione, di Carrara B. 384-
Frangini Filippo B. 4^2 xxxt^
Franzesi Mattio A, 2o5 a 3oi«
Franzini. V. Frangini.
Frascbtflo, cameriere del Duca di Ferrara Ercole If«
B. 32 55 54 59.
Fredis (de) Felice B. i55.
Fregoso, ambasciatore di Francesco I. A 87.
Frodirii Antonio B. 44^*
Fronspergh Giorgio, capitano A. 116,
Fulvio Andrea B, 43o.
Fusconi Francesco di Norcia, medico A. 294 2Ct5
299 a 5o5.
m
Caddi nkeolò» Cardinale A. i25 365 366.
Caddi Lmgi jÌ. ì6q.
Caddi Ciovanni, Monsignore jt. 169 a ini igS
336 ^ 238 383 a 3oi.
[i AgDOiino ^. 336 a 339.
Caio, gioielliere milanfae jì. 326 a 33o. C 18 35»
Caleno B. 100.
Caleotti Eartolommeo B. io3.
Calile! Caliko B. 253.
Calletti Pietro Luigi jé. 357.
Calli (da) Benedetto. V. Benedetto da Cagli.
Gallo (da S. Gallo) Antonio. V. Picconi e Giamber-
ti Antonio.
Gallo (da S. Callo) Giuliano « e Francesco di Giù-
liano. V. Giamberti.
Gallnzd Bernardo A. 4^1 4^2,
Calluzzi Riguccio B» 192 524 338 4ii 4'^ 4^7 4^^-
427 428 436.
Calterìo Pietro, tipografo in Parigi B. loo.
Gamba Bartolommeo C 275.
Gambetta, meretrice B, 206 221 222 a23.
Garbo (del) Raffaellino S. 356.
Catta (il). V. Miccerì.
Gattinara Mercurio , Cancelliere di Carlo V. e Car-
dinale A. 5*73.
2
io. D
Gattinara Gio. Bartolommeo, fratello del suddetto
e reggente di Napoli A, 673 574.
Gattula Erasmo A, 239.
Gaudenzio, scolaro di BafFaelIo. V. FerrarL
Celli Gio. Battista B. 36.
Genga Bartolommeo B. 252.
Geromino. V. Girolamo.
Gbiberti Lorenzo, scultore A» Si. B. 16S 574
C IVI. i54»
GLirelIi Matteo C. xxvi.
Giamberti Antonio da S. Gallo A. 354. £• ^i^-
\
345
ÌGdamberti Giuliano « da S. Gallo « fratello del pre-
cedente A. 554* B. 3i5.
Giamberti Francesco di Giuliano da S. Gallo» detto
il MargoUa A, 258. B. 3i4 3r5. C xlii. a56.
Gianna, francese, amata dal Gellini B. iS^ i38.
Giannone Pietro A, 242.
Giannotti Giannotto A, 56.
Giberti Giammatteo » Cardinale A- 173.
Gigliolo Girolamo B, 29 3 a 55 34.
Ginevera Maria, moglie del Capretta beccaio B, 285.
Ginorì Federico A. 148 a i5c i58. C. 64. '
Ginori Cario A* 239.
Giordano (di) Ser Gio. Battista. V. Giovanni Battista.
Giordano (Fra) ^.119.
Giorgio da Cortona B. 237.
Giorgione da Castelfranco» V. Barbarella.
Giotto. V. Bondone.
Giovanangelo (Fra) , da Mòntorsoli» Servita B, i^
340 341 383.
Giovanna di Borgogna, Regina di Francia B, 5i.
Giovanna d'Austria, figlia di Ferdinando I. Impe-
ratore , e moglie del Duca Francesco I. de' Me-^
dici A.. 209. B, 229. C, UHI.
Giovanni Baldovino, bastardo di Baldovino di Bor*
gogna B, 57.
Giovanni (S.) Battista B» 11.
Giovanni (S.) Evangelista B. 6.
Giovanni Battista (ser) di Giordano B. 487,
Giovanni Battista da Bagnocavallo B. io 3.
Giovanni da Prato, soldato A. 447- B, 2.
Giovanni di Matteo da Falgano B, 4^0 4^2 4?^ 474
477 5oo.
Giovanni , fiammingo. V. Bologna.
Giovanni da Castel Bolognese. V. Bernardi.
Giovanni, gentiluomo veneziano A. io5 106 107.
Giovanni Francesco, piffero A. i33.
GioVanfrancesco pittore. V. Penni.
Giovanni Jacopo da Cesena, piflero al servigio del
Papa A. 64 63.
Gio. Stefano (mwer), famigliare del Duca Cosimo I.
V. Lalli Stefano.
•V.'-
346
Giovio Paolo A. 77 i32 no ^52 967 a6o a6f.
/?. 35 81.
GiValdi Cinzio G. B. J9. 58 Sg 54^
Girolamo (S.) jB. 2^7 3o2 4o5.
Girolamo da Perugia, garzone del Gelltni A. 358,
359 547 a 55o 365 366 567 570 386. B. éfio.
Girolamo, piffero A. 21.
Giuliano (S.) B> ii4 ''^*
Giuliano, bombardiere fiorentino Ai, f2<»
Giuliano di Baccio d'Agnolo j9. 3i4 364 ^ ^ 49^*
Giulio Cesare , Imperatore A., 3. B. 73 78.
Giulio II. Papa (Giuliano della Rovere di Savona)
A, i3 i5 5i 75 79 117 124 166 198, B. a8
39 61 82 i33 134. C i54 248.
Giulio III. Papa (Gio. Maria del Monte) A. 446.
B. 291 292 297 354 389 392.
Giulto , romano V. Pippi.
Giuseppe I. , d' Austria , Imperatore B. 83.
Glorier V. Grolier.
Gobbi Agosti tio A, 169.
Golpata (della). V. Voìpaja.
Gondi (de*) Gio. Battista B. 1S8.
Gonzaga Federico^ Marchese e poi Duca di Man-
tova ^. 90 98 ii5 142 a i44- ^^ 'o3.
Gonzaga Ercole, Cardinale, fratello del suddetto
A, 125 143 144* ^* ^3* 9(*
Gonzaga Ippolito , al servizio di Francesco I. e.
Ministro di Galeotto Pico della Mirandola- i^. inS
182. ' '
Gonzaga Ippolita, figlia di Luigi , Signore di Bozzo*
lo, e moglie di Galeotto Pico B, 173.
Gonzaga Fermante, Governatore di Milano B. i85.
Gori Antonfran Cesco B 269.
Gorindelli Antonio di Domenico di Simone B. Ai5
r, .446.
Gonni Lattanzio B. ic6 197 200 246 3i5 46S.
' Goro (di) Michele. V.'Vestri A. xxvin.
Granacci Maria Lisabetta .^.26.
Granaccì Stefano A. 6.
Grassuccio da Monte Varchi. V. Varchi.
.Órawa-Dio, giudeo A* ao»^
\
347
Graizini Anton Francest:* , detto H Lasca B* a 1 2.
C. XXXIII. xLi. XLii. xLTi. 259 262 a 263.
Greco Giovanni A* i6q 291.
Gregorio XIII. Papa (Ugo Buoncompagni) B. 393.
Gregorf Antonio e Guido B, 5oo.
Grolier Giovanni B, i45 i4^ i47*
• • Cesare di Giovanni B. léfi.
Guadagni Felice A. 223 233 284 286 288 296 a 384.
Guadagni Tommaso ^1 no.
Guardanelli (de*) Spinello di Gio. di Pagolo B. ^55.
Guasconti Salvatore e Michele A* ^i.
Guascontì Gherardo, cugino dei predetti A. 4^ 4^ 47-
Guasparri, orefice romanesco C. 19 aS.
Guasto (del) Marchese. V. Avalos.
Guercino da Cento. V. Barbieri Francesco.
Guicciardini Francesco A. 122 ia5 i32 375. i?. 35i.
Guidi Guido» seniore B, 96 97 99 100 137 i58 i^S
176 3o4 396 425 463 464.
Guidi Guido , juniore B, 97.
Guidi Tommaso ^. 3i 33. .
Guidi Francesco di Vincensio di Tommaso B» 477»
Guidi Jacopo da Volterra B. ISfi 349 ^^^ ^ ' ^^
384. à. 241.
Guidi Guidozzo di Guidozzo B. 4S5. .
Guidiccioni Giovanni A. j6q.
Guido, aretino, monaco detta Pomposa B, 38,
Guisa (Duca di). V. Lorena,
Guiftone (Fra) B. 233:
I
lacone A, 104*
Jacopo da Pontormo. V. Carucck
Jacopo, perugino. V. Restelli.
Jacopo da Carpi. V. Berengario.
Jesi (da) Lucagnolo, orafo. V. Lucagnolo.
ImhofT Giacomo Guglielmo B, 81 44^-
Imola (da) Benvenuto. V. Benvenuto.
Innocenzo VHI. Papa (Gio. Battista Cibo) À* 4pS*
B. 81.
-w-
34S
Invidia (da) ter Adama o Adam» B. 44^~
JcHqoino de Pr^ V. Prcs.
Ipporrate B. loo.
Ifcatinaro Cesare. V. Gattinara Già. Bartoloamtot.
Isidoro C. a.
Jitveiude Latino. V. Manetti.
Lalli Gio. Battista B. Spf*
LaDi Stefano B. 894 SpS.
. . Lelio di Stefano B. 594 SgS.
Lamberti Cav. Luigi B. i34.
Lambino Dionigi B. i5.
Lamentone, Procaccio A, a6g a 374*
Lami Dottor Giovaonj B. 377.
Lanci Baldassare B, ^\5.
Lanciajo Francesco di Piero B. 4^*
Landi, famiglia di Firenze A. ^i.
Landi Piero di Giovanni A 49 ^ '4? '^' ^7*
Landi Antonio di Vittorio B 2143168219 256
259 240.
Landi, di Piacenza B, 182 184.
Landi Agostino di Piacenza B. i85.
Landini Cristoforo C xl.
Landini Gio. Battista , di Matteo d' Antonio B. 4^1.
Landon C. P. B. ^"So.
Lanfranchi Mattio di Luca B, ifyj.
Langosco Conte Alessandro A^ 440.
Lappi Filippo di ser Brunellesco A, Si 32 B^ 256.
264 565 566 574. C. Lvx. 1 54 216 247.
Lasca. V. Grazzini.
Lastri Marco ^. 3i4.
Lastricati Alessandro B. 282 285.
Lastricati Zanobi B, 282. C slvi.
Lavacchio (del) Salvestro, orefice fiorentino C to
II.
Lavacchio (del) Zanobi, orefice C. Lvnx.
Laura (madonna; C. 26S.
Lautizio» perugino jì. 78 79. B, it. C. 8i 8a 86.
Lautrec. V. ioìx (del) Odeto.
Lazzari Bramante j4. 54 79 197 198 354 C. i54
2i5 ar6 ^47 248 249*. '
Legrand J9. ^5o.
Lenzi. V. Caroesecchi Luigi.
Leonardo , aretino. V. Bruni.
Leonardo da Vinci B, a55 555 537. C xxxvi. ai6
252 255 258 267.
Leonardo , fiammingo /i, i o5.
Leone X. Papa (Giovanni de' Medici) y^. i5 j4 ^5
18 55 73 79 ii4 "7 124 '^6 '^SS 559: B, 29
60 62 197 255 256 56i C, 55 i55 211.
Leani Leone ^ aretino A, 44^ ^ 44^*
Leoni Pompeo di Leone A, 44^* ^- ^^^*
Leonori Francesco di Antonio Lorenzo B* 44^* '
Leva (de) Antonio B. 167.
Lenti (di) Pellegrino. V. Pellegrino.
Librodori (de) Annibale A. ^o.
Librodori (de') Librodoro d'Annibale B, 499*
Ligne (Principe di) A. i5o.*
Lili Bernardino, medico A* 290 291 5o4 5o5k
Lippi Fra Filippo A. 33.
Lippi Filippo di Fra Filippo,^. 53.
Lippi Francesco di Filippo A. 53 ^o>
Lisci Lorenzo di Girolamo B. ^55.
Lodovico da Fano A, 169 291 297,
Longino 16 ) A, li^.
Lontbiere de la). V. Roque.
Lombardi F. B B. 108 56o.
Lorena (di) Repato II. , Duca B, 60.
• • • Cardinal Giovanni, figlio di Renato II.
B, 60 04 65 95 96. C. 255.
• • • Claudio , figliò di Renato IL , e primo
Duca di Guiisa B. So
... . , Francesco, figlio di Claudio, e secon-
do Duca di Guisa B. ^2'j.
. • , Cardinal Carlo , figlio di Claudio B. 60.
• « • Cardinal Lodovico, figlio di Claudio
B. 378.
Lorenzo da Ceri A, 76 119 iSg,
35o
Lorenzo da Lutea «^ Trombone ^.64*
Lorenzo 9 picàrdo j?. io5.
Lottin A. M. , lìbrajo B. £3.
Lotto (di) Pier Maria ^. iSg.
Lucagnolo da Jesi, orafo milanese jÌ» 5i 56 a 76.
Lucca (da) Anguillotto^
• . • Lorenzo.
« . . Daniello.
Vedi Anguillotto^ Lorenzo ec«
Lucca (da) Pietri. V. Pietro.
Lucchesini Giovanni. B. 38 1 382.
Luigi (S.)^ Re di Francia B. 52.
Luigi XI. ^ Re di Francia ^.57.
Luigi XII. » Re di Francia B. 29 49*
Luigi XIIL, Re di Francia B. l^^ J^St.
Luigi dì Bourbon, [Principe di Condè B, ^l'j.
Luigi, padovano^ cancelliere fn Castel S. Angiolo
^. 58a 385.
Luigi di Savoja, madre di Francesco L Re di
Francia A. 116. B. Sg 60*
Luna (<}e) Don Giovanni. B, 5i2.
Luteriano Cristo B. 458.
Lutero Martino A. 4^9-
M
Maccheranì Paolo B, 109 no 117.
Maccheroni Cesare A. 192 i<94*
JMacchiavelU Niccolò ^. 3 i3.
Ma^on Antonio B, 78 79 98.
Macrobio ^,107.
Maffei Paolo Alessandro i9. i54* ....
Maffio, barsello in Roma A^ 176 177.
Magalotti, fuoruscito fiorentino A, 273 a 276..
Magalotto Gregorio, Vescovo A. 2i5 a 221 255
4^4 * 4^*- '
Magliabechi Antonio A, 5i5, C. xx. ui. xxu^
XXXVIII.
Majo Cesare B. 32o.
35i
Halaspina Ricciarda di Alberico Marchese di Maf-
sa , moglie di Lorenzo Cibo \^. 268«
Malfi (Duca di;. V. Piccolomini.
Mallioy antico pittor romano B, 107,
Malvasia Carlo Cesare B. i35.
Mambelli March' Antonio B. 216 25a 5i7v4o7*
Manellini Bernardino ^ di Mugello B. 208 279 280^
Manetti Latino Juvenale A. 269 261 52 1 5^2 35i.
Manni Domenico Maria B, 200 277.
Manno, orafo A, Sog.
Mannozzi Domenico di Niccolò di Cristofiino B* 5oo«
Manzani Domenico C. xxix.
Marco Aurelio Antonino B. 429.
Marco da Ravenna, intagliatore in raoie C iax.
Marcoiie. V. Antonio di Sandro*
Marescetti, Cavaliere A, i65.
Margherita d'Austria., figlia naturale di Carlo V. ,
Medici , indi Farnese^. 1-47 282 4^^ 4^' 4 '9*
B. i85.
Margherita di Valois, Regina di Navarra^ sorella
di Francesco L A, 376. :&, 60 6c 62 98 lot
170 171.
Margherita di Valois, figlia di Francesco h B, i5i.
Margolla. V. Giamberti Francesco.
Maria d'Austria, sorella di Cm^lo V. B. 86.
Maria I. di Enrico VIIL ^ Regida d' Inghilterra
B. 25o.
Maria Ginevera, moglie del Capretta beccajo di Fi-
renze B. 283.
Mariette Pietro A, 196 ^. 69 88
Marini Gaetadò A, i55 196 269 260 294 5o4 52 1.
Marino (da S.). V. Antonio.
Marmagna (di) V. L'AUemant.
Marretta Girolamo , sanese A* i4^* ^* ^^*
Martelli Andrea C. xLvi,
Martelli Niccolò B, 98 no i38. C. nxiu.
MartelU Ugolino A. 34 1 543.
Martini Luca A. 298 5 10 34 1 449* ^' < 9^ ^^3
584 ^8S- C. xxxTit. 234 255«
Martini (de*) Piero B. ^'x.
353
Martino , fiammingo C lix.
Masaccio. V. Guidi Tommaso.
Masolino da Paoicale A, 3f.
Massimiliano 11.^ d'Austria , Imperatore B. aag 33o.
Massone. V. Ma9on.
Maturino, pittore fiorentino C 210 211.
Maurizio (Fra) , organista nel convento della Nun-
ziata m Firenze B. tfio.
Maurizio, cancelliere in Firenze A. 268.
Mazzarelli Àgnolo B, 494 49^*
Mazzetti Girolamo. V. Marretta.
Mazzucheili Gio. Mario A, 34 1 343 4^'* ^.58
i55 i58 296 35a 536.
Mecatti Giuseppe Maria B. 227 354 4^ 4^^*
Medici (de') Cosimo il Vecchio^ Padre della patria
A. 17 283. B, 192. B. xu. f54 i55.
. . . Giuliano di Pietro di Cosimo il VeC'
chio A. ^o.
; . . Giulio di Giuliano di Pietro. V. Cle-
mente VII.
• . . Lorenzo' il iiagnifico , figlio di Pietro
di Cosimo il Vecchio A. 11 i5 3o
44 1^8. B. 5' 62 188 190 200 417*
c. 154.
. . .Giovanni di Lorenzo il Magnifico. V..
Leone X.
. . ., Lucrezia di Lorenzo il Magnifico, ma*
ritata con Jacopoi Salvtati A- i5.
B. 417.
. . . Giuliano, Duca di Nemours, figlio di
Lorenzo il Magnifico A» i3 236.
B. 256.
. . • Ippolito , Cardinale , figlio di Giuliano
ài Lorenzo il Magnifico A, og i47
23a 236 237 239 243 246 247 357
a58 269 268 3o8 509 322» B, io.
. . ^ Asdrubafe, figlio del Cardinale Ippolito
A, 357.
. « • Pietro di Lorenzo il Magnifico A, il
i3 33 44 i54 258,
353
Medici (de*) Clarice di Pietra di Lorenzo il Magni-
fico, maritata a Filippo Strozzi A. i34»
. . • . Lorenzo, Duca di Urbino, e figlio, di
Pietro di Lorenzo il Magnifico A, 20.
B, 62 256 354.
. . . . Alessandro primo Duca di Firenze, figlio
di Lorenzo Duca d' Urbino A, i25
i34 147 ^7^ '77 '78 i85 184 i85
aoi 237 266 a 271 279 a 287 293
307 a 019 4oo 40 1. B. 227 24^ ^35
294 35i 354 362 364 414. C. XII.
XXVI f. 94.
. • . . Margherita 3 moglie di Alessandro L
V. Margherita d'Austria.
• . • . Gatterina di Lorenzo Duca d' Urbino ,
Regina di Francia A, i5i. B, i5 6%
63 76 137 i38 i5i 180 362 427 a
45»'
Medici (de') Lorenzo, fratello di Cosimo il VeccTuo
A, 17 283,
• Gidipinni di Pier Francesco di Loren-
zo fratello di Cosimo il P^ecchi^
A. 17.
. . » . Giovannino di Gio. di Pier Francesco ,
detto dalle Bande Nere A, 17 24
ii5 116 144 17^ 17^'
. « • . Madonna Maria, moglie del predetto*
V. Salviati Maria di Jacopo.
. • . . Cosimo 1. di Giovannino , primo Gran*
duca A. 17 38 45 i34 184 238 248
368 298 3io 319 356 364 4^^* ^' 77,
97 180 a 211 2i4 a 222 224 227 a
245 249 a 256 259 a 265 268 a 275
288 a 292 2q4 2q5 297 a 3 16 3 18
321 a 339 3iU a ^54 3^ a 386 389
a 396 4<o 4'' 4'4 ^ 4'8 4^' 4^^
a 428 432 a 437 441 444 445 44q
45o 4^5 462 a 471 487 a 49^49^
397 498 5oo« C. XX., XXVI. xxyiii.
a XXXV. xxxTiii. a xt. xAi?» xlv*
Lvi i54 i55 197 283.
Beny. Cellini Fol III. 23
/
354
Medici (de*) Dpcbena 'Eleonora, moglie del Gran-
duca Cosinio I. V. Toledo.
. . • Don Giovanni, Cardinale, figlio delGran*
dtica Cosimo I. B. $26 3^7 878 58 1
390 5q4 ^9^ 4^^ 4'^ 4^^ ^ 4^7*
. . . Don tìarsia de) G. D. Cosimo I.
£ 5a4 3^6 3^7 4i<> 4^^ ^ 4^7*
, « . Lucrezia di Cosimo i. j maritata con
Alfonso di Ercole li. da Este ^. 58i.
. . • Isabella di Cosimo I. , maritata con
Paolo Giordano. Orsini, Duca di Brac-
ciano j4. 564.
. . . Francesco I. di Cosimo t, secondo
Granduca B. 209 229 524 526 32
364 5^3 5^5 4'^ 4" 4'^ 4^' 4^
432 a 4^^ Soo C xxui. xxxji. XI.V.
i55.
^. ... Amando o Ferdinando I.^ figlio di Co-
simo I. , Cardinale e poi terzo Gran-
duca B. 527 392 452 455 435 457.
C. xxni. Lix. i55. -%
. . . . Cosimo III. di Ferdinando IL, sesto
Granduca B* 387.
Uedieì (de*) Loreazino detto il Traditore 9 e di-
scendente da Lorenzo Fratello di Cosimo il
J^ecchio A, 285 a 285 3o9 5i2. B. 226 a 25o.
Medici (de') Ottaviano A. 28S a 285 209 5ia»
B 5c)5
Medici (de') Alessandro di Ottaviano B, SgS.
Medici {àe) Pallone A, iig
Medici (de') Bernardo^ Vescovo di Forlì jÌ, 258.
Medici (de') Alamanno di Bernardo B, 4')6,
Medici (de*) Cardinale Gio. Aneelo, di Milano. V.
Pio IV.
. . • . Gio. Giacomo, .Marchese di Meregi^ano^
fratello di , Pio IV. A. 445, B. 297
3i5 352 4»7-
Mebus Lorebzo C. xxi.
Melantone Filippo A, 248. B^, i6.
Mendozza (de) Don Diego B» 5i2 5i3»
Miccerì, detto il Gatta B. ito»
/
355
Miccerì Paolo B, fio a ii5 12G a i3o i56. I
Micbeìagnolo da Pinzidimonte o^ giusta il Vasari,
Michelagnolo' di Viviano da Gajuole, orefice»
padre del Cavaliere Bandinelli A. i5. B. 588.
Michelagnolo , scultore >df. 89 a 707.
Michele^ orafo J. 586 387.
Micbelotto o Michelino , intagliatore di comidb
A, 159 160 x&f.
Michelozzi, ascritto da Leon X. alla famiglia de* Me-
dici A. 258.
li(fili/.ìa Francesco B> i55.
Mini PhoIo a. 257. B' 525. C san. xxxi. a aoxiii*
X1.V1 277.
Mini Lorenzo» speziale in Tìt&m» B* 4^1.
Miniati Bartolommeo B^ (o5.
Mirandola (Conti della). V. Pico»
Mochì Niccolò C 7:1^-91.
Molinet Claudio A. 247 ^6».
Molza Francesco Maria A. i25 44^*
Monaldi Sandrino, capitano A. 4^4 4^9 4^\
Mondella Galeazzo i9. 112.
Monluc Biagio^ Maresciallo A. S76. B» 5i3*
. • . Giovanni , Vescovo di Valence^ e fratello
del precedente A. 676 588 448«
Montalambert Andrea, Signore di Esse B. 228.
Monte (del) Gio. Maria. V. Giulio IIL
Monte (del) Cardinale Innocenzo B* 291 29:4;
Monte Acuto (da) Niccolò ec«
Montecucolo Sebastiano B. 62.
Montelupo (da) Baccio e Raffaello , scultori V.
Baccio e Raffaello.
Monteritondo (da) Pietro Paolo. V. Pietro Paolo.
Montevarchi (da). V. Varchi e Gatani. ,
Montmorency Anna, Maresciallo é poi Contestabile
di Francia B, 65 14^ 228 sSi 4^7*
MontorsoTi (da) Fra Gio. Angelo. V. Giovanaagelo.
Morandiere (de la.) V* Tertre.
Morelli Cavaliere Jlicopo B. 78 555. C x?ai.
Morigia Paolo A, 44^-
Moro (del) Giovanili A. i74|'75.
3S6
Moro (del) Raflfaeno A. i54 167 a 17 1 iSjT SnS
C. 19 a5.
Morosina , amica del Bembo A. 34o*
Morosini Andrea A. a 56.
Mosca Simone B, SgS.
Moica Francesco cU Simone, detto il Moschino*
B. 395.
Muratori Lodovico A. 4o6. B, 39 4^6.
Murato Marc' Antonio A. 248. ^. i5.
N
Maldini LfOrenzo ^. io5.
Nardi Jacopo B* 4^ >^^ ^7^ ^7'*
Nasaro (del) Mattio B, 112 129.
Nassau Enrico (Conte di) ^. i^n.
Navarra (Re di). V. Albret. V. Bourbon.
. . . (Regina di). V. Valois
Negri. Giulio B, 532 4^^- ^* xtiu. xxxvi. 256.
Nero (del) Francesco ^.188 189 190.
Nesle (di) Amauri B, 5( 52.
Nesle fdi) Conte Giovanni B, 52.
Reufville (di» V. Villerois.
Niccolaio da Volterra A. a4*
Ni( colò , orafo milanese A \^i f44'
Niccolò da Monte Acuto A, 268 507 5i2 5i5.
Nicola (Prete) , vii'entino B, 39.
Nino (di) Piero C. iviii.
Nobili (de') Antonio B 354 355 556 445 464,
Nobili (de*) Vincenzo B. 554*
Norcia (da) Francesco. V. Fusconi»
Nugent Tomaso B. 277 288 295.
357
Omero B. Su.
Oraoges (d'). V. Ghalons.
Orbech (d*) il Viscpnte B. 5'] 67.
Orgenis (d*). Vescovo. V. Balbo Girolamo, Fé'
SCOILO Ourgense , cioè di Gurk.
Orleans (d*) Garlo , padre ' di Francesco I. Re dì
Francia. V. Garlo.
Orleans (Duca d*) Garlo, figlio di Francesco I. V.
Garlo.
Orleans (d') Francesco dipintore. V. Francesco.
Oribasio B» 100.
Orsini Virginio di Napoleone^ Signore di Braccia-
no , e Gonte dell' Ànguillara B, So.
. . Gio. Giordano di Virginio^ Signore di Brac-
ciano B. 80.
-. . Girolamo di. Giovanni Giordano, Signore di
Bracciano A. 364*
. • Paolo Giordano di Girolamo, , primo Duca
di Bracciano, e Gonte dell' Ànguillara A, 364.
B. 8i.
Orsini Garlo di Virginio, bastardo^ Gonte deirAn-
guillara B, 80.
• . Virginio di Garlo , Gonte dell' Ànguillara
B, 80 81.
Orsini Luigi , Gonte di Pitigliano, Nola e Sorana
A. 420. B. 81. *•
. Jeronima di Luigi , moglie di Pier Luigi
Farnese A. ^ig 4^^*
• Gio. Francesco di Luigi, Gonte di Pitigliano,
Nola e Sovanà B. 01 82.
. Nicola di Gio. Francesco, Gonte di Pitiglìa*
no B, 82.
. Orso di Gio. Francesco , Gonte di Pitigliano
B. 82.
. Alessandro 4i Nicola, Conte di Pitigliano
. B. 82.
/
358
Orsini Gio» Aiitonio di Alessandro, Conte di Piti-
glìanOy e Marchese di Monte S. Savino B. 82.
Orsini Paolo, Giovanni e Latino^ 6gli di Camillo,
Marchese di Lamentana B. 44^*
Orsini da Stabbia Flaminio. V. Anguillara da Stabbia.
Orsini Franciotto^ Signore di Monterotondo j ? Car-
dinale A. i58.
Orsini Ignazio A. 980.
Pacalli Giuliano B. agS.
Pagani Pagano C. sxvi.
Pagno (di) Zanobi , campanajo B. 252.
Pagolo di Gio. Battista da Bibiena B. 4^1.
Palestrina (di) Stefano V. Colonna*
Pallavicini Girolamo » di Piacenza B. i85.
Pallavicino (Frate) A. 579 a 383.
Palombo, otte A. /^ii.
Palomino. V. Velasco.
Panciaticfai (famiglia de'). B, 280.
Pandolfini Agnolo B. 186,
Panicale (da). V. Masolino.
Pantasika, cortigiana A. 91 97 io3 a ii4
Paolo f romano, allievo di Benvenuto, persona naia
molto umile, e non si conosceva suo padre
B. ^ IO 16 a 27 3i 38 /^o 43 a 5^ 109 ii3
174 iS> 20^ ^11*
Paolo IL Papa (Pietro Barbo). B. 81.
Paolo III. Papa (Alessandro Farnese) A, So 124
125 127 i55 201 2i5 259 a 263 285 292 2q3
294 320 a 326 329 a 335 338 3$o 3Ò7 568
375 a 379 384 ^^ 387 389 4<)c» a 4>^5 4^0
421 43i 438 440 448 a 45i. B. 27 38 29 38
81 86 i83 x84 25i 298 393 429. C. xii. 17
18 24.
Paolo IV. Papa (Gio. Pietro Caraffa) B. i85 54 1
428.
Parigi (da) Simone. V. Simona.
/
Parini Giuseppe A. xv«»
Parma (da) Donnino.
Particino Antonio H, Sr4 49^*
Pasqualino d'Ancóna, architetto B. 3ki4*
Passerini Silvio, Cardinale A* i47*
Patrizi Francesco ^. So.
Paul (Conte di Saint. V. Bourbon Francesco.
Paulino , fattorino di Benvenuto , e figlio di un cU'
ladino Romano, il quale vìveva delle sue en-
trate A. 65 64 67 7 1 82.
Pazzi (de*) Alfonso C. 255.
. Pecci Gio. Antonio A, 246.
Pecci Pier Antonio A, 246.
Pedignone Giovanni ^ soldato A, Z^i S^S.
Pellegrino di Lenti , giojelliere ^.44^*
Penni Gio. Francesco, detto il Fattore A, S2 55
62 71 72 75 90 94.
Penni Luca B^ io5.
Pericoli (de*) Niccolò , detto il Tribolo , scultore
^. ^ 89 266 a 279. B. 98, C. xLii. 236.
Perini Bartolommeo , orafo E. f\b^.
Perugia (da). V. Girolamo e Vincenzo.
Perugino Pietro. V. Pietro.
Perugino Lautizio. V. Lautizio»
Perugino Jacopo. V. Rastelli.
Perugino (messer Benvenuto) V. Benvenuto.
Peruzzi Baldassarre , da Siena A. 89. B. 4^^*
C' 2i5 25i.
Pescara (di) Marchese. V. Avatos.
Petrarca Francesco A. 224 34o. B, fyA 407 4^'*
C. 268.
Petnicci; Signori ò\ Siena B, 3i3.
PfifTer , Generale ^ di Lucerna A. 266.
Picardo Lorenzo. V. Lorenzo.
Piccolomini Alfonso ^ t>uca di Amalfi; B> 24 25
3 12.
Picconi Antonio, detto da S. Gallo A, 90 23S aSi
354 355. B, 3i5. C. 2i5 ai6 24? ^^9* '
Piceoino Niccolò A. 3o.
Pico Giovanni, /Conte della Mirandola B» 82.
Pico Gio. Francesca 1 nipote dell prededente B. 8a«
S6o
Pico Luigf, fratello di Gio. Francesco A 92 83. *
Pico Galeotto di Luigi» Conte della Mirandola
B. 8i 83 83 173 180 181.
Pico Lodovico di Galeotto « Conte della Mirandob
B, 83 181.
Pico Frane. Maria, Duca della Mirandola B. 83.
Pierino, piffero A. ao 2.1 a3.
Pietra Conte Clemente B. 357«
Pietro (S.) B. 7.
Pietro, aretino A* 3o 98 169 443> B, 3 14»
Pietro^ perugino A, 53.
Pietro da Lucca, Guardaroba del Duca Alessandro
de' Medici A. 282.
Pietro Paolo da Monterìtondo A. 283 286 287 3 12.
Piffero (del) Ercole. V. Ercole.
Pigna Giambattista B. 58.
Pilli (de*) Raffaello B, 267 409 4 io.
Pilli Salvadore, orefice C. Lvni.
Piloto, orafo '^. io4 255. C, 235.
Pingone Emanuel Filiberto B. 3 20
Pinzi di Monte (da). V. Babdinello Michelagnolo.
Pio IT. Papa (Enea Silvio Piccolòmini) B. 24.
Pio IV. Papa (Gio. Angelo de' Medici in Milano)
B, 229 291 4>< 4*^9 4^3* V
Pio V. Papa (Michele Gbislieri) A. 248. B. 229
291 378.
Piombo (del). V. Bastiano.
Pippi Giulio A, 5a 53 90 94 a 98 1 54 lii'i i45.
B, ro5. C, 91.
Pisano, y. Andrea.
Pisseleu Anna, Duchessa d'Estampes A, sui. B, 59
60 65 80 84 85 qS a io4 122 i23 i45 i49 a
i53 157 a 162 167 168 175.
Pistoiese V. Beatrice.
Pitialiano (Conti di). V. Orsini.
Pitti Jacopo B. 49^*
Plessìs. V. Ridieueu.
Plinio Cajo Secondo , il Vecchio B. i33. C. 2.
Plutarco C, lui.
Poggini Domenico e Giampaolo B* - apS 209 ai^
^^Q 239 a4i* C sUiTi. 281.
36r
Poggio » fiorentino A. 4*
Poitters (di) Diana B. 62 1S8.
Pollaiuolo (del) Antonio . orefice C. Lvir.
Polisiano Angelo A, i58. B, aoo.
Pollini (famiglia) B. 49^.
Polo (Monsignor dì S.). V, BourSon- Francesco.
Polverino Jacopo. B. 357 ^^^ 4^'*
Pompeo, orafo milanese A. 160 161 212 3i3 214
220 221 222 235 239 249 261 a 255 259 a
266 4<>9*
Pontormo (da) Jacopo. V. Garucci,
Porta (della) Guglielmo A. 197.
Portai Antonio B. 97.
Pozzetti Pompilio B, 83 181.
Prassitele B. i34*
Prato (da) GioTanni. V. Giovanni.
Prato (da) Tomaso. V. Gortez.
Près (de) Josquino B. 39.
Prete siciliano, negromante A, 224 a 234«
Primaticcio Francesco, detto il Bologna B, 85 102
]o3 io4 122 a 126 I2Q i33 i36 i48 149 171-
Prudhomme Guglielmo B. ^.
Prudhomme L, B* 4^^*
Pucci Roberto^ Cardinale A. 201 384 4^'*
Pucci Pandolfo, figlio di Roberto A^ 4^^*
Pucci Antonio, Cardinale^, nipote di Roberto A. 384*
Pulci Luigi, autore del Morgante jS. 320.
Pulci Luigi, improvvisatore A, io3 a ii4-
Pulidoro, dipiìitore C 210. ^
Quaranta (da') Matteo^ scultore y/. 258.
Quistello Alfonso B, 357 4^^*
Quistella Lucrezia di Alfonso, maritata pietra
B. 357.
\
/
362
R
Raffaello d* Urbino. V. Sanzio.
Raffaello da Mootelupo A, 374-
Ra^i (di Roma) , Marchese A. i65. .
Raimondi Marc'Àntonio , intagliatore A, 3*i g8.
Rainaldi Vinténzo B. Sga.
Rangoni Conte Guido B, ']']>
Rapacrini Raffaello A, ^o.
Rastelli Jacopo, chirurgo A. 167 168 4o2*
Ratti Tomaso A. 332.
Ravazzano (da). V. Benedetto.
Ravenna (il Cardinale di) V. Accòlti.
Ravenna (da) Marco. V. Marco.
Razzi Gio. Antonio , detto il Soddoma B. 428.
Re (del) 5 speziale in Firenze B, 4^7-
Recalcati Ambrogio^ milanese A, 260 agS.
Recuperati Andrea B. 47 ^*
Redi Francesco A> xix. e segg. B. 190. C xcv.
Rentio o Renzo da Ceri o Cerez. V. Lorenzo.
Ria rio Girolamo , Signore d* Imola e Forlì A. 18.
Riario Raffaello Sansone 3 Cardinale A* 44^*
Ribier Guglielmo. B, 5g»
^Riccardi Pietro B. ^66.
Tlicc! Bartolommeo B. Sg.
Ricci (de*) Federico di Ruberto B, ^lì 4'4 4^9»
Ricci Pier Francesco , da Prato B 196 199 a ao4«
220 a 2^4 '2^^ '^9^^ ^^^ ^02 367
Ricdarelli Daniello^ da Volterra B. 428 429 4^^-
Ricoobaldi Falconieri e Benedetto di Alberto B. ^55i
Ricbelieu, Cardinale Armando B. 43o. C xxli.
Ridolfi Niccolò, Cardinale A. 73.
Ridolfì Lucantonio B. iBc
Rigogli Giovanni A, i45.
Rinaldo d'Asti B, iiJ^, • -
Binoone .... Ministro di Francesco I. A 87<
Rodigino Celio B, i/^Q,
363
Bomoli Vincenzo A. uaS a 228.
Romolo, oste in Roma A* 109.
Roque (de la ) de la Lonthiere Gilles Andrea
^. 57. ^ .
Bore (de) Cipriano B. Sp.
Rosasco Girolamo B. 894 • '
Rosaspina Francesco, intagliatore A. a47-
Rosselli Mariano B. fyyi»
Bossi (de') Gio. Girolamo, Vescovo di Pavia A. 44^*
447» ^» 97 98 173 175 176.
. . . Ettore , Conte di Snnsecondo , fratello
del precedente A, 44^«
. • . Pier Maria, Conte di Sansecondo, fra-
tello dei precedenti B, 97 98. •
Bossi (de*) Costanza maritata Albizzi B, 352.
Rosso, dipintore fiorentino A. 75353 a 356. B. ioa
io3 i35 i36 149.
Rosso (del) messer Paolo C 282.
Rovelli Giuseppe A, 44^*
Rovere (della) Giuliano. V. Giulio II. Papa.
Rovere (della) Francesco Maria, Duca d'Urbino
A. \i\, B. »5i 25i.
• , « . . Gnidubaldo II., figlio del preceden*
Ite B. 347.
Roux (maitre). V. Rosso , dipintore fiorentino.
Ruberti Micbele B, 444*
Bu celiai Luigi A. 256. B. 464*
Rucellai Orazio B. 43o.
Sacchetti Franco A. 329. B. 276 283.
Saidoleto Cardinale Jacopo A. 269 44^*
Salamanca (di) Vescovo. V. Bobadilla.
Salamoni Francesco B. fy)5.
Salimbi^ni Francesco A. 34 56 fyo.
Saliti Bernardo B. 33.
Salteregli Stefano , orefice C lviii.
Salvi (di) Antonio, orefice C lviu.
1'
364
Salvi Agnese B. ^.
Salviatì Jacopo ^. i$ i8 7} 116 127 i55 iS^ 284.
B, 147.
• . Lucresia, Moglie di Jacopo. V. Medici Lu*
crezia, di Lorenzo il Magnifico*
. . Cardinale Giovanni di Jacopo A. 73 74
3oa a 309 233. B^ 38.
. . Piero di Jacopo B 368.
. . Alamanno di Jacopo B. 354*
. . Costanza, moglie di Alamanno. V. Serri-
«torì.
» . Maria di Jacopo, maritata Medici. B, 35 r.
Salviati Pietro di Alamanno di Averardo B* 368.
369.
Salviati Pietro di Leonardo B. 368.
Salviati (de*) Francesco^ dipintore B. ag6.
Salvini Anton Maria B. 114 264 274.
Salvini Salvino, Canonico B, xrii. 334.
Sandrino. Y. Allori Alessandro. "
Sanga Gio. Battista >^. 173. /
Sangallo (di) V. Gallo <S.).
Sansavino (da Monte a) Andrea, acaltore. V. Con-
tucci. .
Sansecondo (Conti di). V. Rossi.
Sansovìno (del) Jacopo, Bglio di Antonio Tatti, ed
allievo di Andrea Con tucci da Monte a Sansa»
vino ji. 267 274 275. B 225 226 389.
Sansovino Francesco di Jacopo A. 267. B. 81.
Santacroce Antonio A, 121 122 i23 157 i38.
Santa Fiora o Fiore (di). V. Sforza.
Santi (maestro), orafo A. 5i. •
Santini Gio. Battista B, ^o3 4o4-
Sanzio da Urbino Raffaello A, 32 52 53 56 75 88
90 170 354. B. 296 335. C 21 5.
Saracini Giuliano B, 3 14.
Sardella Giovanni. B, 4^2 ^oS.
Sarto (del) Andrea , dipintore. V. Vannucchi.
Savelli Gio. Battista A. 238.
Savoja (di) Duca Emanuele Filiberto. V. Ema-
nuele.
Savoja (di) Luigia. V. Luigia.
365
Savonarola F. Girolamo A. 44 49 ^47 38o.
Sauval Enrico. B, 52 65 167.
Sbietta. V. Anterigoli (da) Pier Maria.
Scatinaro Cesare V. Gatti nara Gio Bartolommeo.
Scbieggia RafTaellone B, 4iB 4^9 l^^^ 4^^
Schio o Schiedo Girolamo, Vescovo ^.189 199.
Schomberg Fra Nicola A, i55 iSj.
Sciarra , fiorentino B, 78*
Scilla Saverio A* i65 261.
Sciorina (dello) Jacopo A. i5i i54 157.
Scozzona. V. Gianna.
Sebastiano. V. Bastiano.
Spgni Bernardo A, i3a 268 3i8. B* 81 358.
Serguidf Antonio (7. imi.
Serlio Bastianiho C. ^Si a53 oS>Z»
Sermartelli Bartolommeo C. xu. 256*
Serristorì , famiglia B. 274.
Serri^tori Averardo B, agi 293 297 ^5 4' 3*
Serristori Costanza di Giovanni, maritata con Ala*
manno di Jacopo Salviati B, 3>4-
Serristori (de*) Monsig. Vescovo B, 4^^* ^« xxxix.
Scuter Gio. Giorgio 9 incisore C 255.
Sforza Cardinale Ascanio Maria ^ figUo del Duca di
Milano Francesco I. A. 198.
. . Galeazzo Maria, fialio dì Francesco I. Duca
di Milano ^.17 8o.
. . Caterina, figlia naturale del Duca Galeazzo
Maria, maritata con Girolamo Riarìo, e
poi con Giovanni di Pier Francesco de'Me-
dici A. in*
; . Giovanni Galeazzo Maria , figlio di Galeazzo
Maria, Duca di Milano A, 80 198.
• . Lodovico, il Moro, figlio di Francesco I.
Duca di Milano A. 80 198.
. . Francesco li. , figlio di Lodovico il Moro , e
Duca di Milano B. 18 ii4«
Sforza Bosio, Conte di Santa Fiora A. 333 364 4<>^«
B. 578.
• • Sforza di Bosio, Conte di Santa Fiora A, 333.
• . Cardinale Guido Ascanio , figlio di Bosio di
Santa Fiora A. 408 » 4ii* ^* ^78 l^v\.
.^66
Sforza FniDCesca , %lia di Boùo di SanU Fiora
A. 364 ^^*
Sgnazzella^ dipiotore A, 355.
Siena (da) BaldaMure. V. Peruzzi.
SiKestri GiovaDDi» tipografo A. su.
Silfcstro (S.) Papa A. i34.
Simone da Parigi B. io3.
Soarez Baldassarre di Pietro B. Sq%,
Soddoma. V, Razzi Gio. Antonio.
Soderini Pietro A. i3 i4 4^ 49*
Soderìni Francesco» tuoriucito fiorentino A, ZA
317.
Sogltani GIo. Battista A. 4'-
Solimano II. B. 87 228.
Solino Ù. a.
Sòlosmeo Antonio, scultore A. 238 339 240 a44>
B, 197.
Spadone y Procaccio H. 4^3.
iSpana Pippo C 248.
•^pini Gherardo C xyii. l. li.
Spiriti Giulio j9. 3oi.
Sputasenni Domenico di Antonio B. 4^5 4^ 4^
461 477 479 ^ 4^3 488 a 493.
• . . Dorotea, moglie del precedente B- 4^5
456 4^ 4^1 479 ^ 4^3 48S 489 49'*
• .' • Tonino di Domenico , figlio adottivo del
Cellini e perciò detto BenvenuÈO, e poi
Fra Laitanzio B. Ì^5S ^56 ^60 4^i
' 465 477 478 479 a 483 488 a 493.
.... Margherita o Bita di J)omenico B^ ^^5
456 460 461 489.
. • . Tina di Antonio B. 4^^*
Stabbia (da) V. Anguillara.
Stradino B, 98.
Strozzi, famiglia B» 188.
Strozzi F. Alessio A. ^8 5o.
Strozzi Cattìvanza A. 173 174*
Strom Filippo A. i54 184 199 283 298 345 346.
B. 76 77.
• Pietro di Filippo, Maresciallo di Francia
367
jB. ^6 a 8x 169 170 3^7 22^229 297 3i3
3f9 34^
Strozzi Leooe dì Filippo^ Priore di Capua B. 81
227 a 23o.
. • . Roberto di Filippo B, 229 429.
. . Maddalena di Filippo^ Maritata con Fiumi-
Ilio Anguillara da Stabbia B. 81.
Strozzi Giovanni^ Amb ascia toi'e di Cosimo l, B, 434*
Strozzi Filippo o Picchio di Federigo B. 4^7 4^^
4^9 4^^-
Strozzi Lorenzo di Federigo B. 4^7 4^^ 4% 4^^*
Strozzi Leone di Lodovico » Marchese dì Forano «
Duca di Bagnolo 4 Prelato domestico del Papa
j4» i65. /
Strozzi Tomaso C xztxi. xxxvn. xxxi.
Stufa (della) Prinzivalle^//. 4^ a 45*
Stufa (della) Pandolfo B. 362 363.
Stufa (della) Piero B. 499 ^cro*
Stufa ideila) Giulio C. xlti.
Sugarello / profumiere A, 362.
Tacca .(della) Gio. Piero ^ orafo milanese A. 62.
Tacca, (della) Gio. Francesco, orafo milanese A. 4'o*
Tacito Cornelio B. 324 5o2.
Tadda (del) Francesco , scultare fiorentino C. igd,
Tagliacozzo (da). V. Ascanio.
Tampes cioè Estampes (Madama di) V« Pisseleu.
, Tantecòse (messer), cioè Pier Giovanni Aliiotti
A. 258.
Targhetta Miliano, giofelliere di Venezia w^. 526
527 328 C. iS 24 25.
Targioni Tozzetti Giovanni B. 489 277^
Tarsia Gio. Maria C xxxvzix. xli. 256.
Tassi Raffaello, secondo marito di Liberata Cellini
B. 177. i86 187 188 207.
Tassi Maddalena di Raffaello B. 188 447 44&
368
Tassì Liperata di Raffaello, monaca io S. Orsola
i88 485 486.
Ijurì Matteo, d'Antonio dì Bastiano B, 476.
Tasso Gio. Battista^, intagliatore in legno , e archi-
tetto A, 34 a 38. S. gjS 198 199 3i5 C u.11.
236;
Tatti Jacopo di Antonio, detto del San Savino o
Sansovìno. V. Sansovino Jacopo.
Tavolaccino (del) Romolo, orefice C. Lvin.
Tavolaccino (del) Piero C. ltu. lvzii.
Tavolaccino (del) Giovanni Cy, Lvm.
Tedaldi Lionardo B. 174 17^ >79-
Tedescbini Nanni , da Sarteano B. ^4'
Termes V. (de). Barthe.
Tertre (du) de la Morandiere Giacomo B. 57.
Teno (messere), merciajo ferrarese C. ai5 246
247 ft49.
Thoa (de) Giacomo Angusto B, 78.
Tiraboscbi Girolamo A. xtw, 96 216. i?. 82 i35
175 182 364. C XXVI.
Tito, Imperatore B^ i33«
Tiziano. V. Vecelii.
Tobbia, orefice milanese A. 209 a 239.
Toledo (di) Pietro Alvarez, Viceré di Napoli
A, 241 a 243 B. 189.
Toledo (di) Leonora di Pietro Alvarez, moglie del
Duca Cosimo I. B, 189 191 194 209 210 21 f
236 241 243 244 ^49 ^^o ^^4 ^9^ ^9^ ^^ ^
3i2v324 a 329 33 1 !^5o a 353 357 3è3 372 a
375 377 a 38o 383 a 386 388 589 391 4o8
4io 41 1 424 a 428 433 435 436 470 471*
C, nix. XXX. XXXI.
Tolomei Claudio A. 169. B, 97 i58.
Tomaso da Prato. V. Cortez.
Torelli Lelio B, 363 364 417 46^.
Torelli Francesco di Lelio ^.564. -
Torrentino , stampatore i^^-364.
Torrigiano Pietro . scultore A, 29 a 35.
Tour (de la) Maddalena B, 62.
Tournon Francesco, Gardmale B. (5 65».
Tozzetti. V. Targioni.
369
Trajano (messer). V. Alicorni.
Traversano P. Ambrogio ^ Geaei*att de' Camaldolesi
C XXI.
Trìbolo. V. de' Pericoli.
Trivalzio Gio. GÙM^omo , il Magno ^ Maresiiiallo di
Francia A, 80. B. 02.
. . . Agostino di Giovanni^ Cardinale A* 260»
. . Coiste Gio. Giacomo^. iiS.
Trotti (de'; Alfonso B. 55 ^ 5&
Vaga (del) Perino A\ Si 104. B, 428. C. 235.
Valdes Giovanni A, 122 i25 iSi 248 574.
Valenti Benedetto A. 216 217 218 36g.
Valle (della) Guglielmo B. 42S. C. xxxiii*
Valois (di) Carlo. V. Carlo.
• • . Francesco di Carlo. V. Francesco I. Re
di Francia.
• . . Francesco di Francesco L V. Francesco ^
Delfino. >
• . . Margherita ^ sorella di Francesco \. e
Regina di Navarra. V. Margherita di
Valois ec.
, • • Margherita , figlia di- Francesco I. V.
Margherita ec.
Valori Bartolommeo A. 199 a 201. i^. 2i4- C 283»
Valori Filippo B, 532.
Van gest Margherita A, 282.
Vanni C xxxviii.
Vanni dal Borgo a Buggiano , di Gian Filippo
B. 494.
Vannucci Andrea , detto del Sarto A. 7$ 3o8 Ì55.
B. 535. C. 267.
Varchi Benedetto A, xvni. xxv. 5 58 4^ 44 ^ 9^
i32 i33 179 189 iq5 259 267 258 281 298
299 5oi 3o7 5i5 5i» 539 54 1 597 4^4 4^9
4^0 i^^\. h, IO 98 i38 201 2i4 219 237 2^9
554 356 4 IO 4^7* C. XVI. XXXII». xlu. xIiTI,
Bem. Ccllini Voh ili. a4
370
a35 236 245 144 ^^4 ^1^ ^7< ^1^ ^li ^iS
285.
Varchi Grassuccio , fratello del precedente A. 5o.
Varillas Antonio ^.82.
Vasari Gioreio ^. xv. 3i 38 ng 88 91 io4 i34
i5ò 3o8 309 320 524 4^^- ^' 'o^ i'^ '^5
i36 i65 180 192 200 246 249 252 255 256
259 263 282 296 298 5oo 3 14 321 33 A 340
552 354 òS^ 565 a 568 371 a 374 3;6 382
a 387 389 390 391 395 594 396 425 429
430 498. C. xxviii, zxix. szxni; 235 236 265
a 267.
Vasellaj. V. Vasari.
Vasona (Vescovo di). V. Schio.
Vasto (del). V. Àvalos.
Uberti Fazio B, 21 5.
libertini Antonio e Francesco, detti Bachiacca A. 91
107 109 II u B. 219. C. xnixi.
Vecchietti ^rnardo B. 391. C. XLvt,
Veccelli Tiziano B 225 256. C. 255.
Veca (de) Don Giovanni B i3g.
Velasco Don Antonio Palomino B. 4^5* C* txm:
Vallutello Alessandro C xl.
Veneziano Sebastiano. V. Bastiano.
Verocchio (del, Andrea B. 557. C tvni.
Vespucci Niccolò, Cavaliere j4. i54 iSg i56.
Vestrì Michele di Noro o di Goeo. A. zxvin.
B. 446.
Vettori Pietro. J, 448.
Ughelli Ferdinando A. 2i5 256. B. 58.
Ugolini (degli) Giorgio, Castellano di Castel S. An*
giolo ^.577 a 595 400 a 4^4 4^'
422 425 4^8 43 1 43a 453 458 a 44 f.
Antonio , fratello di Giorgio A. 44 <
44? ^ 4^^*
. « . . . Pietro, nipote di Giorgio A. 44^*
Vicario dell'Arcivescovo di Firenze C.
Vicentino Nicola , Prete B. 5g.
Vicentino Valerio. V Belli.
Vicorati (da) Francesco A. 4*
Vidius Vidus. V. Guidi Guido.
37»
Vedrìant Lodovico B. t35.
Vignola. V. Barozzi.
Villa y paggio del Cardinale Alfonso U. da Este
Villani Giovanni A. S 44^* '^* ^ ^9 '^ ^4^ ^^^
274.
Villani Filippo B. 106.
Villerois di NeufviUe Nicola B. 5a 55 56 i65.
Vincenzo da Perugia C. xlvi.
Vinci (da) Leonardo. V. Leonardo.
Vieta Francesco B. ^65 ^66 ^6n.
Vinta Michele di Francesco B, ^55,
Virgilio B. 106.
Visconti Matteo^ Signore di Milano B. 184.
. • . Azone^ Signore di Milano B, 11.
. . • Lodrisio B 11.
. . . Filippo Maria, Duca di Milana A, S(k
Visconti Ennio Quirino B. iS3 i54*
Vitelli Paolo A, 33.
Vitelli Vitellozzo, Cardinale B. ^ti.
Vitruvio B. 35- C. 25o aSi.
Vittorio^ bargello in Roma ^. 289»
Vivaldi Micbelagnolo C. xlvi. 276.
Ulivieri della Chiostra A. 26 28.
Ulloa Alfonso A. |32.
Volpaja (della) Lorenzo B^ 200. C, lvuu
Volterra (da) Daniello. V. Ricciarelli.
Volterra (da) Niccolajo. V. Niccola^p.
Urbino (d*) Duchi. V. della Rovere , e Feltro..
Urbino (d*; Giovanni^ ^ capitano A, i32 i53.
Urbino (d'y Raffaello. V. Sanzio.
Ui'bino (d')« garzone del Buonarroti B. 2^8 29^
5oo 3o3.
^ . • . Micbelagnolo^ figlio del prece^nte
B, 3oo.
Urgenis (d'). V. Balbo Girolamo.
Willaert Adriano B, 5g.
Winckelmann Giovanni B, i54 ^57.
^l^2
ZaAo 6io. Ulderico S. 129.
Zati Averardo B. 584-
Zeglfer Giovanni B, a4a.
Zuccheri Federigo C. a65.
zi
3,3
INDICE
X>«ne cose piti importanti ^ che non sono accennate
negl Indici precedenti.
A
J\ccotj)o cogP Imperiali, fatto da Clemente Vili
assediato in Castel S. Angelo A. SyS»
Acqua ^ da intagliare in rame invece, del bulino ^
come si faccia C i48
Acqua da partire, come si faccia C. i^g^
Acqua grumata , che sia C i44*
Acqua di semi di pere; a che serva C 55.
Acque odorifere, e mirabili per far tirar la pelle
B. 145.
Acquerello , che sia C* aio.
Adamo ed Eva, gruppo del Bandinello B. 386.
Adanannì o Anagoi nella Campagna di Roma ^* a44*
Alba o Albttia ^ montagtia A, £^«
Alfabeto pei lavori èi cavo , come sì faccia C. 90.
Alfieri, sao Don Garzia B. 4^.
Alpe, pret» il poc«e £ Viochio B. fyii.
Amatiste , i acconciaDO cello specchietto C* 27.
AmmattoDato , che ri fa dai getUtori sopra la fosn,
ove ri pone la forma B, 1^^. C lyS.
Ambasciata solenne spedita dal Duca G>simo a Giu-
lio ni. B. 292.
Ambasciadori del Viceré di Napoli, in Firenze
B. 359 540.
Ambasciatori di Locca e di Ferrara , in Firenze
B. 58o 58i.
Ambrogio (S.) , come sia stato rappresentato A. ir.
Ancudini diversi da orefici, come siano C. 121.
Anellino mandato dalla Duchessa Eleonora al Re
Filippo li. B. 249*
Anelli antichi, di ferro, commesri d'oro, con un
nìcchiolino A, loi.
Apfiuite coi Tritoni introdotta nel disegno d'una
saliera da messer Gabriello Cesano B, i5.
Angelo Gabriele dipinto con un giglio in mano
B.6.
Anticaglie di Roma A. 34 8a.
Anticaglie romane in Firenze A. %,
Anticaglie raccolte da Lorenzo de' Medici A, 3o.
Anticaglie raccolte da Benedetto Valenti A* 216.
Anticaglie in Pisa A. 26.
Anticaglie trovate nel contado d'Arezzo B, 32 1.
Anticaglie in Napoli e presso Napoli A, ^fyi*
Appennino, statua di Giovanni Bologna B, 392.
Apollo Pizio, statua antica eccellentissima B, i33.
Archibuso donato al Cellini dal Duca Alessandi-e
de' Medici A. 282 288 3 14.
Archi trionfali per Carlo V< in Roma A^ 322.
Archi trionfali fatti in Siena dall'Ammannato , per
l'entrata del Gran Duca di Firenze in Siena
ìB. 4ii.
Architettura molto perfezionata dallo studio della
Scultura C 238 245 a 255.
Architettura tedesca C 24?*
375
Argano, di che uso lia pei gettatori di bronzo
C. 175.
Argentana^ città nel dipartimento dell' Orne B. 170.
Argento e modi di fonderlo Cui e segg.
Argento vivo usato per dorare , e suoi effetti in chi
l'adopera C 157.
Argento , come .si lasci bianco ne' luoghi ove si dora
C 147.
Armatura di ferro per le statue da gettare in bron-
zo B, 275. C. i65.
Arme gentilizia ^del Cellini A. 180 181 • C, x£Vi.
Arme de' Medici e del Comune di Firenze A, i4»
Armi y proibite a portarsi in. Firenze A. 268.
Arrenare i lavori d* oro , che sia C. 62.
Arrovellati , Adirati o Arrabbiati , faziosi di Firenze
A. 49 6^ *55.
Artiglierie , e differenza di gettar quelle e le statue
B. 284. C, 178.
Arti Maggiori, o classi del popolo fiorentino jÌ, 12.
Assassinila comuni sul Napoletano A. 244*
Assassinio di due Ambasciatori di Francesco L
A, 329.
Assedio di Castel S. Angiolo A. itn.
Atlante in una medaglia A. i^g i58. C 6^ a 67.
Avorio lavorato dal padre di Benveduto A. 11.
AvvivatojOy che sia A. 4^9* C i4i-
B
Baccanello , fuori della Porta Castello di 'fiirma
A. Ile.
Baiaselo I simile al rubino di Ponente C 4*
Bande Nere di Giovanni de' Medici A, 18 ii5 119.
Barba corta all'uso- veneziano A. 54^*
Barile , moneta di Firenze C. 94* .
Bartolommeo (giornata di S.) B^ 65.
Bar uccio , cane da caccia del Cellini A. Si 5.
ì^ava del gesso C 85« '
Bella Francescbina } cosa sia B* 3 io.
376
Belfiore , viDa del Duca di Ferrara A. a6^
Bembo: saa barba lunga e suoi ritratti A. 34i-
C. 254 a55.
Benedizione tingolara data da demente VII. ai
Celtini A, i3i.
Berillo oetrino, pietra di poco valmre A, 44^-
Bernina, montagna A. 344*
Bianchire come à possano le staine grandi d' ar<-
gento C, i36.
Bianchimento, di che composto C. 1S7.
Borace, necessaria per saldare C, i54«
Boschereccia filosofia dd Cellini C xxxvni. 264.
Bottega del CelUni in Roma , «confitta da un ladro
A. i85 186 187.
Bottega del Cellini in Firenze B. 486.
Bottone del piviale di Clemente VII. >^. i58 igS
325. C. 67 68 71 74 95.
Bottoni moreschi C. 246.
Bovo, spirito creduto dai Parigini nel Piccol Ideilo
B. i56.
Braciaiuola j che sìa C, 180.
Bronzo, come si fonde nella fornace B, 274 a 281.
C. 189.
Burla fatta dal Cellini ad una compagnia d' artisti
in Roma A, gì.
Burrasca sul lago di Vessen A» 347*
Caccia collo scoppietto praticata dal Cellini A. 8t
208 244 3i4 3i5 4'o 4iS- B. 28.
Caccia de' Principi Toscani nelle maremme di Siena
B. 435.
Caccianfìiori , che siano C 77 122.
Calcidonio C, 29,
Calcine di varj paesi, e loro differenti qualità C 171
Calunnie fatte al Cellini dal Vasari e da Ottaviana
de' Medici A^ 309.
•^ M Mf
ì. « aat
Càlnmiie fatte al Cellini . presso Paolo III.
Latino Manetti A. 53 1.
Calannia fatta al Cellini dal suo lavorante Girolamo
da Perugia, presso Paolo III. e Pier Luigi Far-
nese j e conseguenze terribili di essa A* 3^7 .
Calunnie di Pier Luigi Farnese contro il Cellini
A, 4o8.
Calunnie fatte al ' Gellini , in Parigi , da una sua
concubina B, ii5 ii8
Calunnie contro il Cellini della meretrice Gambetta^
in Firenze B. 222.
Calunnie contro il Cellini di Bernardo Baldini , ap-
presso al Duca Cosimo B* aS^.
Calunnie contro il Cellini di Baccio Bandinelli p in
faccia al Duca Cosimo B. 260.
Carnato, cosa signi6cbi B, 348.
Cammei antichi di Francesco I. Re di Francia ,
mostrati all' autore C, ^i.
Cammeo antico coli' incisione d' Ercole e Cerbero
A. 84.
Camice di terra, come sì facciano C i57«
Camice di cera C 161.
Camosciare, cLe sia C. 72 75;
Canale pel metallo da gettar nella forma « come si
faccia C 174 175.
Candele di sego, a cne uso pei gettatori C. 177.
Cane barbone del Cellini , eccellente per caccia e
per guardia A. 186 192 igS 5i5 ^iS»
Cannoni da acqua jo, di che uso pei gettatori B, 27 6L
C. 175.
Cappella di Papa Julio del Buonarroti yf. 3i.
Cappella di Masaccio, nel Carmine di Firenze A. Zx
32.
Cappella Sistina di Michelagnolo Buonarroti « in
Roma A, 52.
Capitolo in lode della Prigione B. i.
Cappello di paglia , finissimo ^ donato dal Cellini
^ B, 4oo-
Carbonchi colorati C 3o.
Carbonchi risplendono allo scuro C, 1^.
378
Girbondiio trovato da Jacopo Cola, vendato poi
centomila scodi C. 5o.
Carbonchio di Biagio di Bona, tpleodentiiiiino C. So.
Carbone di salcio o Docciaolo, di qua! oso per gli
ore6ci C, ^6,
Carni , dal Cellini mangiale col sale e con poche
salse B, ^oS.
Carrara : suoi marmi B. 3B4. C. 194.
Cartoni fatti a gara dal Buonarroti e da Leonardo
da Vinci A. 3o.
Casa (della) Giovanni : burla fattagli dal Cellini
C xsi.
Casa in Firenze donata al Cellini dal Daca B. S/S%
466.
Casa dei Cellini in Via Chiara in Firense A. 6.
Castello d' Arezzo , qoando edificato : anticaglie tro-
vate neUo scavarvi le fosse B, Sai.
Castel S. Angiolo assediato yi. 120 lai 12%.
Castone , che cosa sia : avvertenza , che si debbe
avere nel formare i castoni C 5 6.
Cava di marmi nelle montagne di Carrara , di cui
si servi Michelagnolo Buonarroti C. 194.
Cavallo di bronzo di Daniello di Volterra B, 4^^
a 4^0.
Cavalcate del Cellini col Duca Cosimo I. B. ^i5.
Cavalli turchi bellissimi» donati da Paolo lllj a
Carlo V. in Roma /ié 524-
Cave d'argento coltivate dal Duca Cosimo B^ 242.
Cavo, e modi di lavorar di cavo C. 81 a 92.
Cellino « castello presso a Monte Fiascone A. 3.
Cena piacevole d artisti in Roma ^. 90 a 98. ■
Cenerata, che sia C. 55 34 'i4*
Cera da dorare , come si faccia C 1 45.
Cera per le statue di bronzo , come si debba gettare
C^ 167. Come si cavi B. 275. C, 168.
Cera per le mt^daglie , come si facesse C, 102 io5.
Cercatori di cose antiche in Rouia A, 85.
Ceselli , Qome siano fatti C. 60.
Cesello e modo di cesellai'e C, 67 a 64* -
Chiaroscuro C 211.
379
Chimera ed altre statue anticbe dj bronzo trovate
nel contado d'Arezzo B. 32 1.
Chiocciola , che sia C. i oq.
Cielo del fuoco, che sia B. a8a.
Cimento reale, come si faccia C, i5o i5r.
Cittadi Danza francese, data a Pietro Strozzi ed al
Cellini ^ 79*
Citrini , s' acconciano collo specchietto C. 27.
Cleopatra , statua antica in Roma B, i53.
Codione osso ^ e sua descrizione C. 224*
Colla ccrvona C 147-
Colonnesi , potenti in Roma A. ii5 i\6 1x7.
Colorire l'indorature, come si faccia C, i!\i 9l 147.
Colossi e modo di condurli B. i54. C 202 e segg.
Comodo, statua antica in Roma B. i35.
Comodo (il) , Commedia di Antonio Laudi B. 11^.
Compagnia piacevole d' artisti in Roma >^. 89 a 99.
Concorsi di artisti , utilissimi B. 375.
Confessione del Cellini a Papa Clemente VII.
A. i55.
Confusione e disordini in Roma alla morte de' Papi
Consoli della naziòn fiorentina, in Roma B. 44^*
Corniola C. 29.
Como di liocorno, donato da Clemente VII. a Fran-
cesco I. A, 210,
Corografia della Toscana, stampata dal Bellarmati
B. i58
Correggruoli , come si focdano C ir 5.
Core di S. Maria del Fiore in Firenze B, 364 366
367 371.
Cosimo I. , statua equestre di Giovanni Bologna
B. 392.
Costole^ costolatura e costolame £. 225 226.
Crapula di Paolo YH. A. 45o.
Crocifissi d' oro che usavano far fare i Cardinali
C, 76 77.
Cuccuma C* i4i-
Cupola o tribuna di S. Pietro E. 249.
Cupola di S. Maria del Fiore o Duomo di Firenze
B. 564 373 374, C. 247 265 a 267.
38o
Daga y arme A. 189.
Dar la prima pelle, che sia C, So 5i.
David, statua del Buonarroti B, 192. C. 275 277.
Denti cascanti al CelliDÌ in prigione A- 4^7.
Deposizione di G.G. di Daniello da Volterra B. 4^8.
Diamante rarissimo, donato in Roma da Carlo V.
al Papa Paolo III. A. SsS. C 18 e 24.
Diamante del bottone del piviale di Clemente VII. ^
comprato trentaseimila scudi A, i58. C. 67.
Diamante di Papa Clemente VII. . impegnato ad
alcuni banchieri genovesi A. io5.
Diamante di 35 carati di peso B. ^\^
Diamante verde, venduto dal Cellini in Mantova
a i5.
Diamante incarnato del triregno di Papa Glemen-
. te VII. C. 18.
Diamanti, meno rari de' rubini C i4-
Diamanti , come si riducano a tavole , a faccette e a
punta B, 21 5. C. i5.
Diamanti, come si tingano A, 327. C, 19 20.
Diligenze da usarsi nel gettar le statue di bronzo
B. 276. C 173 a 178.
Dio Padre ^ statua del Bandinelli B, 384-
Discorso di Lionardo da Vinci sopra la Prospettiva
C. 216.
Disegnare, con quali materie si faccia C, 209. Modo
d'imparare a farlo 211 212. ^uovo modo pro-
posto dal Cellini più facile pei principianti 220
221. Seguitato anche da Micbelagnolo 229.
Disegno, fiorì principalmente in Firenze ne' tempi di
Cosimo de' Medici C. 170 171. Che sia 210 211.
\ Doni di Paolo 111. a Cario V. in Roma A. 5ao
521 322.
Doppie, che sieno e come si leghino C, io.
Dorare; come si faccia C 137 a ^4>*
v
38i
Doverìa^ 6ume A. 557 ^^^*
Duomo di Firenze -C. 247. ,
Enrico IV., stattia equestre B, 4^0*
Entrata in Siena del Granduca Cosimo B, 4 io*
Eparcne « ossìa tesoro reale di Francia B, 5p.
Ercole d' argento^ regalato dal Re di Francia ali' Im-
{)eratore Carlo V. in Parigi B. il^i^
e, in cera B. 5oi.
Ercole col lione , in una medaglia A. i48 C 62.
Ercole ed Anteo i9. 5oi.
Ercole e Caco , gruppo del Bandinelli B, 254 ^^^
260 337 575 57O. C. 277 288.
Esame fatto al Cellini arrestato in Castel S. Àngio-
lo A 36q.
Escuriale B, SpS fyl^.
Esequie di Micnelagnolo Buonarr. B. 498. C xkxtiii.
Faènza^ città celebre pei lavori di terra cotta B. 35.
Falsario òìx monete salvato dalla forca per la sua
eccellenza nelK Ore&ceria A. 209 260.
Fare una cenerata, presso gli orefici che sia C SS
36.
Far& (àix) montagne ^. 25i.
Farnesina, palazzo in Roma, dipinto da Raffaello
A. 5a.
Febbri violenti e pestilenziali in Italia B» 434*
Ferragosto del Papa A. 64*
Feste di S. Agostino e ^i S. Giovanni decollato aV-,
tre volte solenni B, 399.
Feste in Roma al primo di agosto A* 4^8.
Fiesole fi. 3. C 196, . /
Filo, arte di lavorare di filo C. 38 Sg 4<> 4^
384
Grenoble A. 55*],
Grosserìe d' oro e d' argento , come si lavorÌDo
C. ii6 e segg.
Grossone , moneta di Firenze. C 94*
Grotteschi disegni, che siano ^ e come chiamavansi
dagfi antichi A. 100.
Gru, nel loro yentrìgtio si trovano pietre C. 29 So.
Goerra tra Carlo V. e Francesco f. A* 1^4 ^^9
344- ^«86 140 167 169.
Guerra di Papa Clemente VII. contro la repubUica
fiorentina A. i36 i^n iSi i58. ^. 2i4*
Guerra tra la Francia e r Inghilterra 3, lÓg.
Guerra di Siena B. 5 12 3i5.
I
Imbracciatoje , sorta di tenaglie C, 112 12&
Improvvisatori A, ^ io5.
Indaco, che sia C 2S.
Influssi delle stelle sulla sorte umana A. 4^7'
Inganni dagli orefici praticati nelle gioje C, 8. e segg.
Ingorbiatura C. 201.
Ingratitudine e malignità del Rosso dipintore A, 354«>
Inondazioni del Tevere ia Roma A, 104.
Inondazioni dell'Arno in Firenze B. 266 389.
Insalate date al prìncipio della cena B, 4^3 4^4*
Intagliare e intaglio C. 45 4^*
Intagliare in rame con acqua fatta a ciò C. i/^»
A bulino 209.
Intagliare nell'acciajo, come si faccia C 96.
Ipocrate : traduzione de' suoi libri phirurgici fatta
da Guido Guidi in Parigi B, 100.
Ischiericare un diamante , cosa significhi B. 21 5.
Isdevero» fiume A. SSy.
383
Lacca o Lachen A, 353.
Laocoonte , gruppo antico eccellentissimo B. i55.
Lasagna, che sia C. 12^. Comesi faccia, ed a che
serva 166.
Lavorare in tondo , che sia C 65. '
'Lavorai'e in minuteria C 55 56.
Leda rappresentata dal Gelltni A. 74 ^* ^ '4^*
Lega, che sia B, 285. C 60.
Legittimazione di Giovanni Celli ni B, 4^5 4^7'
Legne atte a fondere, quali siano B, v]\ a 284.
C. 181 182.
Legno santo A, 207 e seg.
Lettera del Cardinale Ippolito da Este al Cellini
A. 364.
Lettera di Niccolò Martelli sulla generosa maniera^
con cui erano accolte dal Cellini in Parigi le
persone di merito ^.98.
Lettera di Ballista Alamanni al Varchi, in cui gli
dà nuova del Cellini B» 180.
Lettera del Buonarroti al Cellini B. 295.
Lettera del Buonarroti al Vasari B, 5oo.
Lettera del Cellini al Ré di Francia B. 214.
Liberazione del Cellini dalla prigione A* 45o
Libri del Cellini in prigione A. 4^2-
Lima raspa, che sia C. 200 20 r.
Lingua di vacca « che sia C 121.
Lione, città A, 353 356 357.
Liti, comperate in Francia B. 104*
Lorenzo (S.) , chiesa di Firenze B. 256 589. C i j4
199 248.
Losanna, città A, 355.
Loto per le pile e pei torselh' C 98.
Loto per le statue da gettarsi, come si faccia S, i65
i66.
Luigi XIII. , statua equestre B^ 4^^*
Umv. Celimi Fol IIL aS
386
Lume sempre acceso di notte nella taa camera dal
Cellini A. ab^.
M
Madri , che »ano C. 96 ^7 98.
Magistrato dei Giudici civili in Firenze B^ 4^^ 4'9«
MaeliabecLiana , opera dell'Abate Mebus C ui«
MaUrancese acquistato dal Cellini A. 207.
Mandriano o mandriale^ cosa sia B. 280. C 177.
Manica , cosa sia B. 276.
Marano^ città neir Istria, sorpresa da Pietro Strozzi
a danno d^I Re de' Romani Ferdinando L
B. 77.
Marco Aurelio Antonino, statua equestre B. 429*
Mdremme di Siena, sterili e malsane B. 4^^-
Marmi : loro varie qualità , e modo di scolpirli
C 192 a, 200.
Marmi di straordinaria grandezza B. 3ni 872 576
376 384.
Martello per le monete^ come debba essere C 97^
98.
Mastico, che sia C 20.
Mattoni pel fondo delia fornace da fondere il bron-
zo, come debbano essere C, i83 e segg.
Mazzapicchio, che sia C 174*
Mazzetta, che sia C, 108.
Mazzieri pontificj A. igS.
Medaglie di bronzo anticbe colla testa di Giove
A. 85.
Medaglie antiche A. 65.
Medaglie, come si facessero dagli antichi C* loi a
io5.
Medaglie , come si stampino e in quanti modi. C. 106
a 109.
-Medaglie , e diversità che è tra esse e le monete .
C 92 93 loi 102 io3.
Medaglie cesellate > di piastra A*. 80.
'387
Medaglie intagliate in acciaro A, 80.
Medaglie fatte al Cardinale Bembo ^. 34 1* C, si 54*
Medicina (scienza) quanto sia incerta A, 3o5.
Medici (de') cacciati di Firenze ; e loro ritorno
A, i3 14 i47*
Mercanti fiorentini sparsi per tutta l' Europa B. 374*
Mercurio usato pel mal venereo dal Berengario
A, 85.
Meridiana di S. Petronio , in Bologna B» SgS.
Metallo 3 come e con che avvertenze si getti C 176
e segg.
Metallo per fondere, come debba essere posto nella
fornace (7. 189 e segg.
Migliaccio del metallo ^ cbe %\9l B. 283. C. 18 r.
Ninuteria^ che sia C, 55i
Mirandola governata da Ippolito Gonzaga a nome
di Galeotto Conte delia Mirandola È, 173.
Moisè in una medaglia A. 25 f. C. io4*
Monete 4 e modo di farle C. 92 a log.
Monete^ perchè dagli antichi non erano lavorate
colla stessa felicità de' moderni C 99 a io5. '
Monete di Clemente VII., di Giulio U. e di Leon X.
A. i63 a i66.r
Monete false in Roma colle stampe del Cellini
A, 190.
Monte Casino A, 238 244»
Monte Rosi 4 paese tra Roma e ViteH>o B, 17.
Moresca , danza militare B. 4*
Morte del Cellini falsamente divulgata da Matti»^^
Franzesi A. 298 a 3oi.
Morte di Carlo di JBorbone sotto le mura di Roma
A, 118.
Morte di Giovanni Cellini, frate^o di Benvenuto^ ed
iscrisiione fattagli A, 180.
Morte di Clemente VII, A. 253.
Morte del Duca Alessandro de' Medici ^.5(8
Morte di Lorenzino de^ Medici A. 3 19.
Morte del Cardinale Giovanni di Cosimo de^ Medica
B, 453 a 437.
Morte della Duchessa Eleonora di Toledo 1 mtoglte
di Cosimo I. B» 4^3 a 4^:7*
' 1
388
Morte di DoA Gania di Gmìoio de* Medici B. 4^$
a 4^7.
Morte del Baodineìlo B. S8a 38&
Morte di Fra Benedetto da Fojano ji. 4^9-
Muraglia di Belvedere in Roma , fatta da Bramante
C. a48.
N
Naturalità (lettere di), cosa siano B. 79.
Negromanzia j4. 224 a aSi.
Nello , palazzo in Parigi. C. ^i.
Nettuno , statua deirAmmannato B, Sga
Niello e niellare C. 3i a 37.
Nobiltà Fiorentina data al Gellini B. ^Z3.
Nocciolo della 6gura» pressa i gettatori in bronao
che sia C. 166.
Norcia (di) montagne A. 23o.
Normundi, falsi testimonj B. io5.
Nuca C, 224. ì
Occhi , più diJEficili di ogni' altro membro a disegnani
C, 221.
Occhio di gatta ^ pietra C 8.
Olio di ^rano per la tinta de' diamanti , come si
faccia C 21.
Omenoni, in Milano A, 44^*
Opera in Firenze, magistrato ed ufficio degli Ope«
raj B. 207.
Ordini dell'Architettura C. 249 355.
Oreficeria e sue parti C. Proemio.
Organi con canne di legno A. io.
Ornati de' vasi, come si facciano C 128 e sfgg.
Oro da dorare, come debba essere C. tSj.
38$
" Oro di Papa Clemente fuso dal Cellini ii^ Castel
S. Angiolo A. i55 iSg. C. ii5.
Ortografia strana del Cellini C. 275.
Ossa^ si debbono disegnare prima d* altro dai prin-
cipianti C 22)2.
Ossa della gamba, del ginoccbio, della coscia e
del piede C 922. ' Dell' ancbe 225. Dello sto-
maco 225. Che differenza sia dall' ossa ai nervi
225. Ossi del petto 227. Delle braccia 227. Delle
mani 227. Del teschio 228.
Ostentazione e dappocaggine del Cardinale Niccolò
Caddi A. 365.
. • /
Pace tra il Papa e il Duca di Ferrara B, 29.
Pace tra Carlo V, e il Re Francesco I. B, 169.
Pace tra il Duca di Ferrara, il Duca di Firenze e
il Re di Spagna B, 38o
Pace (la) effigiata dal Cellini A, 247. B, So.
Paci di mezzo rilievo A. 80.
Palazzo vecchio e sua piazza, in Firenze B, 191.
Palazzo Pitti B. 583 590.
Palettiere , che sia (7. 49*
Palissa o Palice, borgo A. 553.
Palorabara, villaggio nella Sabina A. 258,
Pandette B. 564.
Paolo HI. detto dal Cellini senza religione A, t^%*
Pape Satan di Dante, spiegato dal Cellini B, io5.
C, \u
Parabiago (celebre battaglia di) B. 11.
Parigi malamente fortificato da Girolamo Bellarmato
B. 157.
Partigianone , arma A, 245 256.
Partire C 96 e segg.
Pasta, di che si faccia C i6i«
Pazzie del Castellano Giorgio degli Ugolini A. 587
5^4 /{Oik.
Zgo
Penna de' martelli da orefici « come drfiba essere
C. 119 120.
Pergami di S. Maria del Fiore ^ in Firenze B, Xg
370 571. C xi.iv.
Perseo del Cellini valutato sedici mila scudi dal
Bandinelli B, 363. Sno prezzo C, ^^t, Censu«
rato i55.
Peste in Roma nel i5a2 iSaS i5a4 ^^ 81 82.
Peste in Sfilano nel 1624 ^. 82.
Peste in Firenze nel lioo B. 3n3. Nel 1527 A. i4o
145.
Piacenza data da Paolo III. a suo figlio Pier Luigi
Farnese, e conseguenze da ciò derivate B, 184
i85.
Piagnoni , faziosi di Firenze jé, 49-
Piccol Nello, palazzo aoticliìssimo in Parigi, abitato
dal Cellini B. Si 52. Notizie di esso ivi, N' è
fatto Signore il Cellini 97 r
Piene. V. Inondazioni.
Pietà, gruppo del Buonarroti B, 386.
Pietà, gruppo del Bandinelli B, 386.
Pietre da scolpire, e loro spezie C, 194 a 199*
Pietro (S.), basilica di Roma C, 216 248.
Piflerì della Signoria di Firenze A. 11.
Pila^ che sia C, 94.
Pinciana, villa di Roma B. i34*
Pioggia fatta cessare dal Cellini A. ^00.
Piombo (del) Frati A. 197.
Pippo Spana, chiesa di Firenze C. 248.
Pisa, suo Duomo B. 598. Suo Cainpo Santo o an-
ticaglie A. 27.
Pisa (entrata solenne in) del Cardinale Giovanni ài
Cosimo de' Medici B. 4'S-
Pittura molto perfezionata dallo studio della Seul*
tura C. 258.
Plasme C. 29.
Poderi acquistati dal Cellini B, 5qn 4oo i^o Ì2S
445 454 473 475 476-
Poesie fatte d^l Cdiini in prigione A. 4^6 438 43a
459. .
Poesie in lode del Cellini C. 216 317.
Polìtica prudenza del Cellini A, 5i8 5 19.
Polvere dà trarre collo scoppietto fabbricata dal
Cellini A. 82.
Polvere da trarre senza 'far rumore B. 28.
Ponte di S. Trinità in Firenze B. 590.
Ponte a Rifredi A, 6.
Popolani y faziosi di Firenze A, 49*
Porfido , da chi meglio d' ognuno intagliato C. i^
196.
Porta di S. Maria del Fiore proposta dal Cellini ,
da farsi in bronzo B. 568.
Porte di S. Giovanni in Firenze B. i65 S68 36g
575 574.
Prestiti di danaro del Duca di Firenze alla Francia
B. 4^7 4^8.
Prevosto di Parigi B. 5*.
Prigionia del Cellini in Castel S. Angiolo A, 567 a
397 e 4^1 a 45o.
Prigionia e fuga dal Castel S. Àngiolo, di Paolo Illi
^in minoribus A. 4o5.
Prigionia di Monsignore de' Rossi , Vescovo di Pavia
A. 446.
Prigioni orribili di Castel S. Angiolo A, fyii fyi^
428 4^0 •
Primaticcio fatto Commissario generale di tutti i
palazzi del Re di Francia B. io5.
Principi fautori dell' eresia Calviniana B. 6a.
Prospettiva C. .216 252 255.
Protezione de' Principi aumenta e fa fiorire gV inge-
gni e le arti C i55. *
Provvisione di Leonardo da Vinci e del Cellini in
Francia ^.49* .^ .
Pugn aletti turchescLi ^ con fogliami intagliati e com-
messi d'oro A. 99.
Pulire a mano ^ che sia E. 52.
Punzoni y che sieno C. 96 97 98.
3ga
Quartana dal CeDini presa in Mantova ^. i44*
R
Kammarginare V oro , come si faccia C 60.
Rasojo di rader le piastre d'oro e d'argento, come
debba essere e usarsi C. 116 117.
Rastrello per la fornace da fondere, cbe cosa sia
uo per
\ 189.
Rastiatoj per la fornace del bronzo C, 177.
Ratto delle Sabine di Giovanni Bologna B. 392.
Raspe. V. ScuflBna.
Regni ossia triregni Pontificj ji. i53 i34 i58 169.
Regola del Cellini per ricrescer dalle braccia piccole
alle grandi C 204 a 208.
Religione del Cellini imprigionato ^.417 4^^ 4^^
427 4^8 4^9 4^^ 4^1 4^^ ® ^gg*
Rena della Senna, a che sia buona C 84*
Renella di vetro, a che serva C. 62.
Ricci furono detti i testoni del Duca Alessandro latti
dal CeUini^ e perchè C. 94.
Riforma di Firenze del i552 B. 294.
Rimedj contro gli spaventi A. 291.
Rimedio pel male d' occhi insegnato al Cellini
ji. 207.
Rimedio per far rinvenire gli svenuti A. 299.
Rimedio per una forte percossa al petto A. i23.
Ritratto ai Bindo Altoviti fatto da Raffieiello B. 296.
Roma, entrata solenne fattavi da Cosimo L B* 4ii*
Roma occupata e saccheggiata dagli Imperiali A. 1 iS
122.
Rosignano, paese B, 435*
Rubini, loro vnrìe specie, e differenze C. 2 5 8.
Stimati più di tutte le altre gioje S 4* Propor-
393
zione del loro prezzo con quello dell' altre gio-
je 5 6. Modo di legarli 6 7.
Rubini bianchi naturali C. 29.
Rubino di tremila scudi C 7.
\
Sacco di Roma A. 117. C 95 11 5.
Saettuzze C 201.
Sagrestia Nuova ossia cappella de^depositi Medicei
in S. Lorenzo in Firenze B* 256 589. C, 194
'99-
Salamandra A. io.
Saldare j e come si faccia C 39 4o 1^2 i35.
Saldare a calore^ e come si faccia 6. 69.
Saldatura di terzo, che sìa C 58 39. Saldatura d' ot«
tavo i33. Saldature di quinto i35.
Saldatura detta lega , come si faccia C 60. . '
Salmi recitati dal Cellini in prigione A. ^^i /\52,
Salvocondotto dato al Cellini da Paolo III. per
V omicidio di Pompeo milanese A. 260.
Sammalo , trabocchetto A. 4'o.
Sampione .0 Sempione , montagne A. 5Sj.
Sangue di * drago , che sia C. 9.
Sansone modellato dal Buonarroti J?. 3^6.
Scarpelli C 201.
Scesa affli occhi sofferta dal Callini nel i532 A. 20S
204 e segg.
Scolpire, come si faccia C. 198 199.
Scoppietto da caccia del Cellini A. 82.
ScufBna C 200.
Scultura « se prevalga e gi«vi alla Pittura e alPAr«
chitettura C. aii a 217.
Scultura: sua preminenza fra le altre Arti del dise-
gno C 210 236 a 240 245 a 264.
Scuola Fiorentina B. 190 376 376. C, 2$4'
Selciata^ presso Napoli B, 244«
Senna , fiume B, 65.
Sepoltura del Cellini B» 5oi,
^94
Se^td immobili C. io5.
SettignaDo A. io6. - » e
SfiaUtob dove e come si facciano nelle forme B. n'jb
a agi. C. 124 166 168. Nella fornace da fon*
dere B. 377. C 187.
Siccità di sette mesi continui in Italia B, 454;
Siena (entrata solenne in) fattavi dal Duca Cosimo I.
B. ^lo 4ii*
Siena (guerra di) B. 417.
Sgraffiare, che sia C 73.
Smaltare (arte dello) A 80.
Smaltare , che sia C. ^8 49-
Smalti di diversi colori C. 29 5o 5i.
Smalto e arte di smalure assai bene fiori in Firen-
ze C. 44- Modo di Smaltare 4^ & ^i*
Smalto^ come si macini C* 47-
Smalto, come si pulisca C. 52.
Smalto rosso o roggio ignoto agli antichi C, 46 4?-
Come trovato wL Sua proprietà 52 53. *
Smalto sottile e niello grosso, proverbio degli ore-
fici C. 41.
Smeraldi^ e modo di legarli C 8 9 10.
Smeraldo, scolpito con una testa di delfino A^ 84-
Smeraldo contraffatto da un giojeiliere milanese , e
venduto nove mila scudi C. io.
Sogno prodigioso del Celli ni e di suo padre A. 66.
Solimato, veleno B. 4^8 a 410 4j^'
Solthurn o Soletta A» 553.
Sonetto di Monsignore de' Rossi, sulla famosa statua
del Perseo del Cellini B, 98.
Sonetto del Marchi ^ nella creduta morte del Cellini
A. 3oi.
Sonetti d' altri , in lode del Cellini C. 278.
Specchietto, che sia, come si faccia, e a che gioje
serva 6\ 24 ^7»
Specchio ingegnoso lavorato dal padre del Cellini
A. H 12. /
Spese della prigioni^ pagate dal Cellini A» 4^';
Spiccare le figure col cesello , come si facciano
C. 65.
Spina delia schiena^ e sua descriaiioné. C. 224 ^ ^H^'
Spirito (Santo) , chiesa di Firenze C, ^48.
Splendore rimasto alla testa del GelUni dopo le sue
visioni j4, 4^5.
Sportelli per la fornace da fondere (7. 19 r.
Staggia^ luogo vicino a Siena B. 24*
Stagno^ e modo di prepararlo \C. 161.
StagnuolOj di che uso pei gettatori C. 161.
Stampar le medaglie a vite, e come si faccia C 109
no.
Stampar le medaglie a conio ^ e come si faccia
C. 106 e segg.
Stampe delle monete, come si temperino C. io5.
Statua eccèllente del Torrìgiani , in Ispagna A. 35.
Statua d'Ercole fatta fare in Parigi dal Re Fran-
cesco per fonare a Carlo V. B, 1^2. C, i5o.
Statue 21 antiche raccolte in Trevi da Benedetto
Valenti A. 216.
Statue d'argento dell'altare di S. Pietro in Roma
C. 129 e segg.
Statue d'argento grandi^ come si facciano C i3i
e segg.
Stecco da oreBcì, come si faccia C 59 6o.
, Subbie C 200 IDI.
Suggelli de' Cardinali A, 78. Perchè e come fatti
C. 81 82.
Suicidio ideato dal Cellini in prigione A, 4^4*
Surich o Zurigo A, 552 553.
(Tagliacozzo , luogo nel Regno di Napoli B* 9 109.
Tassello 3 che sia C. io5.
Tavole geografiche del Danti ^.595.
Tazza di filo del Re Francesco I. mostrata al Cel-
lini c. 4'i 4^*
Tenerume ^ che sìa C 225,
Te, palazzo presso Mantova A. i^i,
Terme di Tito M. i35.
3^
Terra da gettar nelle staffe^ come sìa C, 83 84.
Terra per far l'incamiciature e l'artiglierie, come
sia e dove si trovi C. 167 e segg. Per hre L
mattoni da ammattonar le fornaci per fondere;
come debba essere i84-
Testamento e codicilli del Celli ni B, 499 5oo.
Testimonj falsi comperati in Francia É. 104.
Tingere non si deU>e veruna gioja, eccetto il dia-
mante C. 7.
Tinta de' diamanti, come si faccia A. 3a6 327 3a8«
C 16 e segg.
Tonaca di terra , che ^ia B, 274. C 168 e segg.
Tonsura presa dal Cellini B. 4^^* ^* xxax.
Topazio e sue qualità C, ^ 5 6,
Topazj e loro differenza dai diamanti C. a8 39.
Topazio scolpito con una testa di Minerva A. 84.
Topografia di Firenze, in rilievo A. 266.
Torino nel i543 in mano de' Francesi B. 33o. y
Tornon, cavallo donato al Cellini dal Cardinale di
Ferrara B. i6«
Torre Sanguigna, in Roma A. i83.
Torre de' fieni, in Rema A. 126.
Torre di Nona, dov'è trattenuto per alcun tempo
il Cellini A. ^i6 421.
Torsello, che sia C. 94 95.
Trabocchetto in Castel S. Angiolo A. 43o.
Trapani C. 200.
Trespiano, paese B. 4oo 4^3 4^^'
Tribuna. V. Cupola.
Tripolo C. 52. '
Turchine C. 29.
• »
U !
\
397
Val d'Ambra A. 5.
Val di Vedrò A. 557,
Val di State o Wallenstadt A, 544*
Valenti^ famiglia in Roma C 235.
Vasellami d'oro. e d' argento , come si tirino C. ii6
e segg.
Vaso d' argento bellissimo fatto da Lucagnolo da Jesi
milanese, per papa Clemente VII. A^ Sj 67.
Veduta d' una statua C. 255 259 260.
Vedute delle figure ^ e loro quantità C 211 216.
Vedute nella legatura delle gioje , quante e come si
considerino C. 7 8.
Velluto nero a buon mercs^to in Napoli A. 2^5, ,
Veleno dato al Cellini in Vicchio B. 4^ a 4 io
416.
Veleno preparato al Cellini, in prigione A. 44^*
Venere, statua antica in Roma B, i55.
Venturieri' y^. 355. B. ^S,
Verderame^ e mestura di esso C. j5 74*
Vessa o Wescn A, 346.
Viaggio di Clemente VII. a Bologna nel i532 A, 202
203.
Viccbio , paese , e suo mercato 3. /{oe ^o i 4^^
4o3.
Vigna di Papa Giulio III. B. 389.
Visioni chieste ed ottenute dal Cellini in prigione
A. ^55 a 439 4^^* ^' 7-
Vite femmina e mastio, che sia C. 1Ò9.
Uffiziolo della Madonna ricchissimo , regalato da
Paolo III. a Carlo V. in Roma A. 522 B, 18.
Ugne lunghe di gran fastidio al Cellini in prigione
A. 4^7»
Uomini unici nella loro professione detti da Paolo Ilf*
non soggetti alle leggi A. 260 209.
Voto del Cellini di andare a Gerusalemme A, 4^4*
Usanna o Losanna A. 353.
3g8
Zaffiri, come si l^hioo C: 89 io.
Zaffiri bianchi artifiziati C. 37.
ZÌDgana^ statua antica in Roma B, i35.
Zodiaco dis^nato a penna dal Gellini A» i5o.
Zurìgo A» 552 355.
399
PAROLE
DI
BENVENUTO CELLINI
♦
Degne dì particolare osservazione per la loro ir-*
regolarità graniaticale , o perchè non sono
slate fin ora ammesse nel Vocabolario della
Crusca^ o vi sono accennate senza esempio ,
"^ o in altri significati^ o con costruzione di"
versa*
JiVcGREscEt per Accrebbi A, gS.
Acquarolo , nel significato sostantivo di Portatore o
Venditore di Acqua A, 899.
Acquomo B. 179. Error di lezione , in luogo di
^ Accorr' uomo , avverbio,
Affastidire per Afl^stidiare o Infastidire A. a^6«
A&ttabilissimo per Affettuosissimo o Amabilissimo
B, 35.
AiBssare , nel significato di Fisare ^ latinamente Fi»
gere B. t^02%
4oo
Agio (per) , avyerhio , nel signifitoio di A beli' agìo^
o sùnile A. i88.
Andaoti ^ Stanza kinga molto pih di cento passi
andanti =9 ^. li^
Andare al fatto suo , in luogo di Andare pe* fatti
suoi B, 3t8.
Andare in frodo , nel significato di Schivar la ga«
bella ; \nentre la Crusca gli dà quello di Es-
sere confiscato , a cagione di fraude nel paga-
mento di gabelle ec. B, 4*
Anelkite per AneUetti A, idi %X5, Vedi anche
Ceselline, Granelline , Legnette, LegnuzzCj Os-
sidna, per Cesellini, Granellini ec.
AnelluzEo , diminutivo di Anello A. 4<9*
Anima. V. Darsi.
Anticaccia (all') , as^erbio A, 284*
Apposta , avverbio y per A posta B. 575.
Arcata es Questo pezzo (d' artiglieria) io lo voltai ,
dipoi lo caricai . . . . , dipoi lo dirizzai benis-
simo a questo uomo rosso , dandogli un' arcata
maravigliosa A. i5o.
Arronzinato , probabilmente error di lezione , in
luogo di ArroncigUato A. 44 49* ^' ^^^*
Arie per Arti. C 257. V, anche Carcere ^ Comare,
Composizione , Gente , Franzese , Minore, Not-
te , Parte , Pelle , Raccomandaaione , Rene ,
Semplice , Tale y per Carceri , Comari ec.
Assieme per Insieme A. 49-
Au, Ou, interiezione A. 5a.
Auguria per Augurio , probabilmente error di Ze-
zione , in luogo di Agura , Aguria , o Agurì«
B. 67.
Austini per Agostini o Agostiniani fi. 69.
B
Baiata per Abbacata, da Bajare A* a34-
Balzello , nel significato del Magistrato sopra le gra-
vezze straordmarie B* 4^4*
■\
4oi
Barbe delle radici dei denti ^ cioè le punte delle ra^
dici stesse ^* 4^7»'
Basta e Basta che , nel significalo di In somma
J$. 55S 565 565. La Crusca non indica Basta che.
Bastonello, diminutivo di Bastone A. ^i6. Forse
error di lezione per Bastoncello, usato altroi^e
dal Cellini.
Battezzare per Tenere al Battesimo A. 267. Sta nel»
la Crusca senza esempio.
Berretto per Berretta A, 553. Forse error di lezione^
Bigonce (colle) y nel significato di Smisuratamente
o simile SS3 Misencordia ad alta voce colle hi-
gonce chiamavano A, 47*^
BizzarrettOj diminutivo di Bizzarro A. 7.
Bocca di una forma , cioè 11 buco ^ pel quale pas*
sa in essa il metallo fuso B. 289.
Bordelleria per Inezia, Bagattella A. 60. Però sta in
bocca ad un Milanese,
JBattegaccia , error di lezione in luogo di Botteguc-
cia &. 1Ò6.
Bozzare per Abbozzare A. 54 1. *5Va nel Vocabolario
del Baldinucci. '
Bozzato per Abbozzato A. i65, JB, 594.
Braveria ^ sostantivo , da Bravare o Minacciare
B. 418.
Bravosissimo , superlativo di Bravo A. 179.
Budella^ Aver le budella in un catino, ì^. Catino^
»■
Camarlinga , Monaca che tiene V amministrazione
o i danari del Monastero B, 16.
Cambiare f=3 Dette negli occhi di S. E. il soprad-
detto diamante; e fattomiselo mo&tmre disse ^
se io n'avessi ^ privarmene^ non cambiassi lui '
di grazia A. 242.
Cameinipcia per Cameruzza A, 1^8.
Campanajo, nel significato di Fà|>l>ricatore di cao»*
pane È. 252.
i5ew. Cellini Voi III iaS
4«
4o^
Cantante , nel significato di Vìgente o Aperta^ ^r-
landosi di una lite B. ^Sg.
Capaccio ^. 3i8. Error di lezione, in luogo di
Cappaccio ; poiché Capaccio è peggiorativo di
Capo.
Capo. V. Testa.
Carcere per Carceri B. 172. ^. À.rte.
Cartilagini , in genere maschile A 44^*
Cassoncino^ diminutivo di Cassone B. 387.
Catino. Aver le budella in un catino, per Avere ec-
cessiva paura, ciò che dicesi anche Aver le
budella in un paniere A. 279. Sta nella Crusca
alla voce Paniere, senza > esempio e non se
ne fa menzione alle voci Catino e Budella.
Ceneracciolo , nel significato di Vaso da riporre la
cenere A. i35.
Cento (r un) più , per Cento volte più i=? In breve
spazio si riempiè tutto il Culiseo l'un cento più
di quello , che avevano fatto la prima volta
A^ 227- Così usa il Cellini Più P un dieci.
Più r un mille, e simili. La Crusca di Verona
nella Sopraggiunta ha Un cento più.
Ceselline per Cesellini B. 322. F^l AncUettc.
Cesta , nel significato di Carrozza per una sola per^
sona 4 e tirata da un cavallo solo A, 307.
Chiaro , nel significato di Benevolo B. 296. s=i Mai
si mostrò chiaro, anzi stava ingrognato. StA
nella Ousca senza esempio.
Chiusino y diminutivo di C hi uso , sostantivo B, 196»
zrr: Un ihiusino da colombe.
Ciecolino, diminutivo di Cieco B. 198.
Ciorbottana per Cerbottana j5. 177. Error di le*
zione.
Cirusia per, Cirurgìa , Cirugìa o Chirurgia B. 4^9'-
Comare per Comari B, 157. P^. Arte.
Come se a dire per Come a dire o Come A. 392.
Composizione per Con) posizioni C 237. V, Arte.
Convennamo per Convenimmo B. 296. ^. Ven-
namo.
Cernacchra , metaforicamente per Donna di par»
tito ^. 90 e segg.
, 4o^
^ornaéchiuzza 4 diminutivo di Cornacchia, come
sapra A. 92.
Così colla corrispondenza di E, nel significato di
Così ec. Come ec. B. 2^3. V. Sì e.
Crociata di strade A. 254* Sta nella Crusca senza
esempio.
Custode per Custodia B» 167 168. Probabilmente
error di lezione.
D
pare per CagiObare =3 Sebbene ie avevo la febtu^e
cokitintia, per esser lo strumento di poca fatica»
non mi dava alterazione. A, 28:
Dare un' arcata, f^. Arcata.
Dar di pie a' cavalK per Ispronarli B, 22 24»
Darsi all' anima , cioè allo spirito , ossia Applicarsi
alla vita spirituale A. ^58, Sta nella Crusca
senza esempio alla voce Dare neutr, pass,
Dasse per Desse B. 349. ProbabUmente error di &*
zione, /^. anche Domandarci.'
Dereto per Dreto o Dietro B, i^5.
Difensitrice per Difenditrice A. i^i5. Error di le*
zione.
Di modo che , nel significato di Pure , o in quello
assoluto di Così, Per tal modo B. 290 3o6.
Di modo per Di modo che, nel significato di Cosi
che B, 317.
Dieci {V un) più. F, Cento.
Dire s=s E per dire» anche questo Lattanzio si di-
lettava alquanto di questa professione B, 3i5.
= Io non vo' dire ; ma voi vedrete ,
eh* ella non vi riuscirà B* 558 — Coiùe &e a
dire. J^, Come.
Dirimpetto (al), nel significato di Rincontro o Di-
nncontro o Dirimpetto B. 283. Sta nella Cru»
sca col significato di Per contraiMo^ A ritroso.
Di sorte per Di sorte che , Silfattamente che B, Ok^S*
y* Di modo per Dì modo che.
4o4
Di sorte che per Di sorte, SiflTattameDte, o asso^
latamente Per tal maniera B, a^g 366. C. 257*
F", Di modo che.
Distendino per DìstendaDO C ify^. V, Facci j Fac?
cine y Piaccino ^ Possino « 'S^egghino ^ Veadino «
Sappi p^r Faccia ec.
Doga , nel significato di Stola Sacerdotale ji, 4^4*
sa Vidi i Preti colle doghe indosso , i quali
dissono : Oh , voi dicesti , eh' egU era morto.
Dolto per Doluto A, ^l'j. cr* lo m'ero dolto.
Domaudarei per Domanderei B. 4^^* Probabilmente
error di lezione. V, Dasse.
Dorufe per Dorerie B, 187. Error di lezione.
Do?e per Ciò che =4 In capo di sei mesi me ne
tornai a Firense; dove quel Pierino^ Piffero,
già stato allievo di mio padre , ebbe molto per
male; ed io ec. ^.21.
Dove e Dove che pleonastici ^ o nel significato di
Per ciò , Per lo che B. i56 194 324*
poviamo per Dobbiamo A. 32B.
E, particella congiuntiva, talora prodigata A. i^
B, 4®6 4^7- C. IO.
Echizia sorta d'erba, detta dai Botamci Echio
Facci per Faccia, verbo A. 3o8. J^. Distendino.
' Faccino per Facciano B. 293. P^. Distendino.
Faccia (in) , qual^ità d* un ritratto , che rappresenti
tutto il viso, e non la metà di esso , come in
profililo A. 279. Sta nel Vocabolario del Bal-
dinucci , e neua Crusca alla voce ProfBlo.
Fagli per Fargli B. 5^4*
4o5
f<*are altro , che con parole , cioè Fare con le mani«
ossia Lavorar dì mani yi, S^i.
fare per Fare un effetto qualunque c=r 11 diamante
.... non era ben legato ^ e quello che egli
faceva 3 lo faceva per sua propria bontà A. 2^2,
Pede (alzar la) per Promettere altamente o solenne*
mente B. Òo*].
Femmijiina , sosìantivo , diminutivo di Femmina
B. 232.
'Fermare alcuno, nel significato di Fissare alcuno,
mediante contratto, a qualche ufficio B* S5 i8q
204. '
Femo per Fecero A. 25 1.
Filetti , cioè Le coste angolari di una gioja B, 217.
Fluente =: Roma è fluente al Tevere A. 4*
Francioseria per Modo francese B. 449*
Francioso per Francese B 88 174-
Franzese per Franzesi nel genere femminile B, 187.
V. Arte.
Frulli per Furlì o Forlì , città A, 257.
Fusoliera per Barchetta A, 274. =3 Questi giovani
erano montati in su una fusoliera^ e ci raggiuosono.
Gelifalco, arma da fuoco , quasi come una mezza
colubrina A, i3o.
.Generare per Nascere A, 34- ss Nel praticare in-
sieme generò in noi un tanto ampre^ che ec.
Gente per Genti B, 5g. V, Arte.
Ghignacelo, peggiorativo di Ghigno B, 253.
Giudizio £=s Diventai come un aspide , e feci dispe-
rato giudizio A. 4^*
Gli per Le, A lei A. 1^6 iS'j.
Gli per Loro A. c^^,
Granellette per Granelletti Granelletta A. i56.
Granelline per GranelUni o Grajpellina A. 44^* ^*
Anellette.
Granelluzzo , diminutU^o di Granello A, 44^*
4o6
GroMiere , nel significalo di Orefice dì grosseria f
cioè di labori grossolani A. 5i 6o.
Guardar cogli occhi , doè Esaminare cogli occbù
^ Aggravando forte senti* disfare la detta pie-
tra , e guardato bene cogli occhi ^ vidi che così
era il vero A. 44^* ^* Affisuur gli occhi.
B, 53 [. ^02,
1
Iddio ci mandi mal, che ben ci metta. Proverbio
B. 416.
Imperciocché , nel significato di Perciò o Fmperciò
B. 307.
Imperò, nel significato di Con tutto ciò B. a47 ^^^'
C. ux. 29 88 I IO 193 a55.
Incomportante per Incomportabile B, a58. Forse
error di lezione.
Inffipnalità per Unione di circoflanze quasi iniernali
A, i3i.
Inferrucdare per Vestire di ferruzzi , con giachi , e
simili A. III.
Infetto per Ammalaticcio B, 324. = E per essere
infetta , io non arrivavo mai volta , eh' io non
la scomodassi.
Ingannacontadini C. 238.
Ingannamatti C. 253.
Innotabile per Notabile ^ Immutabile, o Indelebile
A, 3 13. Forse error di lezione.
Insapiente'/Ter Ignorante B, 5n6.
Insino a 4 posto in luogo di Ed anche A. 225. ss
Ch' io ritrovassi un compagno 3 insino a due.
Intaccare alcuno a danari , per Intaccare alcuno
nei danari B. 195.
Intrasegare per Intersegare o Intersecare j9. 91.
Ischiericare per Mozzare la sommità di che che sia
B. 21 5. Nella Crusca &è Schericato , senza
esempi.
Isconte o Isconto per Visconte , titolo B, 57.
4o7.
Isopico viso per Viso deforme ^ da Esopo C. 56.
Isvìatoio, ne/ significato di Stromento da ripulire un
anello d^ oro A. 4o9« Forse error di lezione ,
per Avvivatolo.
Isvivare';w?r Ripulire un anello d^oro A, 409. Forse
error di lezione ^ in vece di Isviare o Avviare |
o più probabilmente Avvivare.
La per Ella A. 99.
La qua] cosa in vede di Per la qual cosa o perciè
A. 34* La Crusca alla voce Quale reca un
esempio della Vita di S. Eufrag , dove trovasi
la qual cosa , al dir della Crusca , in modo
pleonastico ; ma che a me pare avere il signi*
ficaio suddetto di Perciò.
Lanciotto , probabilmente nel significato di Guar*
dia armata di lanciotto cioè dì piccola lancia
A, 49 ^^ i4^*
Lega , nel significato di Metallo inferiore , che si
fonde con un metallo più nobile ^ per meglio
unirlo e legarlo B, 286.
Legnette per LegnetU (7. 55. /^. Anellette«
Legnuzze per Legnuzzi C fyì. V. Anellette*
Lei per Ella o Colei j9, 118 i55.
Libéralissimo, sostantivo , nel significato di Remu*
neratore B. 343. >= O glorioso mio Signore ,
vero libéralissimo delle virtù e di quegli uomini
che in esse s'affaticano.
Libruccio , diminutivo di Libro A, i55.
Licenza per Commiato o Congedo dal servizio di al«
cuno B, 255 4i4* -^* ■^^^
Lion bue , forse error di lezione B. 257.
Loro ^er Eglino A. ^ ^i.
I^ogoro^ cioè Quasi finito ss) Essendo di già il giorno
logoro^ sonava ventidue ore A^ 194*
Lumacuzza^ diminutivo di Lumaca B. 1.96.
4o8
M
Ma pleonastico =i Perchè io avevo mosso ^erti
ragionamenti ec. , ma il detto Ambasciatore > io
m aweddi, eh* eg|i aveva operato in contrario
M. 297.
Maestraccio , pe^iorativo di Maestro B. 258.
Male sfortunato B, 245. Forse error di lezione^ per
Male o Malfortunato..
Malfi per Amalfi , città B. %S.
Mandrìale o Mandriano , nel significato di un Ferro
con un manico lungo , che serve ai gettatori
per aprire la spina della fornace, e fame uscire
il metallo fuso B. 280. C. 177.
Manica per Fornello ad uso dei gettatori B. 275.
Sia nella Crusca, senza esempio.
Maniche, nel significato di Maglie di ferro per le
braccia A, 263. sa Benissimo armato, con giaco
e maniche ; che tanto avevo avuto licenza.
Marmerucola per Marruca , sorta di pruno A* 109.
Massello, cioè Pezzo di metallo informe B. 377.
Maturare , nel significato metaforico di Ammollire ,
Raddolcire 3 Domare B. 280.
Medicacelo, peggiorativo di Medico A, 167.
Merrebbe , Merrebbono , per Menerebbe e Mene-
rebbono A, 112. B. ifi.
Mettere per Accrescer^ , o Mettere ad alcuno per
Dargli ad intendere B. 328.
Mettere in opera alcuna persona , nel significato di
Adoperarla A. 19. B» 522.
Mi si era recato a noja , per Si era recato a noja
la mia persona B, 525.
Mia per Miei A. 5 54. B. 235.
Migliaccio 3 nel significato di Metallo fuso , che si
rappigb'a nella fornace B. 285*
Micliara per Migliajd B. 37. F. Paro.
Mille j^ t'un miUe pii^ per Mille volte più A. 227.
/
4^9
Minor;, per Minori^ in genere femminile B, 172. V,
Arte.
Misse per Mise B. 5.
Modo f^. Di modo.
Mostacci per Mostacchi o Mustacchi B, 517. iSV^
nella Crusca , ma f esempio ne è equivoco.
Mostrare , neutro , per Far intendere o Far Ve-
dere B, 255 319. C. xviu. =3 E' desiderava
d' intendere , ed io piacevelmente gli mostrava.
Motore per Promotore^ Lodatore ec. B. i35. s=s
Cercando di svilire l* opere mie, facendosi mo»
tore d'antichi.
Mulettaccia , peggiorativo di MnTa A, 317.
Mulucdo , diminutivo di Mulo j9. 24C.
N
Non tanto . . ; che, nel significato di Óltre B* Zìi
546 36o. ss A queste percosse forti in quelle
sue gotacce, non tanto V esser diventate troppo
rosse, che ei ne venne giù le lacrime.
Notte per Notti B. 27$ V. Arte.
O
Oblungo per Più lungo che largo B, go;
Occhio del porco A. i85. = Giunto al Papa;
guardatomi così coli' occhio del porco, co' soli
sguardi mi fece una spaventosa bravata. Nella,
Crusca alla voce Porco e' è Fare P occhio del
porco , senza esempio.
Occhio della stizza A. 557. ss Io che li guardavo
tutti coir occhio della stizza.
Ogni =s Se io sono per ogpi infirmità divenuto cie-
co, son io tenuto a lavorare ? A, 2o5. O^e
pare^ che Ogni stia in luogo di Qualche.
4io
Opera , nel significato del Magistrato AegVi Operai ,
ossia di qucMi che soprantendono alla fabbrica
e al governo di Chiese , Monasteri e sioiili
B. 307 4^ 4^- *^ nella Crusca senza esem^
pio.
Opera, nel significato della Sostanza governata da-
gli Operai, come sopra B. 365.
Opera , nel significato del LuogQ , in cui si rada*
nano gli Operai , come sopra B. 262.
Orafaccio, peggiorativo di Orafo B. 55o.
Oreficeria per Bottega od Officina d' Orefice A, 25.
B, 217
Oreficerie , nel significato di Lavori d' orefice B. 24^*
Origine per Causa o Che dà occasione o principio
yi. 5. = L' altro giovane, orìgine della quistione.
Ossìcina per Ossicini A. 167.
Ovolatore , sorta d' operajo nella zecca A. 192. For»
se error di lezione.
Paro per Paio B. 19. V, Miglfara.
Parte per Parti B. 525 ^. Arte.
Passare , nel significato di Passare senza esame o
non badando^ latinamente Praeterire B, 220*
= Non credendo mai, che tal cosà fussi vera
com' ella era , ridendoci passammo quella sem«
plice credenza del buon Duca^ cioè non ci sia-
mo trattenuti a disingannarlo della sua credenza.
Passatoiaccio , peggiorativo di Passatoio , arma ,
come pia sotto A. i35 i56.
Passatoio , arma da gettar colle artiglierie A. i56L
Pater noster di S. Giuliano B. 1 14« ì=s Se tu dices-
'si mai il Pater noster , sappi , eh' e^li è quello»
di S. Giuliano.
Pazzericcio, diminutivo di Pazzo A. 287. Sta nella
Crusca senza esempio»
Pelle per Pelli B. i54. F. Arte.
4'i:
Pervenire, nel significato di Appartenere o Spet-
tare B, 295. CSI E me ne dava quel!' utile della
parte mia y che mi perveniva , quale fu cau-
sa ec.
Piaccino per Piacciano B. 190 P^, Distendino.
Pietà, nel significato di Immagine di N. S. Gesù
Cristo, deposto dalla Croce B, 586.
Pietruccia per Pietruzza A. 445-
Pifferata , cioè Arte di suonare il piffero , cosi
detta per disprezzo A. it.
Pintaculo per Pentacolo A* 226.
Poco (ud) as^erhio ^ declinato B. 92 i5x 202.
C. 36 85 90 io5. F". Tanto e Troppo, e la
Crusca di Verona ove sono molti esempj dei
vari usi di quesi avvethio.
Possette per Potè o Potette //. no.
Possino per Possano B, 2<56. V, Distendino.
Prender luogo, nel significato di Fermarsi o Ces^
sare B. 53i. =: Avendo preso luogo quel poco
della stizza , considerato , cLe i colpi non si
danno a patti 4 . , io mi risolsi ec.
Pressi, nel significato di Strette o Pressure B, 71.
Pretesco , cioè Da Prete A, 72.
Prima (alla) , alla seconda , nel significato di Alla
prima volta, alla seconda C, 88.
Prima (alla), alle due, nel significato di Alla pri-
ma volta , alla seconda C, 222. ss E' non sarà
cosi pusillo animo di fanciullo, che cominciando
a ritrarre un bastoncello d' osso , che non
si prometta di farlo , se non alla prima , alle
due, benissimo.
Primo (al) per Alla prima A. 36o 424- B. ii4 2o5
2q6.
Primo (per il di^, in luogo di Per lo primo B, 5o.
Puole per Può A. 62.
Punto A. 229. S5 La luce degli occhi aveva fuora
del punto.
4u
Qaale , pronome relativo , usato pel dimostrativo
Questo o Quello A. l'jS 229 255 ec. C. 261.
S Giratosi per dare a un archibusiere, il quale
(cioè questi) per propria necessità sparato V ar-
chibuso, colse il valoroso sventurato giovane ec.
Quarto s La dico per difesa mia , e non ne voglio
il quarto , cioè il premio dell' accasa , secondo
Puso di que* tempi B. q5q.
Quasi pih del tempo ^ nel significato di Per lo più
8= E per essere tanto intrinseco di Baldassare »
quasi più del tempo si trovava seco a ritrarre
le sopraddette opere C. 25 1.
R
Raccomandazione per Raccomandazioni C, 257. ^.
Arte.
Ramo di getto « cioè Canale, pel quale passa nella
forma il metallo fuso B, 275.
Raspo per Cespuglio A. 34g. s Sdrucciolò inverso
il laeo , e s' attenne a un raspo , il quale era
sottilissimo.
Rene per Reni B. 208. F". Arte.
Rifare s Posero nome Reparata ^ per rifare la ma-
dre di mia madre A. 8.
Rigaglia D«r Avanzo, Soprappiù o Regalo A. 362.
s u Duca m'aveva mandato a presentare le
rigaglie del suo piatto, con molto buon vino.
Riguadaffnare la bella città di Roma, nel significato
di Ritornare alla medesima A. 285.
Rimettere, nel significato di Porve in arbìtrio altrui,.
colla cosirution neutra B. 4^^* ^ ^ ^^^^ ^^
rimessi, in tutto e per tutto.
4i3
Ringraziare , costruito col datifH) , come Render gra«
2Ìe B. 36o C3 Ne ringrazio a V. E. lUiutriss*
con tutto il cuore.
Risegnare per Sottoscrivere A, 2g4. Sia nella Crusca
senza esempio.
Ritta per Andata via ?=: La Duchessa si era ritta
B. 3o6.
Rizzar la punta per Mettersi in collera B» 3i8.
Sacro per Sagoo , sorla d'artiglieria A> i5o i36.
Saltacchioni (a), avverbio A, Si']. — Veniva a sal-
tacchionì in sur una sua mulettaccia quel Mes«^
ser Francesco.
Salvatichella per Salvaticlietta i9. 157. = E per
essere salvatichella e di pochissime parole.
Sappi per Sappia B. 162 25o. F'. Di»tendino.
Scalerà , nel significato di Scalea A. 599.
Scalpellare, e Scalpello, in luogo di Scarpellare e
Scarpello B. 264 267.
Scannapagnotte per Parassito B. 44'
Scannapane per Parassito B» 128.
Scendente (lo), sostantivo^ per Lo scendere » Il di^
discendere A» 4* =3 Mi glorio d' aver lo mio
scendente da uomini valorosi.
Scesa per Infiammazione d* occhi A' ao3.
Schericare o Schiericare. V. Ischiei^icare.
Schermi gliare , nel significato di Fare scarmaglia o
Giucare di scherma B, 224.
Scorreria (dare una) ^er Fare una scorreria ^. Sip.
Sducare = Mi dava la baia di questi Duchi , dicen-
domi : noi gli aviamo sducati , e non avremo
pih Duchi ^. 3i8.
Segnar sette, e tagliar uno, proverbio A, 249»
Senso per Ano B. 4o5.
Sepolcro , o;;^ure Santo Sepolcro, per Gerusalemme
^..434. B, 47.
Setoso per Assetato B. 8.
4<4
Si per G f pronome B, 34 26.
A bene o Sibbene , per Coà o Tanto od Fgnalmeiìte
A. 349 34a B. 258 359 444.
IS beoe per Sebbene A. 417* Forse error di lezione.
Si e 9 colla corrispondenza di K, nel significato
di Coà, colla corrispondenza ili Cotae =: Sì
e de' nostri Fiorentini, e altri B. 5 18. C 236.
f^. Così.
Siate per Siete C. 259 269.
Siemo per Siamo B. it^.
Simplice per Simplici C 237. f^. Arte.
Sobillato da Sobillare ^. 38 4f 44^*
Soddomitaccio d. 260.
Sonare -co/ ^so genita^ , come Sonar di cornetto o
di flauto 9 per Sonare i defti strumenti A. 21.
Sorsata aceresciiivo di Sorso A. 3o3. =; Me ne la-
sciava bere una sorsata a mio modo.
Soite (di) y. Di sorte.
Sovvenire , nel significato di Venir in mente =: De-
gli altri non mi sovviene il nome A, 175.
B. 3i5.
Spagnolescamente, cioè Alla moda spagnuola A. 68.
Spesso mai ss Dicendo s[>esso mai; deb ec. B, 5 17.
Spicciare , nel significato di Staccare ^. 3. s £
co' denti un pezzuol di legno spiccio.
Sporcizio; nfil significato di Sporchezza B, 48^* =
Tu ci troveresti infinita povertà ed alquanto
sporcizio.
Statuare per Fare statue =: Allora era veramente
da militare 3 e non da statuare B. 171.
Stieggia, in luogo di Scheggia ^.444-
Stretto per Intrinseco o Goofidepte , detto di per^
sorte B, 3oi. = E certi altri di quegli stretti
al Duca.
Stuzzicare , neutro , nel significato di Tentare o Sol-
lecitare B. 432. z: lo stuzzicai parecchi volte
di andarmi con Dio.
Sua per Suoi A. 61 ec.
4i5
Ta\ per Tali J. 224 234.
Tale per Tali C. 237. F". Arte.
Tale (a) per A tal segno > ^e/iza 1 t/^rò/. Gì ugnere,
Condursi , o simile B. 290.
Talvolta per Forse A, fj'j 188 256 265. n Non
risolvendo a spiccargli la gamba affatto , che
talvolta sarebbe campato.
Tanto , aggettivo , nel significato di Molto grande ,
^enza alcuna corrispondenza espressa o sotUn"
tesa A* 93. n Con tanta baldanza disse B. 225.
Io ero venuto in tanto furore^ col quale ec.
Tanti 3 aggettivo ^ nel significato assoluto di Mol«
ti , senza alcuna corrispondenza , come sopra
B. 256. ^ Il Ducei con tante belle piacevo-
lezze mi faceva lavorare ogni sera . . , e mi strin-
geva ... a fare ec. ^
Tanto , avverbio , nel significato relativo di Così
Molto ^ o declinato come aggettivo B.5^o :z
£i furono tanti arditi , che ec, £ nel significato
assoluto di Assai o Molto, senza alcuna cor^-
rispondenza B, 294. ZZ Scrissi una lettera tanto
amorevole, ed in essa ec, B. 339. La quale mi
confortò tanto ; e quel giorno ec. A, 67. Con
tanta bella grazia disse ec, C. 248. Con tanta
bella maniera degli antichi , sì per esser lui
pittore , e sì ec, V, Poco , e la Crusca alla
voce Tanto 4 ove sono molti esempj di varie
licenze consimili alle qui recate.
Tenere, neutro per Impedire B, 4 «3. ^ Federigo
de' Ricci teneva 4 che loro non me la spedivano.
Terraiuolo per Terragnolo , Che s' alza poco da terra
A, 4o8. Tirò a un colombo terraiuolov
Testa per Modo di pensare, Opiniohe A, 112. S
Trovatomi anch' io nella propria testa mia. f^»
B, i6j« ^ Essere di suo capo.-
4i6
Tiota per Sorta di stacco da porsi nel castone dei
diamanti A, 526. C. 16 e segg.
Tirare da un disegno per Ritrarre o Ricavare da
esso. C. aSg. z:; Tirano le opere loro da un
piocol disegno.
Tirar il male, cioè Rimanerne tutto compreso A. 4^.
M' accrebbe tanta collera , cbe tirato tutto il
male , e alquanto per natura anche collerico ^
• . . saltai in casa delli mia avversar) ec.
Toccare :r Quelli erano atti e costumi della Corte ,
i quali punto non toccavano T obbedienza del
Re B: 147.
Toccare, net significato attivo di Ricevere a sorte
che che sia A. 118 174*^ Insegnai loro il
modOf acciocché non toccassino uà archibusata
da quei di fuora.
Toccar umore per Toccar il ticchio o Venir capric-
cio B, 1 13. In verso la sera ... mi toccò umo-
re,, e cominciai a pensare a quelle parole ec.
Tonaca di terra , cioè Qudlà terra , che si sovrap-
pone alla cera dei modelli » per farne la forma
j9« ^74» C. 168 e seg. Sta nella Crusca, ma
senza una giusta spiegazione*
Tonfo per Tonfano A. 358. :::: Dettono in un tpnfo
grandissimo» dov'egli andarono sotto ^ egli e 'l
cavaUo.
Tornamene per Tornaimene B. 186.
Troppo t avverbio , declinalo come aggettivo B. 4^
^sP^ ■ 9a. F'. Poco.
Tua per Tuoi A. 29 60.
Vadia per Vada B. 146.
Veddimo per Vidimo o Vedemmo A, 117.
Vegghino per Veggano B. 2q5. /^. DistendiBO,
Vendino per Vendano C. i^o. /^. Distendino.
Vengano T^er Vengono C. i56. Forse errore di &•
zione.
4i7
VetiDamó e Voìiiimo per VeiMmino B. i^ V. Con-
veODamo.
Ventuno, Trentuno e dmili €ome si costruiscano
B. Ìo5.
Vero ( di ) , avverbi» per In ¥^lro o D» vero
C li. a E di Tero, che egli ciò {ece con
gran ragione.
Viano , diminuivo di Viso B. 4o3. ss Facendo
un cèrto cattivo suo visino, disse ec.
Vite per Viti B. i^. ss Sbarbando alberi e vite.
f^. Arte.
Vivo per Fruttifero B. agS. ss Qucà mia danari voi
me li tengbiate vivi^ e che mi guadagnino qual-
che cosa B. 295.
Umani, sostantivo per Uomini A, 365. s Qnan*
to possono le maligne stelle , . in noi umani.
Uno (F) e 1' altro , per V un motivo e Y altro, V una
«fausa e 1' altra B. 1 4o aS^. ^ Non ho fatto
dare i danari a Benvenuto; V una si è, perchè ec.
r altra causa si è , perchè ec. ss Quest' uomo
non potette stare alle mosse di aver pazienza^
eh' io dicessi ancora i gran difetti di Caco ,*
¥ uno si era , eh' io dicevo il vero , V altro si
era , eh' io Io faceva conoscer chiaramente al
Duca e agli altri /^. ia Crusca di Ferona
f iella Sopra^tunta.
Vociolina, diminutivo di Voce B. 106. Próbahil'*
mente error di lezione , in luogo di Vocina.
Volsuto per Volilrto A. 7. B, 2/^ù.
blocco per Zoccolo^ Base B. 8g.
imt PEL TJCazO E0 VXTIVLO YOLVUS*
Bem^. Cetani Voi. IIL 27
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